MARIA ETRURIA BOSCHI, REGINA DI TAORMINA – AL G-7, TRA TRUMP, MERKEL E PUTIN, FARA' LA RUOTA DEL PAVONE - SI INDICAZIONE DI CHICCO TESTA AVREBBE AFFIDATO LA PROPRIA IMMAGINE DI SOTTOSEGRETARIO A GIANLUCA COMIN
Susanna Turco per L’Espresso
Finiti i giorni canonici delle primarie, con le ore contate a ruzzolare verso le elezioni dovrà finalmente sciogliersi l’enigma che ha accompagnato Maria Elena Boschi nella sua seconda vita di ombra e di governo. In tutto o quasi diversa dalla prima, così compatta, potente, sfacciata, e invece adesso incerta, avvitata tra il rilancio e il precipizio, tra l’invisibile e l’ingombrante.
Scordarsi in ogni caso i trionfi botticelliani, scordarsi gli outfit da primavera della Rottamazione, gli altari e la polvere di quasi tre anni di renzismo attivo e operante. Altro che Rinascimento e Veneri su conchiglie: attraversato il tonfo del referendum costituzionale, lo stigma pesantissimo di Banca Etruria, il ritorno al governo per qualche verso coatto (reclamato a gran voce fino all’ottenimento, è la versione che va per la maggiore), da sottosegretaria unica a Palazzo Chigi Boschi somiglia ormai a una figura caravaggesca. È uno squarcio drammatico di ombre e di luci, una figura illuminata solo a metà, a volo radente, ambivalente, sempre sull’orlo del nero più buio. Un po’ Vocazione di San Matteo, un po’ Giuditta con Oloferne: dipende.
Quintessenza degli arcana impèrii - i segreti del potere tra i quali ha un qualche talento a navigare, se non altro più che nell’empatizzare con la folla - mescolata però a una smania di visibilità e interconnessione che solo i più ottimisti dell’inner circle renziano si ostinano tutt’ora a non voler considerare. Il caschetto giallo da operaia col quale ha fatto cucù a controllare i lavori in corso a Taormina, prossima al G7, giusto una settimana prima della fatidica data X della ri-consacrazione del suo mentore (Renzi) era del resto già tutto un programma.
A fine maggio lei sarà là, in Sicilia, tra Trump, Merkel e Putin, a far da madrina per conto del governo: un tipo di appuntamento lontano dal genere “corsa verso le elezioni”, si direbbe. D’altra parte, pure alla campagna per le primarie non è che Boschi abbia partecipato granché, osservano dal Montecitorio trattandolo come un dato lampante dell’oggettiva intercorsa distanza tra i due. Giusto dopo il sopralluogo di Taormina, la sottosegretaria ha partecipato ad alcune iniziative del Pd a Militello, Scicli e Modica sospirando leggiadra una specie di “che bello girare per le primarie”.
Un mese prima aveva presentato la mozione Renzi-Martina al Municipio IX di Roma, segnando così la sua prima uscita in pubblico dopo il 5 dicembre, e annotando poi felice qualcosa come “che bello il confronto”.
Non molto altro da segnalare quanto a vita di partito, almeno tra ciò che Boschi ha voluto rendere noto: lo si dice giusto per tratteggiare un atteggiamento che, in effetti, tanto partigiano non si direbbe. Né Renzi, a quanto pare, avrebbe voluto altrimenti. “Avanti insieme”, è d’altronde la locuzione comunque più frequentata dalla sottosegretaria: persino troppo spesso, assieme al solito “noi”, il pronome col quale si esprime normalmente in pubblico dal 2012, anno della fatale chiamata renziana.
Eppure è proprio quell’ “insieme” che risulta adesso particolarmente sfilacciato. Insieme a chi? Piccoli segnali lo dicono. Più che un qualche gruppo umano si trova in effetti traccia di autonomia, tentativi di (obbligata) indipendenza che covano sotto la sintesi che vuole, semplicemente, Boschi come la luogotenente renziana messa a Palazzo Chigi dall’ex premier allo scopo di governare pur senza stare al governo.
È così fino a un certo punto, giacché – spiegano - la vera quinta colonna del renzismo nell’esecutivo Gentiloni è e resta Luca Lotti – come da programma. Tra i due del giglio magico non a caso negli ultimi tempi le frizioni sono in (ulteriore) aumento vertiginoso, a tratti quasi violente, pur riguardando sempre faccende come nomine, piccole interdizioni, micro poteri in genere.
È sicuro invece che dopo la corsa referendaria Boschi abbia coltivato una immagine di sé diversa. Anche qui, un po’ per convinzione, un po’ per necessità. Frutto, fra l’altro, di una piccola novità: basta con la comunicazione gestita dal renzianissimo Luca Di Bonaventura, che infatti è passato a seguire più da vicino Lotti. Boschi invece si è affidata a un consulente della comunicazione che gli ha consigliato Chicco Testa (ultimamente peraltro molto meno renziano pure lui): Gianluca Comin, titolare della Comin & Partners, già per anni direttore delle relazioni esterne di Enel, nonché portavoce di Paolo Costa nel primo governo Prodi.
gianluca comin francesco bonifazi
Sparita dai social network per quaranta giorni (per poi tornare, a partire da metà gennaio, al ritmo medio un post ogni due giorni), dalla televisione per tre mesi, Boschi s’è fatta comunque meno mediatica e più grand commis. E mentre nel salotto di Bruno Vespa, scelto come rientro catodico, ha fatto persino segnare una flessione di share, nel regno dell’invisibile ha ben dimostrato di sapersi muovere.
Da sottosegretaria a Palazzo Chigi, ha avuto in questi mesi il privilegio dell’ultimo sguardo su tutte le leggi, come s’è capito benissimo grazie alla bufera sul ridimensionamento (poi rientrato) dei poteri dell’Anticorruzione di Cantone, ma anche per gli interventi sul Def, gli annunci di tesoretto; e soprattutto, indirettamente, per le lamentazioni degli altri ministri, controllati fin negli spilli (accadeva anche prima, quando Boschi non aveva le deleghe, figurarsi ora).
Nei Palazzi del resto ha saputo costruire una rete di poteri: il segretario generale di Palazzo Chigi Paolo Aquilanti per dire è uomo suo, sistemato colà nel tempo del renzismo in irresistibile ascesa; un ruolo chiave, come segretario del Consiglio dei ministri, lo gioca Cristiano Ceresani, suo ex capo dell’ufficio legislativo alle Riforme nonché già genero di Ciriaco De Mita e collaboratore di Gaetano Quagliariello.
In questi mesi Boschi è riuscita pure a far sloggiare Antonella Manzione, l’invisa ex capa dei vigili del comune di Firenze, dalla guida del delicato dipartimento degli Affari giuridici e Legislativi di Palazzo Chigi (Dagl), per farla planare (lei nolente) al Consiglio di Stato. Attenzione però: al posto della Manzione è arrivato non Ceresani (che era la precisa richiesta della sottosegretaria), ma un altro dei suoi ex collaboratori alle Riforme, Roberto Cerreto. Il che ha creato un ambiguo effetto ottico: funzionario della Camera, distaccato dai tempi di Enrico Letta, Cerreto è legato, come è naturale che sia, assai più all’ex segretario generale di Montecitorio Ugo Zampetti - ora passato con lo stesso ruolo al Colle.
Ma ecco: Boschi col suo ruolo, le sue impuntature, la sua figura politicamente ingombrante, ha fatto da velo persino a questo. Il che spiega come il ruolo da Gianni Letta, che pure può indossare, le stia nello stesso tempo un po’ stretto. D’altra parte non si darebbe in natura un Gianni Letta col caschetto giallo da operaio, o assiso come se niente fosse nel salotto di Vespa, o fotografato intento a interrare le piantine dell’Orto per l’autismo. Anche così Boschi coltiva invece il proprio personaggio: non invisibile come lo sognerebbe e tenta di conformarlo il renzismo post referendario. Anzi, piuttosto pubblico. Come ambizione, più da riserva della Repubblica che da porta silenzi.
abbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi
E infatti quel che si è davvero rotto, par di capire, è il legame con il partito democratico (semmai ci sia stato davvero): non più protetta dall’abbraccio custodente del caro Matteo, nella celebrazione del Lingotto a Torino Boschi si è trovata davanti un muro di gelo, quando nel suo intervento ha provato a imboccare tardivamente – da sottosegretaria - la strada della difesa delle donne, dopo aver mal gestito - da ministra – la delega delle Pari opportunità. E non a caso sono ormai lontani gli scenari come quelli che la vedevano magari alla guida del partito, magari alla guida del governo, in ogni caso “vice” Renzi a tutto tondo.
Sarebbe impensabile, adesso che più vicino - dicono non senza una punta di cattiveria taluni parlamentari del Pd - sembra essere ormai un ruolo da Nilde Iotti. Una figura che tanto Boschi invocò ai tempi del referendum, per allacciarsi addosso un precedente illustre. E che invece adesso sembra sul punto di divenire un destino plausibile ma, per qualche oscuro verso, beffardo.