INDIA, FACCIAMOCI SEMPRE RICONOSCERE COME TRADITORI
1 - MARO': INDIA; LEGALE,AMBASCIATORE NON PUO'LASCIARE PAESE
(ANSA) - L'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini "non può lasciare l'India senza l'autorizzazione della Corte Suprema prima dell'udienza fissata dalla stessa per il 19 marzo". Lo ha detto all'ANSA l'avvocato Dilijeet Titus, responsabile dello studio legale che assiste i marò. "La Corte - ha proseguito il legale - ha emesso un'ordinanza, firmata dal suo presidente, Altamas Kabir, in cui si chiede all'ambasciatore Mancini di restare in India e di inviare una comunicazione entro il 18 marzo, in vista di un' udienza che si terrà il 19 marzo".
2 - MARÃ, L'INDIA ACCUSA: SOLITI ITALIANI
Alessandro Cisilin
La prevedibile ondata indiana di sdegno è arrivata. Sul caso dei marò l'Italia si ritrova dinanzi al colosso asiatico senza amici, partner, perfino avvocati, mentre la polizia locale si scatena sull'inchiesta Finmeccanica.
Il premier Singh ha minacciato "gravi conseguenze per le nostre relazioni bilaterali se non sarà mantenuta la parola". Chiamato dai parlamentari a riferire alla Lok Sabha, la Camera Bassa, ha accusato le nostre istituzioni di aver "violato tutte le regole dei rapporti diplomatici e messo in discussione gli impegni assunti solennemente dai suoi rappresentanti verso la Corte Suprema".
E di parole ne erano state spese parecchie, dai militari fino al Quirinale. "Rispetteremo l'impegno d'onore", disse il presidente Giorgio Napolitano in video-conferenza con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone il 20 dicembre scorso, dopo la prima licenza concessa dalla magistratura indiana.
La seconda, accordata due mesi più tardi in vista delle elezioni politiche, si differenziava per l'assenza di una cauzione pretesa all'Italia, ma era corroborata dal medesimo impegno firmato dall'ambasciatore Daniele Mancini. "Non me ne andrò finché un'autorità competente non mi dichiarerà persona non grata", puntualizza ora il diplomatico, per il quale la stampa indiana in effetti ipotizza l'espulsione, e ne pronostica perfino la data. Si tratterebbe del 22 marzo, quando scadrà il permesso ai due marò.
Fino ad allora, al di là delle esibizioni muscolari, le autorità indiane manterranno probabilmente un profilo di prudenza, sperando magari nella retromarcia del nostro governo . Ma comunque già stanno valutando se revocare l'immunità diplomatica all'ambasciatore Mancini. The Italian Job, come lo chiamano molti colleghi di Delhi, è indigesto a tutti. Se nel Kerala i colleghi dei due pescatori uccisi l'anno scorso mettono al rogo le immagini dei marò, alla Corte Suprema perfino il loro legale lascia l'incarico per protesta.
"Scioccato", l'avvocato Harish Salve contesta la "rottura della fiducia" da parte del nostro governo. E a irritarsi, come al solito in silenzio, è senz'altro anche Sonia Gandhi e la sua fragile maggioranza, che il caso - anche in ragione della propria origine italiana - rende facile preda della destra nazionalista indù e soprattutto dell'astro nascente Narendra Modi, primo ministro del Gujarat, un signore sospettato di violenti pogrom anti-musulmani. Un pasticcio, dunque.
Il difetto di molti turisti e uomini d'affari italiani in India è che si sentono più furbi dei locali e cercano strade tortuose, diventando così appetibile bersaglio dei più grossolani raggiri. Talmente furbi da aver tra l'altro ampiamente snobbato, fino a una decina d'anni fa, le potenzialità del mercato e della forza lavoro indiana. E la strada del recupero rispetto ai concorrenti globali sembra ora complicarsi.
Nelle ultime ore dilagano i sospetti che dietro alla decisione dell'Italia ci fossero gli sviluppi della vicenda Finmeccanica. Ai fatti, gli eventuali retroscena sono risultati irrilevanti per la magistratura indiana, in quanto non esitò il mese scorso a concedere l'ampia licenza di quattro settimane ai due marò, pochi giorni dopo l'esplosione dello scandalo-tangenti, con l'arresto in Italia del presidente Giuseppe Orsi e il successivo congelamento da parte di Delhi del contratto per la fornitura di dodici elicotteri dalla controllata Agusta Westland.
Per il momento l'eventuale intreccio si appalesa piuttosto nelle conseguenze. L'indagine indiana, finora largamente dormiente - anche per la scarsa collaborazione del nostro Paese sul caso lamentata in precedenza dagli inquirenti - ha ricevuto ieri una brusca accelerazione.
Le sedi di Finmeccanica e Agusta Westland a New Delhi hanno subito perquisizioni dalla Cbi, la polizia criminale indiana, che ha sporto inoltre dodici denunce per truffa e cospirazione criminale. Tra i destinatari, lo stesso Orsi, l'ex amministratore della società italo-indiana Bruno Spagnolini, i consulenti Guido Ralph Haschke e Carlo Gerosa, e l'ex capo di stato maggiore dell'aeronautica indiana S. P. Tyagi, la cui abitazione è stata perquisita.
Mai un militare di tale livello era finito nel mirino della magistratura indiana. Sarebbe stato lui, assieme a due cugini a ricevere le mazzette tramite anche l'intermediazione di una società tunisina. Si è sempre professato innocente, ma gli inquirenti si dicono ora convinti di avere in mano le prove, anche grazie ai documenti giunti da Busto Arsizio.
Questo il delicato contesto che fa da sfondo allo scontro diplomatico sui marò. Sul quale sembra defilarsi perfino l'Europa, in precedenza schierata, seppur tiepidamente, con Roma. "Si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali e nazionali", le parole dell'alta rappresentante agli Esteri dell'Ue Catherine Ashton, che dicono, però, molto poco.
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