dalema

IL SENSO DI BAFFINO PER GLI AFFARI – SETTE ETTARI DI VIGNE IN UMBRIA E ALTRETTANTI DI TERRENI AGRICOLI, PIÙ GLI ULIVI, IL CASALE, LA CANTINA, I MACCHINARI E UNA PISCINA – SECONDO D’ALEMA TUTTO QUESTO BEN DI DIO SAREBBE COSTATO 400MILA EURO. MANCO A ISERNIA

 Pino Corrias per "il Fatto Quotidiano"

 

   Nei fine settimana umbri abito dalle parti di D’Alema, nessuno è perfetto, tra le colline che cavalcano gli orizzonti di Narni e Otricoli. Le sue vigne stanno a 300 metri d’altezza, un centinaio di filari che di solito prendono il sole in silenzio. Lui invece ne straparla.

MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN

 

   Ha battezzato proustianamente l’azienda agricola, Madeleine, ma precisando che si tratta di un anagramma specchiante: “Linee D’Alema”, segnalandoci la sua arguzia. Un po’ di giornali e giornalisti di zona (che al momento non ha ancora denunciato) gli hanno fatto i conti in tasca.

 

Lui dice che tutto l’ambaradan agricolo – sette ettari di vigne, più altrettanti di terreni agricoli, più gli ulivi, il casale, gli annessi, la cantina, le macchine per imbottigliare, la piscina e la sua celebre collezione di cani corsi, “cani che uccidono” – gli sarebbe costato gli spiccioli di Ikarus, la barca, 400 mila euro o giù di lì.

 

   Qualunque contadino in zona, quando glielo dici, si mette a ridere, ma nessuno fiata. Nessuno che dica: allora me ne incarti due così che le prendo anch’io. Ci mancherebbe. Salvo gonfiare un poco le gote e raccontarti del piccolo incasso arrivato di corsa dalle burocrazie di Bruxelles, 57 mila 500 euro, una manciata di anni fa, terzo finanziamento su 74 aziende. Altri contributi? Non si sa. Per ora il prezzo resta un mistero destinato alla leggenda. Un po’ come gli accadde, nell’altra vita, per le scarpe.

MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN

 

Ora che in questa sua nuova stagione s’è battezzato “pensionato di campagna” e che “solo negli intervalli, diciamo” si occupa di quisquilie italiane, ci ha fatto sapere che “questa terra d’argilla e di calcare” lui la vuole vivere. “La voglio vivere”, ha proprio detto.

 

A cominciare dal vino che ha scoperto come sua nuova passione (dopo la politica, dopo il maestrale) fortificata da una sua naturale attitudine: “Ho una certa tendenza a riconoscere il vino buono”. E se non bastasse: “Ho un’inclinazione per il Borgogna” .

 

MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN

E dunque. Nonostante abbia ingaggiato enologi alti di gamma, i fratelli Riccardo e Renzo Cotarella, che di solito lucidano i grappoli a Silvio Berlusconi, al russo Abramovich, e a George Clooney (tre suoi referenti fantasmatici, direbbe l’analista) i vitigni li ha scelti personalmente: Pinot nero, Cabernet Franc, Marselan, Tannat. E più di una volta, complimentandosi con se stesso, li ha anche commentati: “Mai così a Sud dei vitigni così del Nord”. Un genio.

 

 L’azienda, secondo la sua personale contabilità “dà il lavoro a più di qualcuno”. Ma non è che lui si tiri indietro, anzi: “Scarico cassette d’uva da 20 chili”. E quando si ripiglia, segue tutte le fasi della lavorazione, fino al calice e anche oltre. Qualche volta materializzandosi nelle sagre di zona con il banchetto e la cravatta per la gioia dei vecchi militanti e la nostra. La prima volta che ci hanno regalato una sua bottiglia, in casa si è fatto silenzio. L’amica ce l’ha consegnata come una reliquia. L’etichetta recitava “Sfide”, a dire il nerbo del suo produttore.

dalema con il suo vinodalema con il suo vino

 

MASSIMO D'ALEMA OTRICOLI PRESENTAZIONE DEL SUO VINOMASSIMO D'ALEMA OTRICOLI PRESENTAZIONE DEL SUO VINO

E forse anche del suo cane, Ajace. Era un Cabernet Franc in purezza, 14 gradi e mezzo dichiarati, colore rubino, bouquet di frutti di bosco e liquirizia, venatura vegetale. Un po’ troppo tannico al palato. Un po’ troppo costoso al portafoglio, 29 euro. Come dicono i sommelier colti “un vino ruffiano e un po’ fighetto”, un vino d’altri tempi. Stavamo per berlo. Ma poi per celebrare un’antica gag qualcuno ha proposto di buttarlo tutto nel risotto. E il risotto – come l’Italia che proprio D’Alema per una ventina d’anni ci ha cucinato – era cattivo.

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