renzi spalle

"REPUBBLICA": RENZI HA PERSO IL CONTATTO CON LA REALTA’ (L’HA MAI AVUTO?) - LA SUA AUTOCRITICA DELLA SCONFITTA NON CONVINCE FOLLI - LA PROVA? HO PERSO PERCHE’ NON HO COMUNICATO BENE IL REFERENDUM: MA SE STAVA TUTTI I GIORNI IN TV! (ED AVEVA ASSUNTO PURE IL GURU DI OBAMA, JIM MESSINA)

 

Stefano Folli per la Repubblica

 

Un’assemblea durata poche ore, forse troppo poche; un voto a favore del segretario in apparenza “bulgaro”, in realtà reso tale dai tanti assenti; la sensazione di un partito ferito e incerto. Un leader, Renzi, che ha in mano una sola carta da giocare, se ci riesce: le elezioni entro cinque-sei mesi al massimo, con una legge ancora tutta da definire e da approvare in Parlamento.

 

RENZI ASSEMBLEA PD1RENZI ASSEMBLEA PD1

Si potrebbe continuare, nella cronaca di una giornata non proprio trionfale per l’ex presidente del Consiglio. Bisogna infatti distinguere fra gli applausi al capo carismatico e lo spessore del dibattito; fra il desiderio di voltare pagina nel dopo referendum e la difficoltà di analizzare quello che è realmente successo il 4 dicembre; fra la necessità per Renzi di coinvolgere Franceschini e altri nella gestione del partito («d’ora in poi convocherò la segreteria») e la fatica di deporre la stella dello sceriffo solitario.

 

È dentro questa cornice che la platea ha ascoltato una specie di autocritica che tale era solo in minima parte. Certo, il tono del segretario-ex premier era diverso e più conciliante rispetto al passato. Tuttavia ciò era inevitabile date le circostanze e considerato l’accordo interno da cui è nato il governo Gentiloni. Quel governo in cui, sul piano del potere, Renzi è riuscito a ottenere quasi tutto quello che voleva, tranne la delega per i servizi di sicurezza. Almeno finora.

 

RENZI ASSEMBLEA PD2RENZI ASSEMBLEA PD2

Se dunque si fa eccezione per lo stile del discorso, meno veemente del consueto, e per l’apertura a favore del Mattarellum — una mossa attesa e come previsto gradita alla minoranza — , non si può dire che ieri sia nato un altro Renzi. È il medesimo personaggio ben conosciuto, con i suoi pregi e i suoi difetti, con la sua energia vitale e le sue astuzie.

 

Semmai gli si può riconoscere un maggiore autocontrollo e un cambio di passo tattico di cui non tutti lo credevano capace. Ma la sua autocritica, a voler essere sintetici, si può riassumere così: ho sbagliato e ho perso, anzi “straperso”, perché non mi sono fatto capire dagli italiani. Ovvero: perché la comunicazione del governo era carente rispetto all’aggressiva campagna degli altri, il fronte eterogeneo del “No”. Per essere più precisi: abbiamo perso perché non abbiamo saputo usare il “web” e ci siamo arresi alle “bufale” diffuse via internet dagli avversari.

RENZI INSTAGRAM renzi palazzo chigiRENZI INSTAGRAM renzi palazzo chigi

 

Non è tutta qui l’analisi renziana, ma nella sostanza non c’è molto di più. Si comprende allora che c’è molto da riflettere sulla sconfitta del 4 dicembre, sul perché il Sud e i giovani hanno detto no. Altro che “web”.

 

Del resto, il segretario è oscillante. Dice di aver perso, ma poi precisa: «Pensavo di prendere 13 milioni di voti, invece ne ho presi 13 milioni e mezzo»: purtroppo l’affluenza è stata talmente alta che l’onda anomala del “No” ha travolto gli argini.

 

Qui lo sforzo autocritico del leader sembra davvero arenarsi. Perché si limita a chiosare: «non ho compreso la politicizzazione del voto». Come se la responsabilità fosse tutta dell’accozzaglia del “No” — secondo la celebre definizione — e non del tentativo di Palazzo Chigi di trasformare fin dall’inizio il referendum in un plebiscito: o con me o contro di me.

 

Ne deriva che l’autocritica di Renzi sarebbe stata molto più convincente se si fosse addentrata nella vera contraddizione di quei sette mesi di campagna elettorale: credere che l’Italia descritta sulla via della ripresa a tutti i livelli, socialmente coesa e ottimista sotto la guida del leader, fosse quella vera. Solo in quel caso avrebbe avuto un senso, sia pure assai discutibile, la logica del plebiscito. Ossia una mera verifica della straordinaria popolarità del capo.

RENZI AFFACCIATO ALLA FINESTRA DI PALAZZO CHIGI IN MAGLIETTA BIANCARENZI AFFACCIATO ALLA FINESTRA DI PALAZZO CHIGI IN MAGLIETTA BIANCA

 

Viceversa l’epica renziana andava in una direzione mentre il paese arrancava in un’altra. Forse nemmeno il generale De Gaulle, uno che pure amava i plebisciti, si sarebbe azzardato a organizzarne uno in anni di “crescita zero”. Il popolo, quando viene chiamato in causa, merita di essere ascoltato e non solo utilizzato. Altrimenti si finisce per dar ragione all’ironia di Brecht, quando ammoniva i dirigenti della Germania Est che «se il comunismo non va bene per il popolo, bisogna cambiare il popolo».

 

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