1- NAPOLITANO E BERSANI MOLTO INCAZZATI CON MONTI “INTERPRETATO” DA DE BORTOLI 2- STAMATTINA LA “CRONACA” DELLA CRISI RACCONTATA DAL DIRETTORE DEL “CORRIERE” IN UN FLORILEGIO DI VIRGOLETTATI E PROCLAMI HA MESSO IN SUBBUGLIO QUIRINALE E PD 3- MA DAVVERO MONTI VUOLE CANDIDARSI COME DINI NEL '96? E PERCHE' DE BORTOLI HA CAMBIATO IDEA RISPETTO AD UNA SETTIMANA FA SULLE “MANI LIBERE” DI MONTI, CHE ORA RISCHIA DI ESSERE ATTACCATO DA DESTRA E SINISTRA, APPESO A FINI, CASINI E LUCHINO? 4- E DAVVERO MERKEL, HOLLANDE E OBAMA SOSTERRANNO LA "SOTTILE E MALCELATA VOGLIA DI RIVINCITA" DEL PREMIER DIMISSIONARIO, MENTRE GLI ITALIANI SONO TRAVOLTI DALL'IMU E DALL'AUMENTO DELLE BOLLETTE? IN FONDO, SI ANTICIPA SOLO DI UN MESE UNA LEGISLATURA GIÀ FINITA. CERTO, SENZA RIFORME, SVILUPPI, TAGLI DI PROVINCE O LEGGE ELETTORALE. MA NESSUNO CREDEVA Più CHE L'ACCORDO SAREBBE ARRIVATO

1- NAPOLITANO E BERSANI INCAZZATI CON MONTI INTERPRETATO DA DE BORTOLI
DAGOREPORT

Incazzatura, istituzionale quanto si conviene, ma incazzatura dalle parti del Colle Supremo. Incazzatura fortissima e senza infingimenti ai piani alti del PD, stupore generalizzato nel mondo politico, comunque un pezzo di cronaca che ha aggiunto qualcosa a quanto tv e web avevano raccontato ieri sera e stanotte: il lungo articolo firmato (f.d.b), ferruccio de bortoli, sul "Corriere" di oggi e' il caso politico del giorno. Raccoglie lo sfogo di Monti Mario, evoca drammatici scenari di ritorsione sulla povera Italia domattina da parte dei mercati ("ho preferito farlo subito a mercati chiusi". Si, presidente ma domani riaprono. "già , riaprono..."), candida il premier dimissionario alla guida del terzo polo ("c'è in lui una sottile e malcelata voglia di rivincita"), e da' per scontate le dimissioni anticipate di Napolitano.

Quanto basta perché i telefoni diventassero roventi rimbalzando più o meno alla lettera i seguenti interrogativi:

Uno. Ma davvero Monti, al netto della sua incazzatura (che ovviamente c'è ed e' forte non solo verso Berlusconi ma, di fatto, anche verso tutti gli scenari che lo allontanano da palazzo Chigi) vuole tenersi le mani libere per fare la foglia di fico di Casini e Fini, sessant'anni in due in parlamento? E quanto potrebbe prendere uno schieramento del genere, sia pure insieme alle truppe di Italia Futura? Possibile che un uomo della levatura di Monti, sempre al netto della sua ombrosa presunzione, possa pensare davvero ad una operazione del genere, facendo indispettire il suo tutore politico, Napolitano, ed il probabile vincitore delle elezioni, Bersani?

Possibile che nessuno gli ricordi l'avventura elettorale di Rinnovamento italiano, la scialuppa con cui il premier uscente del 1995, Lamberto Dini, partecipo' alla corsa elettorale del '96 riportando percentuali da prefisso telefonico? Lo sa che anche gli italiani più responsabili non ne possono più di IMU e di bollette che aumentano ogni mese di più? Lo sa che verrebbe attaccato non solo da destra ma anche da sinistra? Tanto più che, contrariamente alla mobilitazione dei moderati che riuscì a Berlusconi nel 94 contro la "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto, oggi la mobilitazione più facile e' quella contro Berlusconi nemico da battere.

Due. Sono stati i fantomatici poteri forti, quelli internazionali ovviamente vista la cronica debolezza di quelli italiani, ad muovere Monti e de Bortoli? Sicuramente il network di tecnostruttura europea e mondiale a cui Monti appartiene lo ha indotto a resistere, ma e' difficile pensare che Merkel o Hollande si facciano gioco della sovranità popolare e incitino i mercati contro l'Italia. In fondo, qui si sta discutendo di anticipare le elezioni, già ampiamente previste (la legislatura e' quasi alla sua scadenza naturale), di appena un mese o giu' di li.

Tre. Come mai, e' sempre questa la ricostruzione delle roventi telefonate di stamattina, de Bortoli in una settimana ha cambiato posizione, visto che domenica scorsa da Fabio Fazio aveva parlato di luci e ombre del governo Monti e aveva escluso qualunque discesa in campo di monti nell'interesse del paese e di Monti medesimo? Cosa e' cambiato negli ultimi sette giorni?

Quattro. Nonostante l'ultimatum di monti a Napolitano, la democrazia parlamentare ha le sue regole: lo scioglimento delle camere dopo l'approvazione della legge di stabilita' non e' automatico, ci vuole un passaggio formale per certificare la fine della legislatura. Serve una mozione di sfiducia, cioè un atto politico e non su un provvedimento qualsiasi.

Il Quirinale può decidere un giro di consultazioni nell'ipotesi di rinviare il governo alle camere. Insomma, alla fine, la fine della legislatura non e' nella disponibilità di Monti ma delle forze politiche e del Presidente della Repubblica. Le dimissioni del premier devono essere incanalate in un percorso costituzionale e istituzionale, cosa che Monti da bravo professore ignora. Non cambia la sostanza, tanto la legislatura era finita, ma la democrazia e' fatta anche di forma.

Alla fine, il direttore del Corriere ha fatto il suo lavoro, Monti si farà passare l'incazzatura riprendendosi il posto di riserva della Repubblica (ma con minor entusiasmo dei suoi sostenitori, a cominciare da Napolitano), Bersani sa bene che la politica non e' un posto per professori e il network internazionale di Monti dovrà imparare a rispettare la nostra economia reale e i sacrifici degli italiani che li stanno facendo, nonostante i 15 o 20 punti in più di spread che ci beccheremo domani, non foss'altro perché nel mondo interconnesso si realizzano più facilmente timori e auspici, persino quelli delle vittime designate.


2- MONTI: «IN POLITICA? ORA SONO PIÙ LIBERO»
Ferruccio de Bortoli per "Corriere.it"


(f. de b.) Questa è la cronaca di ore drammatiche nella vita del Paese che mai avremmo voluto scrivere. Un governo muore così. Nella Festa dell'Immacolata, a mercati chiusi, ma a occhi ben aperti di una comunità internazionale che non capisce e da lunedì ci farà pagare un prezzo assai alto. La ridiscesa in campo del Cavaliere aveva già prodotto, dalla convulsa serata di mercoledì, un terremoto inarrestabile, ma sono state le parole di Alfano pronunciate venerdì alla Camera a far cadere le ultime resistenze del Professore. Ricorda un dispiaciuto presidente della Repubblica al termine del lungo colloquio di ieri, nel quale il premier uscente gli ha manifestato, con cortesia e fermezza, la propria volontà di dimettersi, che tutto è cominciato alla fine del Lohengrin alla Scala nella serata di Sant'Ambrogio, dopo quella prima alla quale, forse con anziana preveggenza, aveva deciso di non partecipare.

«Ci siamo sentiti subito dopo », dice Napolitano. Ed era già evidente, seguendo il filo del racconto del presidente, il disagio, il disappunto, non la rabbia perché quella non fa parte del vocabolario di un professore abituato a misurare le parole, a dosare aggettivi e mosse, la sua volontà di porre termine a un anno di governo, che per lui è stato pari a un decennio, di sofferenze, ma anche di soddisfazioni, specie internazionali. Quando Monti parla con Napolitano in una saletta della società del Giardino, antico circolo milanese, sede del ricevimento scaligero, non ha ancora avuto modo di leggere con attenzione le parole pronunciate alla Camera dal segretario Alfano poche ore prima.

Conosce i titoli e il senso dell'intervento, ma non lo ha ancora letto né tantomeno soppesato. Le cinque ore trascorse nel Piermarini ad assistere alla rappresentazione wagneriana, la leggenda dell'eroe romantico in una terra percorsa da liti e contrasti, non devono averlo appassionato molto. Parla poco, Monti, rilascia solo una enigmatica dichiarazione sul Re Sole, ovvero Berlusconi, che si è allontanato da lui. Ma forse vede accanto al cigno bianco di Lohengrin anche quello nero del suo governo, recapitato dal duo Berlusconi-Alfano, con una musica certamente più sgradevole.

Il colloquio telefonico di venerdì sera con Napolitano è il prologo di quello ben più drammatico di ieri sera. La moglie Elsa, incontrata in una sala della società del Giardino, appare turbata. «Mario? È su che sta telefonando». Chi la conosce da tanti anni capisce che qualcosa sta succedendo. E veniamo alla giornata di oggi. Monti racconta di essere stato a Cannes. «Non ho risposto per tutta la giornata alle molte domande che mi venivano poste, soprattutto dagli stranieri. Ho colto il loro sbalordimento per la situazione italiana ».

Il Professore racconta di essere andato a Cannes dopo aver letto e riletto la dichiarazione di Alfano e di essersi convinto che quella era la vera mozione di sfiducia nei confronti del suo governo. Sprezzante sui risultati ottenuti, violenta nei toni, profondamente ingiusta. E si domanda perché non siano stati più coerenti i rappresentanti del Pdl, partito per lunghi mesi responsabile e disciplinato di quella che un tempo era, per sua definizione, una «strana maggioranza», a votargli subito la sfiducia. Sarebbe stato preferibile. E non si capacita il Professore che le parole liquidatorie e persino insultanti, le abbia pronunciate un segretario del Pdl «sempre gentile e premuroso» e improvvisamente trasformatosi in un tribuno duro e tagliente.

«Ho maturato la convinzione che non si potesse andare avanti così». Ho cercato in questi mesi, confessa un amareggiato ma non piegato premier, di non cedere al mio carattere, di essere meno suscettibile, ebbene avrei preferito che staccassero la spina direttamente, con un voto di sfiducia, non in quel modo. Di ritorno da Cannes, Monti si dirige verso Roma, dove lo attende Napolitano. Ha già deciso di dimettersi, con dignità, quella dignità ferita dalle parole di Alfano e dalle pronunce ripetute a Milanello del Cavaliere, ridisceso in campo con quella baldanza che molti osservatori esteri non si spiegano o, peggio, non tentano nemmeno di spiegarsi. «Ho preferito farlo subito, a mercati chiusi». Sì, presidente, ma lunedì riaprono. «Già».

Quando arriva al Quirinale, nella serata di ieri, il presidente della Repubblica che lo ha fortemente voluto alla guida di un governo tecnico che ha salvato l'Italia dalla bancarotta del novembre scorso, sa che il finale è già scritto. I due hanno caratteri diversi, ma la stima e l'amicizia sono profondi. Il capo dello Stato sa che non può fare più nulla. Discutono a lungo della posizione del Pdl e soprattutto della nota di Alfano. Napolitano condivide lo sdegno per le parole del segretario del Pdl, ingiuste nel bilancio di un anno di lavoro del governo tecnico che pur ha avuto alti e bassi, riforme positive e altre meno, ma che ha ridato immagine e rispettabilità al Paese in giro per il mondo.

Capisco e condivido, dice in sintesi Napolitano, il senso di dignità personale e istituzionale che ha mosso il premier ad annunciare le proprie dimissioni. Confessa Napolitano di aver faticato non poco a convincerlo a rimanere per l'approvazione della legge di stabilità, per la legge di variazione di bilancio. Ma entrambi si sono trovati assolutamente d'accordo nell'evitare al Paese l'onta di un avvilente esercizio provvisorio. Napolitano fa ricorso, e si rende conto che il paragone è tutt'altro che esaltante per Monti, al novembre scorso quando convinse Berlusconi a dimettersi e questi lo fece dopo l'approvazione della allora più che incerta e sofferta legge di stabilità. Un paragone che Monti con sense of humor accetta.

La discussione tocca anche la ridiscesa in campo di Berlusconi, che il capo dello Stato giudica, nei toni e negli argomenti, esaltata e pericolosa. Anche per lo stesso Cavaliere. Lo scenario che si apre è, dunque, il seguente. Il giorno dopo l'approvazione della legge di stabilità, e ci vorranno presumibilmente sei o sette giorni, il presidente della Repubblica scioglierà le Camere. È escluso, anche se Napolitano afferma di prendersi una pausa di riflessione sulle modalità, che il governo venga rimandato alle Camere. Il discorso di Alfano è suonato alle orecchie di Monti come una sfiducia conclamata. Dunque, meglio evitare un nuovo e imbarazzante passaggio formale.

Ma la questione resta aperta. Si voterà a questo punto a febbraio. Ciò comporterà, probabilmente, anche le dimissioni anticipate di Napolitano che più volte ha ripetuto di non voler essere lui a conferire l'incarico per la formazione del nuovo governo della prossima legislatura. Il finale di questa, morente nel modo peggiore, è stato ben diverso da quello che il Quirinale si aspettava. Anche Napolitano non si persuade di come sia stato possibile un cambiamento così repentino della scena politica. Anche lui, come Monti, aveva incontrato il «gentile e attento» Alfano e non immaginava una svolta oratoria, alla Brunetta, di tale asprezza. Si aspettava che i moderati e i liberali del centrodestra facessero sentire la propria voce e invece, nelle sue parole, appare forte l'apprensione per la svolta, definita a tratti di bestiale egocentrismo, che il Cavaliere ha impresso alla politica italiana.

Lo sguardo è su quello che accadrà lunedì, sui mercati e nelle cancellerie internazionali che torneranno a considerare l'Italia una fonte di contagio, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. Il governo resterà in carica per l'ordinaria amministrazione, ferito a morte, in una campagna elettorale che si annuncia tra le più difficili e tormentate del Dopoguerra. «Doveva avere il coraggio di staccarmi la spina, sapendo che l'avrei potuta staccare anch'io », ripete Monti in tarda serata, con l'aria sollevata e, conoscendolo, con molta amarezza in corpo.

E forse anche una sottile emalcelata aria di rivincita. E ora presidente, lei è libero di prendere qualsiasi decisione, anche di candidarsi alle politiche, ormai la necessità di essere super partes è caduta o no? Il silenzio dell'interlocutore è significativo, è chiaro che ora si sente libero di decidere. Ci sta pensando, molti lo spingono a fare un passo. E anche il presidente della Repubblica, crediamo, non lo ritiene più impossibile. In poche ore muore il governo tecnico, il paese corre alle urne, in un confronto così radicale che schiaccia moderati e liberali che guardano a Monti con rinnovata speranza.

Forse Alfano non sapeva che con le sue parole ha fatto cadere un esecutivo ma non ha tolto di mezzo un leader. La pressione dei centristi su Monti si intensificherà. E lui non tornerà di certo alla Bocconi. Il Lohengrin della Scala è finito negli applausi. La tragedia italiana continua. Il libretto è tutto da scrivere, la musica pure, la platea assicurata e mondiale, ma purtroppo assai poco disposta nei confronti degli interpreti. Il sipario non scende mai.

 

MARIO MONTI E GIORGIO NAPOLITANONapolitano ha incontrato anche Bersani e CasiniFerruccio De Bortoli e moglie Monti monti addioBerlusconi incontra Monti BERLUSCONI MONTI premier Napolitano - BerlusconiBersani Monti SILVIO BERLUSCONI ANGELINO ALFANO Teatro Alla Scala

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