DURA L’EX (ALTRO CHE EX) - RE GIORGIO NAPOLITANO CONTINUA A IMPERVERSARE E INSIEME A RENZI SPINGE PER UNA STRETTA ALLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE. L’EX CAPO DELLO STATO ATTACCA LA MAGISTRATURA DAVANTI A MATTARELLA, CHE (COME SEMPRE) TACE E ACCONSENTE
Fabrizio D’Esposito per il “Fatto quotidiano”
GIORGIO NAPOLITANO AL TELEFONO
Dopo il boicottaggio del referendum sulle trivelle, la diarchia formata da Matteo Renzi e Giorgio Napolitano si muove per il bavaglio alle intercettazioni, vecchio pallino berlusconiano. È Re Giorgio a tracciare il nuovo solco anti-pm, dopo la Trivellopoli scoperchiata dalla Procura di Potenza: "Penso che sia più che matura l' esigenza di approvare la riforma del processo penale con la norma di delega per riformare le regole e chiarire i termini di comportamento sulle intercettazioni e sulla loro pubblicazione".
Il presidente emerito lo dice nel suo intervento alla chiusura degli Stati generali dell' esecuzione penale, nel carcere romano di Rebibbia, presenti anche il guardasigilli Andrea Orlando e il capo dello Stato Sergio Mattarella. Le parole di Napolitano riaprono un capitolo che sembrava essersi chiuso neanche una settimana fa, in quei Palazzi del potere romano scossi e traumatizzati dalle rivelazioni dell' inchiesta lucana.
NAPOLITANO AL TELEFONO AI TEMPI DEL PCI jpeg
Giunti ormai a questo punto della storia appare sempre più incomprensibile la storia delle dimissioni di Napolitano dal Quirinale all' inizio del 2015. Perché se n' è andato, adducendo motivi di età e di riposo, visto che è di fatto il padre del finto riformismo renziano, nel silenzio del vero titolare del Colle? E così dopo il sostegno alle riforme istituzionali, la botta al referendum con l' appello all' astensionismo, adesso Re Giorgio apre il dossier intercettazioni.
Un' antica ferita per lui, ricordando la complessa vicenda della sua testimonianza al processo per la trattativa Stato-mafia. Napolitano interviene laddove il premier stesso ha cercato di aprire un varco nella sua maggioranza dieci giorni fa, durante una riunione del Consiglio dei ministri.
In quell' occasione, infatti, Renzi ebbe uno sfogo duro, violento contro i magistrati di Potenza, colpevoli tra l' altro di aver sentito la ministra Maria Elena Boschi per il noto emendamento della coppia Guidi-Gemelli.
intervento di giovanni legnini
Secondo le cronache, a fare da sponda al premier fu il guardasigilli Orlando, ottimista su una riforma da varare senza strappi o rotture con la magistratura, alla luce dei codici di autodisciplina di Torino (Spataro) e Roma (Pignatone).
Secondo il piano, l' obiettivo sarebbe stato quello di arrivare a una legge entro l' estate. Il premier ha fatto una (finta) retromarcia con una dichiarazione pubblica: "Il governo non ha intenzione di mettere mano alle intercettazioni", dimenticando di spiegare che è il Parlamento che sta per varare una delega all' esecutivo stesso.
Ora è Napolitano a scoprire il vero gioco del governo. Non a caso, proprio ieri sul Corsera è uscita un' intervista a Giovanni Legnini del Pd, oggi vicepresidente del Csm, che parla di "linee guida" dell' organo di autogoverno e dice chiaro e tondo che "sul caso Potenza, i pubblici ministeri sono stati corretti. Ma certe frasi non dovevano uscire".
In un passaggio del suo intervento, Napolitano, già migliorista del Pci, torna su una sua ossessione: il primato della politica sulla giustizia, in nome del realismo di governo: "Quello tra politica e giustizia è un rapporto che in certi momenti si acutizza in maniera allarmante. Non si può ogni volta che si sta approvando qualcosa di utile, fermarsi perché si accendono polemiche o scandali.
Serve un serio impegno di collaborazione tra poteri e bisogna evitare acutizzazioni di questioni fatali per la salute della nostra Repubblica". Parole gravi, parole di un presidente emerito nel momento in cui alla guida dell' Anm c' è Piercamillo Davigo.