IL MINISTRO DEL LAVORO TEDESCO: “NON È LA POLITCA A CREARE LAVORO MA LE IMPRESE. PORTATE GLI STUDENTI IN FABBRICA”

Stefano Vastano per "l'Espresso"

Solo insieme possiamo dar vita in Europa a una vera crescita e ridare impulso alla nostra economia». Il messaggio che Ursula von der Leyen lancia dal suo mastodontico Bundesministerium für Arbeit, il ministero del Lavoro, sulla Wilhelm Strasse, è chiaro: siamo tutti sulla stessa barca. E a scanso di equivoci la donna più potente del governo di Berlino subito dopo la cancelliera Angela Merkel ci tiene a specificare quello che in Germania ogni imprenditore o operaio sa: «Noi tedeschi siamo forti solo in un'Europa forte».

In questa intervista esclusiva concessa a "l'Espresso", la 55enne von der Leyen, medico di professione, sposata e con cinque figli, spiega non solo le ragioni del successo (e le difficoltà) del modello tedesco, ma anche come i responsabili del governo di Berlino intendono affrontare la crisi del Vecchio Continente. E perché, il prossimo 22 settembre, sarà ancora la cancelliera Merkel, «con il suo stile così pacato, meravigliosamente pragmatico di fare politica», dice Ursula von der Leyen che la conosce bene, a vincere le elezioni.

Partiamo dalla disoccupazione giovanile, che in Germania è al 7,7 per cento, tra le più basse in Europa: a che cosa si deve questo successo?
«Al fatto che dieci anni fa la Germania era considerato il malato d'Europa, affetto da una disoccupazione giovanile molto alta. Insieme ad altre riforme del mercato del lavoro, abbiamo allora concordato un "patto per la formazione" tra imprese e sindacato».

In che cosa consisteva questo patto?
«Si trattava di sviluppare il cosiddetto sistema duale, che consente ai giovani d'imparare il mestiere direttamente nelle imprese. Oggi ne raccogliamo i frutti: un ragazzo su due segue questo percorso di formazione. E le imprese hanno così un serbatoio di personale specializzato che rende forte l'Azienda Germania, visto che le più grandi innovazioni del "made in Germany" è in genere il personale qualificato a crearle».

Più che la politica è quindi la famosa cogestione ad aver creato nuovi posti di lavoro e rilanciato il "made in Germany"?
«Certo: la politica non crea posti di lavoro, questo è compito delle imprese! Qui la gente si aspetta che datori di lavoro e sindacati si assumano le loro responsabilità. Lo Stato non deve immischiarsi troppo nel mercato, ma creare il quadro, cioè le condizioni formali, per sviluppare lavoro».

Insomma, i giovani vanno a scuola con l'obiettivo di apprendere un lavoro...
«Il successo del sistema duale sta nel fatto che la formazione professionale non pregiudica l'accesso all'università. Il ragazzo che ha appreso un mestiere ha sempre la porta aperta per un titolo superiore o per far carriera nell'impresa. Ma l'aspetto più importante è forse un altro».

Quale?
«Sono le imprese che offrono i corsi ai più giovani e quindi la loro qualifica resta legata alle necessità del mercato».

In Germania, paese delle idee, il lavoro manuale è più stimato che altrove?
«Siamo sempre stati un paese di poeti e di artigiani creativi. È importante che l'arte delle innovazioni artigianali sia curata. Le faccio un esempio: sa quanti mestieri offriamo ai giovani nel sistema duale?».

Ce lo dica lei...
«Un ragazzo oggi in Germania può scegliere tra 340 diversi mestieri. Logico che a una tale diversificazione professionale corrisponda un panorama industriale molto articolato. Non è un caso se il "made in Germany" vanti oltre 1.300 imprese all'avanguardia mondiale nei più vari settori. E il bello è che in Germania abbiamo tante medie imprese, dai 50 ai 500 dipendenti, che non finiscono mai di crescere nel proprio settore di nicchia ispirandosi a vicenda».

Ma di recente uno studio ha rilevato che avete un sistema scolastico "di classe": i figli dei ricchi vanno avanti negli studi, gli altri no. Le risulta?
«Senza dubbio non possiamo che migliorare in Germania. Ma da quando sono in politica ho sempre ribadito l'importanza delle scuole a tempo pieno. La realtà è che i ragazzi che non vengono da famiglie abbienti spesso non hanno nessuno che di pomeriggio li segua. Per i ragazzi la scuola a tempo pieno è una chance in più, come per le madri che vogliono combinare famiglia e carriera».

Guardiamo ora alla drammatica disoccupazione giovanile in Italia o Spagna. Il governo di Berlino non si sente responsabile per questa grave crisi nel Sud d'Europa?
«Sì, in quanto cittadino e politico europeo io mi sento responsabile per la crisi al Sud. Ma credo che l'errore di fondo dell'attuale crisi risalga a dieci fa, al momento in cui abbiamo introdotto l'euro, lasciando 17 diverse politiche economiche nazionali. E qui torniamo al nocciolo della questione».

Ovvero ai motivi del successo del modello tedesco?
«Esatto, alla Germania malato d'Europa nel momento in cui si introduce l'euro. Ebbene, quella malattia ci ha spinto a riformare il nostro sistema, mentre altri Paesi non hanno sentito l'esigenza delle necessarie riforme. L'attuale crisi è una crisi di fiducia nelle finanze dello Stato, e per questo dobbiamo consolidare i nostri budget risolvendo i problemi strutturali accumulati in ogni Paese della Ue».

Morale: non è la Germania e la sua politica restrittiva all'origine della crisi nell'euro-zona...
«Certo che no! Se, per ipotesi, supponessimo che in Europa non ci fosse più la Germania, le pare che i problemi degli altri Paesi dell'Unione sarebbero risolti o meno gravi?».

Non ci sarà mai fine alle politiche di austerity?
«In tedesco non abbiamo neppure la parola che traduca "austerity"! Ma basta il senso comune a suggerirci che non possiamo vivere al di sopra dei nostri mezzi, delle entrate che incassiamo. Tutto ciò che spendiamo in più accumula costi ulteriori sulle future generazioni: e io non credo che sia giusto far giocare i nostri figli su montagne di debiti. Per questo dobbiamo modernizzare i sistemi di produzione e di formazione professionale: la nostra vera concorrenza non è in Europa, ma sono gli investitori in un mondo globalizzato».

Bruxelles ha ora stanziato 8 miliardi per incentivare l'occupazione giovanile. Secondo Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, è "solo d'una gocciolina". C'è chi calcola sui 21 miliardi per rilanciare l'occupazione giovanile...
«Prima di tutto siamo felici d'aver realizzato investimenti per 8 miliardi. Secondo, non saranno questi gli unici: ci sono altri 16 miliardi nel Fondo strutturale ancora disponibili. Ma la cosa più importante è che siamo riusciti ad allentare lo stop dei crediti alle piccole e medie imprese. Perché solo se le imprese investono si creano posti per i più giovani. Inoltre la Bei ha garantito di voler investire negli prossimi tre anni altri 18 miliardi per l'occupazione giovanile».

L'università di Duisburg ha calcolato che il 23 per cento dei lavoratori percepisce oggi in Germania meno di 9 euro l'ora e che 8 milioni sono sottopagati. C'è precarietà anche sul mercato tedesco?
«Primo: sempre meglio avere un lavoro che essere disoccupato. Secondo: che la retribuzione sia giusta e il lavoro renda. In Germania abbiamo già 10 settori con l'obbligo del minimo salariale, che interessa 4 milioni di lavoratori».

Da otto anni la Merkel è al potere a Berlino. Come e quanto la Kanzlerin ha cambiato la società tedesca?
«È riuscita ad accumulare una grande fiducia nei tedeschi, mentre traghettava in paese attraverso una grave crisi finanziaria ed economica. Ma alla Merkel spetta ancora un altro merito».

Quale?
«Ha reso più aperto questo paese. Non credo che dieci anni fa una donna in Germania si sarebbe mai lontanamente immaginata di diventare Kanzlerin».

Quindi il 23 settembre il cancelliere sarà ancora lei?
«Sì, ma dobbiano anche qui darci da fare affinché la gente vada a votare: chi vuole Angela Merkel come Kanzlerin deve votare per la Cdu».

E lei non se la sente di sostituire la Merkel?
«Mi farebbe molto piacere far parte del prossimo governo Merkel. Ce l'abbiamo già in Germania una buona cancelliera».

 

 

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