NON MI AVRETE MAI! - ASSANGE GIOCA L’ULTIMA CARTA E CHIEDE ASILO POLITICO ALL’ECUADOR: “MI PERSEGUITANO” - MA NON ERA UN SORVEGLIATO SPECIALE CON TANTO DI BRACCIALETTO ELETTRONICO? IL FONDATORE DI WIKILEAKS SI È RECATO INDISTURBATO NELLA CENTRALISSIMA TRAFALGAR SQUARE DOVE HA SEDE L’AMBASCIATA ECUADOREGNA - IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELL’ECUADOR: “LA SUA DOMANDA È ALLO STUDIO. I SUOI TIMORI LA GIUSTIFICANO” - SI PROFILA UN CASO DIPLOMATICO?…

Andrea Malaguti per "la Stampa"

Nella sua fuga eterna dalla giustizia complicata e per lui certamente infida delle antiche e traballanti democrazie occidentali, Julian Assange, fondatore di Wikileaks, nemico giurato degli Stati Uniti d'America, imprendibile dio dei computer capace di svelare gli orrori segreti delle guerre in Iraq e in Afghanistan, ambiguo dispensatore di verità oscure accusato di stupro da due donne svedesi - vittime o carnefici? - ha deciso ieri di giocare la sua ultima impossibile carta. E scivolando sul filo sospeso nel vuoto che lo potrebbe portare in salvo nella pancia sicura del mondo alla fine del mondo ha chiesto asilo politico alla Repubblica presidenziale dell'Ecuador.

Con uno spettacolare colpo di scena, ennesimo capitolo del suo inarrivabile romanzo esistenziale, l'hacker australiano, Primula Rossa sostenuta da milioni di ammiratori seminati nel pianeta e appoggiato dall'aristocrazia artistica e intellettuale anglosassone, ha bussato alla porta della rappresentanza diplomatica di Quito a Trafalgar Square, nel cuore di Londra, all'ombra della colonna di Horatio Nelson, eroe nazionale dell'Impero Britannico.

Ultimo involontario sberleffo ai Custodi eterni della morale planetaria. «Mi perseguitano, datemi rifugio. Anche l'Australia mi ha abbandonato. Sono oggetto di una persecuzione, non solo per le mie idee e per le mie azioni, ma anche per avere pubblicato informazioni che coinvolgono i potenti, avere reso noto la verità e con ciò smascherato la corruzione e i gravi abusi dei diritti umani nel mondo», ha sostenuto. I buoni che diventano cattivi. Il Sudamerica che diventa la terra della libertà in un rovesciamento dei ruoli tanto cinematografico quanto perfetto per la società liquida del terzo millennio.

È stato il ministro degli Esteri ecuadoregno, Ricardo Patino, a confermare nel corso di una conferenza stampa, la richiesta di Assange. «La sua domanda è allo studio. I suoi timori la giustificano». Accoglierlo vorrebbe dire sfidare le Torri del Potere, collocando il Paese al centro dell'attenzione internazionale. Se la sente il presidente Correa di accettare la sfida? «Il socialismo continuerà. Il popolo ecuadoriano ha votato per quello. Rimarcheremo la nostra battaglia per la giustizia sociale: la supremazia del lavoro umano sul capitale. Hasta la victoria siempre», disse il giorno della sua elezione.

Per questo Assange l'ha cercato ed è barricato nelle sue stanze londinesi. Per questo all'improvviso si trova tra le mani lo strumento simbolico per testimoniare la sua ribelle diversità.

Consegnatosi alla giustizia inglese poco più di un anno fa, difeso da un costosissimo quanto inefficace team legale, Julian Assange, costretto agli arresti domiciliari e controllato da un braccialetto elettronico che evidentemente non è bastato a tenerlo sotto controllo, si oppone alla richiesta di estradizione presentata dalla Svezia.

Dopo una lunga serie di processi, di cavilli e rinvii, il fondatore di Wikileaks ha perso l'ultimo appello davanti alla Corte Suprema che ha deciso di consegnarlo a Stoccolma entro la fine del mese. Le parole del giudice gli sono sembrate velenose, piene di un odio indefinito, come se invece di parlargli volesse sputargli addosso. Ha reagito come sempre. Scappando. Nel nome della giustizia o semplicemente del suo?

 

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