ilva taranto

LA NOSTALGIA CANAGLIA DELL'IRI - MUCCHETTI: ''PELLEGRINO CAPALDO INVOCA L'INTERVENTO DELLO STATO E FRANCO DEBENEDETTI PARLA DI 'DISASTRI DELL'IRI'. C'È UN PICCOLO PROBLEMA: L'IRI NON È MAI FALLITO. ANZI, IL SUO È IL CASO, UNICO NELLA STORIA DEI GRANDI GRUPPI, DI UN "FALLITO" CHE RIMBORSA I CREDITORI FINO ALL' ULTIMO CENTESIMO E LASCIA PURE UNA SOMMA COSPICUA GLI AZIONISTI. E OGGI PER SALVARE LA SIDERURGIA…''

 

Massimo Mucchetti per ''Il Sole 24 Ore''

Presidente della Commissione Industria del Senato nella XVII legislatura

massimo mucchetti

 

 

Quando un uomo come Pellegrino Capaldo indica nella mano pubblica il soggetto che può integrare e, almeno nelle infrastrutture, surrogare la mano privata, è certo saggio richiamare la disciplina di mercato, affinché la nostalgia dell' Iri non deragli nella riedizione della Gepi, la Società per le gestioni e partecipazioni industriali nata nel 1971.

 

Ma poi sarebbe ancor più utile ancorare la discussione sulle policy che Capaldo propone alla realtà dei fatti, anziché al pregiudizio ideologico, come invece fa Franco Debenedetti quando insiste su «i disastri dell' Iri» e liquida i piani dello Stato che «si improvvisa acciaiere», incurante dei cambiamenti in atto nell' industria. Il banchiere umanista Raffaele Mattioli raccomandava a Palmiro Togliatti di "fare i conti" se voleva davvero servire i lavoratori. A maggior ragione dovremmo farli anche noi quando parliamo di imprese.

 

Ebbene, i conti dicono che l' Iri non è mai fallito. Anzi, il suo è il caso, unico nella storia dei grandi gruppi, di un "fallito" che rimborsa i creditori fino all' ultimo centesimo e lascia pure una somma cospicua gli azionisti. Posto in liquidazione dal governo D' Alema, senza alcuna opposizione del centro-destra, l' Iri chiuse i battenti il 31 dicembre 2001. Con un saldo attivo di 24 miliardi di euro, ove si consideri anche la Rai. Nove anni prima, quando Nino Andreatta e Karel van Miert firmarono l' accordo contro gli aiuti di Stato, l' Iri aveva un debito consolidato di 80mila miliardi di lire e uno civilistico di quasi 22mila.

pellegrino capaldo

 

Nel 1993 all' Istituto non affluivano abbastanza dividendi per pagare gli interessi passivi. All' Iri non venne consentito di ristrutturare il debito, come fu invece concesso al gruppo Ferruzzi-Montedison. Cedere le partecipazioni fu perciò inevitabile. Ma già nel 1996 i conti erano a posto.

La somma dei ricavi da privatizzazioni e il valore delle partecipazioni residue darà poi il saldo citato. L' Iri venne smantellato per scelta politica, non per un irrimediabile squilibrio economico.

 

Tanto basta ad accreditare l' idea di rifondare l' Iri tal quale? A mio avviso no: l' Iri era una conglomerata gigantesca fatta da aziende non sempre adatte a competere sui mercati globali, cresciute nella cultura del monopolio (al pari di tante imprese private, come ci ricorda Ernesto Rossi nel suo I padroni del vapore). E tuttavia l' Istituto e le sue finanziarie di settore avevano accumulato competenze industriali delle quali oggi si avverte la mancanza con uno Stato chiamato a turare le falle delle Tlc e della siderurgia, delle costruzioni e del sistema bancario a supporto di iniziative private non sempre in grado di reggere da sole.

 

La siderurgia è, nel 2020, uno di quei settori dove, se ben disegnato, il contributo pubblico può funzionare.

Non aiuta ironizzare sullo Stato acciaiere, come fa Debenedetti. Certo, non si deve dimenticare l' ex Italsider di Bagnoli: uno scandalo che deve mettere in guardia quanti credono di cavarsela a Taranto chiudendo l' Ilva e vivacchiando poi con un' eterna bonifica.

 

FRANCO DEBENEDETTI

Ma non è nemmeno lecito dimenticare che l' Iri diede fiducia a Oscar Sinigaglia e al suo progetto della siderurgia a ciclo integrale quando il senatore Falck si tirava indietro. I governi recenti hanno commesso errori gravi? Non gravi, gravissimi. L' azione della magistratura sui Riva può essere discussa? Ok, ma non meno della loro azzardata gestione.

 

Ciò detto, possiamo tornare allo status quo ante? E magari evitare la progressiva decarbonizzazione dell' economia?

Chiaro che no. E allora mi pare più conveniente accertare se il salvataggio di Taranto non possa aprire nuove prospettive alla stessa ArcelorMittal e avvantaggiare anche la siderurgia del Nord.

 

In questo quadro, non ha senso bollare il Dri (Direct reduced iron) come non economico a causa dei vecchi prezzi del gas senza verificare le disponibilità dell' Eni nel quadro delle nuove dinamiche di questa commodity e del prezzo della CO2. Se facesse queste verifiche, Debenedetti capirebbe quale errore fu accantonare il piano Bondi nel 2014. E da presidente dell' Istituto Bruno Leoni potrebbe vigilare affinché la parziale sostituzione del carbone con il gas avvenga nel rispetto tanto del nuovo corso ambientale della Ue quanto della separazione tra le società delle infrastrutture (Terna, Snam) e quelle industriali e commerciali (Enel, Eni, Edison, eccetera) ai fini di stabilire chi e come parteciperà al grande gioco.

 

ILVA DI TARANTO

La scommessa nazionale sul Dri presuppone che il preridotto venga usato sia per alimentare in parte gli altiforni e molto più copiosamente i nuovi forni elettrici, che il governo vorrebbe a Taranto, sia per alimentare in parte i forni elettrici della siderurgia del Nord.

 

Se le proporzioni saranno quelle giuste, l' Italia avrà una siderurgia più competitiva sul piano economico, perché meno dipendente dalle costose importazioni di rottame, e più avanzata sul piano ambientale, con Taranto che diventa un benchmark europeo come lo è già la Voestalpine di Linz. Diversamente, sarà una sconfitta dell' industria, non dei nostri pregiudizi.

Ultimi Dagoreport

pier silvio giampaolo rossi gerry scotti pier silvio berlusconi

DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E L'INGAGGIO DI GERRY SCOTTI COME CO-CONDUTTORE DELLA PRIMA SERATA DI SANREMO NE È LA PROVA LAMPANTE - CHIAMARE ALL'ARISTON IL VOLTO DI PUNTA DI MEDIASET È IL SEGNALE CHE IL BISCIONE NON FARÀ LA GUERRA AL SERVIZIO PUBBLICO. ANZI: NEI CINQUE GIORNI DI SANREMO, LA CONTROPROGRAMMAZIONE SARÀ INESISTENTE - I VERTICI DELLA RAI VOGLIONO CHE IL FESTIVAL DI CARLO CONTI SUPERI A TUTTI I COSTI QUELLO DI AMADEUS (DA RECORD) - ALTRO SEGNALE DELLA "PACE": IL TELE-MERCATO TRA I DUE COLOSSI È PRATICAMENTE FERMO DA MESI...

elon musk sam altman

NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON MUSK E SAM ALTMAN HANNO LITIGATO SU “X” SUL PROGETTO “STARGATE”. IL MILIARDARIO KETAMINICO HA SPERNACCHIATO IL PIANO DA 500 MILIARDI DI OPENAI-SOFTBANK-ORACLE, ANNUNCIATO IN POMPA MAGNA DA TRUMP: “NON HANNO I SOLDI”. E IL CAPOCCIA DI CHATGPT HA RISPOSTO DI PETTO AL FUTURO “DOGE”: “SBAGLI. MI RENDO CONTO CHE CIÒ CHE È GRANDE PER IL PAESE NON È SEMPRE OTTIMALE PER LE TUE COMPAGNIE, MA NEL TUO RUOLO SPERO CHE VORRAI METTERE PRIMA L’AMERICA…” – LA GUERRA CIVILE TRA I TECNO-OLIGARCHI E LE MOSSE DI TRUMPONE, CHE CERCA DI APPROFITTARNE…

donald trump elon musk jamie dimon john elkann

DAGOREPORT – I GRANDI ASSENTI ALL’INAUGURATION DAY DI TRUMP? I BANCHIERI! PER LA TECNO-DESTRA DEI PAPERONI MUSK & ZUCKERBERG, IL VECCHIO POTERE FINANZIARIO AMERICANO È OBSOLETO E VA ROTTAMATO: CHI HA BISOGNO DEI DECREPITI ARNESI COME JAMIE DIMON IN UN MONDO CHE SI FINANZIA CON MEME-COIN E CRIPTOVALUTE? – L’HA CAPITO ANCHE JOHN ELKANN, CHE SI È SCAPICOLLATO A WASHINGTON PER METTERSI IN PRIMA FILA TRA I “NUOVI” ALFIERI DELLA NEW ECONOMY: YAKI PUNTA SEMPRE PIÙ SUL LATO FINANZIARIO DI EXOR E MENO SULLE VECCHIE AUTO DI STELLANTIS (E ZUCKERBERG L'HA CHIAMATO NEL CDA DI META)

antonino turicchi sandro pappalardo armando varricchio nello musumeci ita airways

DAGOREPORT – DA DOVE SPUNTA IL NOME DI SANDRO PAPPALARDO COME PRESIDENTE DELLA NUOVA ITA “TEDESCA” BY LUFTHANSA? L’EX PILOTA DELL’AVIAZIONE DELL’ESERCITO È STATO “CALDEGGIATO” DA NELLO MUSUMECI. IL MINISTRO DEL MARE, A DISPETTO DEL SUO INCARICO, È MOLTO POTENTE: È L’UNICO DI FRATELLI D’ITALIA AD AVERE I VOTI IN SICILIA, ED È “MERITO” SUO SE SCHIFANI È GOVERNATORE (FU MUSUMECI A FARSI DA PARTE PER FAR CORRERE RENATINO) – E COSÌ ECCO CHE IL “GIORGETTIANO” TURICCHI E L’AMBASCIATORE VARRICCHIO, CARO A FORZA ITALIA, SONO STATI CESTINATI…

friedrich merz donald tusk giorgia meloni trump emmanuel macron olaf scholz mario draghi

C’ERA UNA VOLTA IL TRENO PER KIEV CON DRAGHI, MACRON E SCHOLZ. ORA, COMPLICE IL TRUMPISMO SENZA LIMITISMO DI GIORGIA MELONI, L’ITALIA È SPARITA DALLA LEADERSHIP DELL’UE - LA DUCETTA PREFERISCE ACCUCCIARSI AI PIEDI DI WASHINGTON (CHE VUOLE VASSALLI, NON ALLEATI ALLA PARI) CHE RITAGLIARSI UN RUOLO IN EUROPA - FRIEDRICH MERZ, PROBABILE NUOVO CANCELLIERE TEDESCO, HA "ESPULSO" L'ITALIA DAL GIRO CHE CONTA: A CHI GLI HA CHIESTO QUALE PAESE ANDREBBE AGGIUNTO A UN DIRETTORIO FRANCO-TEDESCO, HA CITATO LA POLONIA, GUIDATA DAL POPOLARE DONALD TUSK (NEMICO NUMERO UNO DEL PIS DI MORAWIECKI E KACZYNSKI, ALLEATI DELLA DUCETTA IN ECR) - “I AM GIORGIA” SOGNAVA DI ESSERE IL “PONTE” TRA USA E UE E SI RITROVA A FARE LA CHEERLEADER DELLA TECNO-DESTRA DI MUSK E TRUMP…