MAL DI PANSA PER RENZI - “IL PREMIER NON È UN POLITICO DI PACE, BENSÌ UN CAPO DA GUERRA CIVILE: PRIVILEGIA L’INSULTO E AMA DIMOSTRARSI UNA CAROGNA PERFETTA - LA BOSCHI? UNA SIGNORA IN PREDA ALLA VOLGARITA’” - "LA CRISI E LA QUESTIONE MIGRANTI ACCRESCERANNO IL RANCORE VERSO IL GOVERNO"
Giampaolo Pansa per “Libero Quotidiano”
Molti si sono sbagliati nel giudicare il personaggio di Matteo Renzi. Quando comparve sulla scena nazionale come leader del Partito democratico e subito dopo da presidente del Consiglio, tanti non compresero chi fosse per davvero quell' ex ragazzone fiorentino che voleva diventare il padrone assoluto della repubblica italiana.
Sembrava un quarantenne innocuo, tendente alla pinguedine, senza nessun passato importante. Un democristiano riciclato nei ranghi della Margherita, con una scarsa attitudine agli incarichi politici decisivi. Quelli limitati alla presidenza della provincia di Firenze e poi alla guida di una città tra le più belle del mondo. Quando non viene mandata a ramengo da un tubo dell' acqua che si rompe.
Splendido luogo per viverci, ma avamposto pubblico di serie C nell' era moderna. Infatti quando si parlava di qualche leader consegnato alla storia si citava sempre quel sant' uomo di Giorgio La Pira e nessun altro. L' allarme non suonò neppure quando l' ex boy scout iniziò a sbandierare il suo programma di governo. Consisteva in una parola sola: rottamazione.
Appena cinque sillabe, ma dal significato preciso: al governo ci devo andare soltanto io, gli altri vanno gettati nel guardaroba dei cani. E nessuno si preoccupò quando Renzi, per dimostrare che non scherzava, tagliò la gola al premier che veniva prima di lui, Enrico Letta. Dopo avergli raccomandato di stare sereno e di prepararsi a rimanere a lungo nelle stanze di Palazzo Chigi.
Questo accadeva nel febbraio del 2014. Da allora sono trascorsi due anni e gli italiani che ancora si interessano alla politica hanno compreso di quale pasta sia fatto il capo del governo.
Prima di tutto, Renzi non è un uomo che unisce, ma divide. Non è un politico di pace, bensì un capo da guerra civile, disposto a tutto pur di vincerla. Ama dimostrarsi una carogna perfetta. Privilegia l' insulto e non l' armonia. Come sempre accade anche per i premier, il diavolo si nasconde nei dettagli. Pensiamo alle contumelie che sin dall' inizio del suo ciclo è andato distribuendo agli avversari.
Ecco i gufi, i rosiconi, i menagramo, i professoroni incompetenti, i conservatori prezzolati.
Si è allineata a questo stile becero anche la ministra che Renzi ama più di qualsiasi altro: Maria Elena Boschi, una dilettante con il compito delicatissimo di condurre in porto la riforma costituzionale. Ecco una signora ormai in preda alla volgarità. Urla che quanti rifiutano il suo capolavoro istituzionale sono soltanto dei fascisti, uguali ai neri di Casa Pound. E nel caso che si dichiarino ex partigiani, dicono il falso poiché il resistente vero è soltanto quello che vota Renzi.
Il premier si è rivelato una fabbrica di offese che non si ferma mai e funziona giorno e notte. L' ultimo sberleffo è di questa fine di maggio. Rivolto ai candidati dei Cinque Stelle li ha definiti «i co.co.pro della Casaleggio associati», vale a dire scherani assoldati dalla società che nell' immaginario renzista è la vera proprietaria della banda di Grillo & C.
Che cosa dirà domani, nel fuoco della battaglia elettorale amministrativa? Accuserà Virginia Raggi, candidata a sindaco di Roma, di essere l' amante del ruvido Grillo o del signorino Di Maio?
Chi segue per ragioni professionali o di schieramento la battaglia per i sindaci delle grandi città e, soprattutto, il conflitto a proposito del referendum costituzionale di ottobre, a volte non se ne rende conto sino in fondo. Ma l' Italia è entrata in un tunnel pericoloso: quello di una guerra civile, per ora soltanto di parole rabbiose, ma capace di passare dalla verbosità isterica ai fatti.
Mi considero un anziano tranquillo e di solito ottimista. Però vedo attorno a me i sintomi di uno stress che può avere conseguenze disastrose. Il cuore dell' Italia ha iniziato a battere in modo anomalo. Come se fosse alle prese con quelle che i medici chiamano fibrillazioni atriali parossistiche.
La nostra convivenza si sta alterando, per lo meno ai piani alti della struttura sociale: imprenditori, politici, esponenti della cultura, giornalisti, magistrati, sindacalisti, potenti di ogni risma.
Vedo dovunque un' ansia di schierarsi, di parteggiare, di assalire, di offendere. Ricordo una sola circostanza simile a quella d' oggi. Era il 1948 e il paese si trovava diviso in due blocchi che si odiavano. Guidati da due leader alternativi: Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
Dopo una campagna elettorale selvaggia, tutto si appianò, grazie alla vittoria del politico più rassicurante, il capo della Democrazia cristiana. Ma l' Italia di allora era una società giovane e vitale, che voleva costruire il proprio boom e riuscì nell' intento. Non era l' Italia spaventata di oggi, alle prese con un' Europa sempre più matrigna, una crisi economica che non si risolve e, soprattutto, con il gigantesco problema dei migranti che trasformerà l' estate del 2016 in un tormento senza fine. E accrescerà il rancore dell' italiano qualunque nei confronti del governo.
Sempre più spesso mi domando se Renzi sia consapevole del futuro che lo attende, insieme a tutti noi. Oppure se vorrà essere sino in fondo una specie di Dittatore dello Stato libero di Bananas, simile a quello del celebre film di Woody Allen. Circondato da sudditi fedeli che aspettano la mancia del premier: un posto in una società pubblica, una consulenza ben pagata, una presidenza ad honorem.
GIAMPAOLO PANSA SECONDO ETTORE VIOLA
Ecco un altro lato oscuro di Matteone I: la costruzione di un cerchio magico di fedelissimi da premiare. La cronaca è una signora bizzosa e si diverte a scoprire altarini che nessuno conosceva. L' ultimo è emerso dopo la frana che ha devastato il centro storico di Firenze, retrocesso al rango di un quartiere romano dilaniato dall' incuria e tradito dalla politica.
La società che, a sentire il sindaco Nardella, sarebbe responsabile del tubo che ha provocato il disastro, era un giardinetto di stipendi lucrosi per le clientele renziste. Nel consiglio di amministrazione la signorina Boschi ha posato le chiappe dal 2009 al 2013, con un appannaggio di novantamila euro l' anno. In compagnia di un altro fedelissimo renzista, poi mandato a dirigere l' Unità, un azzardo assurdo voluto dal premier, insuperabile come il tonno nel premiare gli incapaci.
Adesso il premier accusa i suoi avversari, quelli del no al referendum che si terrà in ottobre, di aver trasformato la consultazione in un processo nei suoi confronti. Renzi la chiama «personalizzazione», fingendo di dimenticare che è stato lui a lanciare il grido di guerra:
«Se perdo, me ne vado a casa e lascio la vita politica». Per imitazione affettiva, il ministro Boschi ha garantito che, nell' eventualità di una vittoria del no, pure lei farà le valige e ritornerà ad Arezzo, dove ad aspettarla troverà il disastro della Banca Etruria.
Incauti e boriosi. Mostrano di essere così il premier e la sua Mariaele, la ministra più ministra di tutte.
ATTENTATO A TOGLIATTI PANSA ITALIA DOPOGUERRArenzi boschi
Senza volerlo e con una gaffe da principianti, hanno offerto un argomento d' acciaio ai sostenitori del no. Volete mandare a casa il super Matteo, la sua donna simbolo e l' intero governo? Nelle mani avete un' arma che può essere letale: sconfiggere il sì chiesto dal governo. Non sarà per niente facile, poiché Renzi è una tigre rabbiosa, dalle sette vite. Però vale la pena di provarci. Poi sarà quel che sarà.