IL PASTICCIO CANTONE E’ LA PRIMA VERA SCIVOLATA PER LA MAESTRINA BOSCHI. NEL PRECONSIGLIO DEI MINISTRI NON HA CAPITO CHE I MANDARINI DEI MINISTERI LA STAVANO PRENDENDO IN GIRO – LA NORMA SOPPRESSA (E POI RIPRISTINATA) DA’ ALL’ANTICORRUZIONE IL POTERE D’INTERVENIRE PRIMA (E SENZA) LA MAGISTRATURA. ERA OVVIO CHE QUALCUNO FOSSE CONTRARIO…
DAGONOTA
Il pasticcio Cantone è il primo vero scivolone della “maestrina” Boschi. Da quel che si racconta, la norma in questione riguarda la possibilità per l’Autorità anti-corruzione di intervenire e sospendere un appalto sospetto anche prima (e senza) l’intervento della magistratura. Insomma, si sostituisce ad una decina di poteri dello Stato. Era ovvio che qualcuno cercasse di bloccarla…
A quanto pare, la norma sarebbe stata discussa ed eliminata durante il pre-Consiglio dei ministri. E qui, entra in ballo la Boschi. Il pre-consiglio è una specie di casbah durante il quale i “Mandarini” dei ministeri (capi di gabinetto e capi uffici legislativi) duellano in punta di diritto per affermare le proprie ragioni su ogni provvedimento destinato al consiglio dei ministri.
Questo tipo di riunione è, o dovrebbe essere, il Regno del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. E’ lui, o lei (nel caso specifico), che deve capire le intenzioni dei Mandarini e di dove vanno a parare. E nel caso specifico, Maria Elena non l’ha capito. Da qui, il pasticcio Cantone.
Poi, sarà pure una coincidenza. La vigilessa Manzione è stata dirottata dall’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi al Consiglio di Stato. E da chi sono venute le critiche principali alle norme cancellate? Guarda caso proprio dal Consiglio di Stato.
Insomma, alla “maestrina” Boschi gliel’hanno fatta sotto il naso: una stoccata per mandare un messaggio a tutto il Giglio Magico. Mandrake Cantone compreso.
1. TORNANO LE MANINE E MANONE A PALAZZO CHIGI…
Goffredo De Marchis per la Repubblica
Il governo cancella il potere dell' Autorità anticorruzione di bloccare preventivamente un appalto sospetto. Il suo capo Raffaele Cantone reagisce, si dice «esterrefatto» e telefona a Paolo Gentiloni in trasferta a Washington. In serata, Palazzo Chigi corregge la rotta: «Sarà posto rimedio in Parlamento e lo faremo in maniera inequivocabile». Rimangono, alla fine, molte domande: chi voleva depotenziare l' Anac, perché, qual è la mano politica che ha cancellato la norma-chiave su cui si regge l' authority?
Tutto ruota intorno alla cancellazione di un comma del codice degli appalti. Un anno fa era stato sancito che l' Anac potesse intervenire, una volta verificato «un vizio di legittimità », chiedendo alla stazione appaltante di rimuovere quel vizio. Pena, in caso di mancata risposta, una multa fino al massimo di 25 mila euro. Questo potere veniva prima di un' eventuale azione della magistratura, quindi anche prima dell' apertura di un' inchiesta.
Era il metodo, con poteri simili, seguito per l' Expo di Milano dove, con tempi stretti, non si poteva aspettare la macchina della giustizia. Questo comma è stato cancellato dal consiglio dei ministri del 13 aprile. Cantone, come racconta l' Huffington post, lo ha scoperto mercoledì sera nel momento in cui ha avuto il testo definitivo del nuovo codice.
Chi ha promosso lo sbianchettamento del comma? La scelta sarebbe stata discussa e approvata nel pre-consiglio dei ministri, la riunione degli sherpa che raduna i capi dei settori legislativi di tutti i ministeri per limare i testi da portare all' approvazione. Il preconsiglio è gestito da Maria Elena Boschi.
In quella sede il ministero delle Infrastrutture ha portato il codice senza correzioni rispetto allo scorso anno. Gli uffici di Palazzo Chigi però hanno sollevato alcune obiezioni. Basate sui pareri del Consiglio di Stato che, più volte, ha espresso dei dubbi sulla norma "preventiva" che garantisce certi poteri all' Anac. Dubbi confermati anche nell' ultimo suggerimento dei giudici amministrativi esaminato durante la riunione del 13. Si è discusso a lungo della materia, tutti i tecnici sono intervenuti e insieme si è deciso per l' abolizione del comma.
Come dire: tutto è avvenuto alla luce del sole. Gli uffici guidati dalla sottosegretaria Boschi dunque derubricano il caso a scelta tecnica, indotta dal parere del Consiglio di Stato. Un intervento come tanti. Per esempio, si fa notare, è stata cassata anche una norma che nulla aveva a che fare con il codice degli appalti: si voleva concedere all' Anac l' autonomia sul trattamento economico dei suoi dipendenti.
abbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi
In consiglio dei ministri però, giurano i testimoni, del comma-chiave non si è praticamente discusso. Sì, qualche accenno al Consiglio di Stato e al nuovo codice. Niente di più. Certo, nessun dibattito approfondito sul depotenziamento di Cantone. Ovvero, sul punto politico del provvedimento. Insomma, la maggioranza dei ministri si è subito tirata fuori dal pasticcio. Pasticcio reso palese dal dietrofront di Gentiloni.
«Da parte del governo - spiegano in serata fonti di palazzo chigi - non c' è alcuna volontà politica di ridimensionare i poteri dell' Anac. Sarà posto rimedio già in sede di conversione del testo e in maniera inequivocabile ». Caso chiuso. Con molti punti interrogativi. Già prima della nota dell' esecutivo, il Pd sia con Matteo Orfini, vicino a Renzi, sia con Francesco Boccia, legato a Emiliano, aveva preso le distanze da quel tratto di penna: «Un errore da correggere subito ».
Il candidato alla segreteria Andrea Orlando aveva auspicato «una riflessione del governo su quella norma». Proteste anche da Stefano Esposito, senatore del Pd: «Il Consiglio di Stato non chiede la cancellazione del comma, ma una semplice riscrittura». Si scatena il Movimento 5stelle.
Parla di «colpo di spugna» e collega la correzione allo scandalo Consip: «Tutto questo emerge proprio lo stesso giorno in cui l' ad di Consip Marroni incontra Cantone. La tempistica è sospetta visti i personaggi del Giglio magico finiti sotto inchiesta ». Attacca Luigi Di Maio: «Il governo fa l' anticorruzione depotenziando Cantone».
2. SCONCERTO DEL PRESIDENTE ANAC
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
Quando ha ricevuto il testo finale della legge dal senatore del Pd Stefano Esposito, relatore in Parlamento sulle modifiche al codice degli appalti, Raffaele Cantone ha trovato la sorpresa e l' ha subito chiamato, per chiedergli spiegazioni. Esposito stava guardando Barcellona-Juventus in tv, e non ne sapeva niente; s' è informato a sua volta, e ha ritelefonato scandalizzato al presidente dell' Anticorruzione: «È vero, hanno tolto la norma che vi consentiva di intervenire senza dirci niente!».
La discussione è andata avanti per un po', Cantone e lo stesso senatore erano increduli e d' accordo nel sostenere che il governo non poteva modificare il testo già sottoposto alle Camere senza ripassare dalle apposite commissioni: «È una procedura incostituzionale; a parte il merito della questione, che è già grave, ancora più grave è il metodo».
Un metodo che ha portato a cambiare le carte sul tavolo di Palazzo Chigi, forse addirittura dopo che il consiglio dei ministri aveva approvato il testo: il potere di intervento sugli appalti sospetti, mediante «raccomandazione vincolante» di sospendere le procedure a chi deve affidare i lavori, è stato cancellato tout court senza curarsi del Parlamento e senza avvisare l' Anac, cioè l' ente direttamente interessato.
Di qui l' immediata reazione pubblica del senatore Esposito: «Quel comma va reintrodotto, è uno dei punti qualificanti del codice degli appalti per prevenire possibili casi di corruzione».
Cantone ha preferito agire senza ricorrere a esternazioni, e per tutta la giornata di ieri è stato in contatto con il premier Gentiloni e vari ministri interessati alla questione, da Delrio a Minniti. Nel tentativo di capire che cosa era successo, scoprire il mandante di una manovra ufficialmente senza paternità (che comunque ha tutta l' aria di un altolà al suo ruolo di controllo e prevenzione) e cercare una soluzione.
PALAZZO SPADA - CONSIGLIO DI STATO
La norma cancellata era in vigore da un anno, ma l' Anac non l' ha mai applicata perché prima voleva darsi regole precise sugli interventi, approvate solo a febbraio. Quindi nessuno poteva lamentarsi di eventuali abusi che non ci sono stati. «Io stesso sono consapevole della serietà di questa prerogativa, perciò voglio un regolamento chiaro», aveva spiegato Cantone a chi gli chiedeva la ragione di tanta cautela.
Contro la norma s' era schierato il Consiglio di Stato, con almeno un paio di pareri che segnalavano la contraddittorietà del termine «raccomandazione vincolante» e il rischio di incostituzionalità di un potere così invasivo assegnato a un organismo di vigilanza. Ma durante la stesura della legge originaria questo orientamento era già stato espresso, senza che nessuno ne avesse tenuto conto; quando è stato ribadito, è diventato improvvisamente il grimaldello per sopprimere la norma.
Sopprimere, non modificare come suggeriva il Consiglio di Stato. Di qui i dubbi che, al di là degli aspetti tecnici, ci sia qualche altro interesse dietro il blitz che ha sfilato dalle mani di Cantone una delle possibilità d' intervento più significative prima ancora che potesse esercitarla.
Nelle stanze dell' Anac (come nelle altre sedi istituzionali, dalle sedi del governo al Quirinale) si è cercato di ricostruire l' accaduto, senza successo. E in serata Cantone s' è limitato a prendere atto, con soddisfazione, dell' annunciata intenzione riparatoria di Palazzo Chigi. Certo, gli interessi delle imprese e delle stazioni appaltanti possono confliggere con una norma che attribuisce un controllo tanto invasivo al suo ufficio, e potrebbero aver inciso su una decisione dalle evidenti conseguenze politiche. Anche se adesso si proverà a ridurre tutto a una questione tecnica, e a qualche malinteso.