PER EVITARE IL PANTANO DEL PARLAMENTO E GLI EMENDAMENTI DELLA MINORANZA PD, RENZI VUOLE METTERE LA FIDUCIA SULLA RIFORMA DEL LAVORO - IL BULLETTO TOSCANO VUOLE CHIUDERE LA PARTITA PER SVENTOLARE LA RIFORMA IN EUROPA
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Il governo è orientato a mettere la fiducia sulla riforma del lavoro. Lo fa capire il ministro Giuliano Poletti quando dice «abbiamo la necessità di un’approvazione rapida e certa» perché mercoledì, al vertice europeo sul lavoro convocato proprio dall’Italia, «deve essere chiara la volontà del governo di fare le cose».
Quindi, dopodomani la legge delega verrà approvata dal Senato con un voto su cui l’esecutivo verifica la sua tenuta complessiva. Matteo Renzi scontenta così la minoranza del Pd e quei senatori che avevano chiesto di discutere gli emendamenti per salvare l’articolo 18. Ma la fiducia gli garantisce, in fondo, il consenso dei dissidenti o almeno dei più moderati tra di loro. Se ci fossero 4 o 5 “no” non sarebbe un dramma.
Adesso il confronto dentro il governo è su come arrivare al momento cruciale. In questo senso il programma delle prossime ore appare decisivo, anche per capire se ci sono i tempi tecnici per arrivare a un voto finale senza passare dallo strumento della fiducia che rischia di irrigidire le posizioni dei ribelli democratici.
Oggi si vedranno a Palazzo Chigi Renzi e i ministri interessati. È convocato anche un Consiglio dei ministri che potrebbe già autorizzare la fiducia per mercoledì. Però domani il premier ha appuntamento con i sindacati nella sala Verde, ovvero nel luogo-simbolo degli anni della concertazione. Farli sedere a cose fatte non sarebbe un grande segnale di distensione.
Gli uffici di Palazzo Chigi e del ministero del Lavoro si tengono pronti per ogni tipo di soluzione. Anche ieri sono continuati gli scambi telefonici con i dissidenti del Partito democratico e con il presidente dei senatori del Nuovo centrodestra Maurizio Sacconi. L’Ncd ha messo il veto su un nuovo testo che precisi troppo nel dettaglio il contenuto della riforma.
GIUSEPPE MUSSARI E SUSANNA CAMUSSO
«Se irrigidiamo il mercato in entrata con il contratto a tutele crescenti e eliminando altre forme contrattuali e allo stesso tempo lasciamo in sostanza tutto com’è per i licenziamenti, la riforma non serve a niente», continua a ripetere il coordinatore Gaetano Quagliariello. Gli alfaniani dunque sono favorevoli a un voto sul testo uscito dalla commissione, ovvero su una delega molto ampia e generica.
Sarà poi l’esecutivo a riempirla. Ma Poletti non esclude, al contrario, un super-emendamento che includa alcune novità. Le regole sui licenziamenti e il reintegro in alcune fattispecie. La precisazione sui casi in cui si può ricorrere al giudice e gli altri in cui è previsto un indennizzo standard e automatico. È quello che c’è scritto nel documento approvato dalla direzione del Pd.
«La fiducia senza emendamento sarebbe uno schiaffo non solo ai dissidenti ma alla stessa maggioranza del Pd, allo stesso Renzi. Può permetterselo?», si chiede il senatore Francesco Fornaro, uno dei 30 firmatari delle proposte correttive. A Renzi interessa però portare a casa il risultato e farlo in tempo per mercoledì. «La fiducia — dice Fornaro — è dura da digerire. Ma nessuno di noi vuole far cadere il governo. Saremo responsabili ». Vale a dire: alla fine i voti del Pd non mancheranno.
Certo, la mediazione conquistata a Largo del Nazareno e sbandierata come un successo, perderebbe il suo appeal iniziale. Tanto più con la fiducia. Eppure anche chi ha lavorato a quel punto d’intesa, sembra preoccuparsi poco.
«I veti di Sacconi non mi fanno paura — spiega il presidente del Pd Matteo Orfini —. È meglio precisare la delega, ma se non si riesce a farlo per mercoledì, è bene sapere che i decreti delegati li scriveranno e approveranno Renzi e Poletti, ossia due esponenti del Pd. Io mi fido di loro».
Il ministro del Lavoro annuncia per esempio che accanto al reintegro per i licenziamenti discriminatori, «mai stati in discussione», saranno previsti specifici «casi di reintegro» del posto di lavoro «per i licenziamenti disciplinari che poi saranno risolti nel testo del decreto».
Cioè dopo il voto sulla legge delega. E Poletti è sicuro che oggi si troverà una base di accordo. Ma sarà un accordo che andrà spiegato per evitare sorprese in aula. Domani infatti il titolare del Welfare sarà anche al Senato per l’assemblea dei senatori del Pd.