PRENDI L’ARTE…E IMPONIGLI DEI DAZI - TRUMP FA TREMARE IL MERCATO DELL’ARTE: IL NEO PRESIDENTE HA PROMESSO UNA REVISIONE AL RIALZO DELLE ALIQUOTE SULLE IMPORTAZIONI DELLE OPERE D'ARTE CHE, PER I BENI PROVENIENTI DALL'ITALIA, POTREBBE AGGIRARSI INTORNO AL 20% - MA NON È L’UNICO STRAVOLGIMENTO CHE SPAVENTA IL SETTORE: LE GRANDI ISTITUZIONI MUSEALI, MA ANCHE I GRANDI COLLEZIONISTI, POTREBBERO ESSERE INVITATI A CONCENTRARSI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA AMERICANA, IN LINEA CON LA VISIONE NAZIONALISTA VOLUTA DA “THE DONALD” – UN CAMBIO DI PROSPETTIVA CHE RISCHIA DI…
Estratto dell’articolo di Michela Tamburrino per "la Stampa"
[…] Il sensibile mercato dell'arte è spaventato dai dazi […]
Trump ha promesso una revisione al rialzo delle aliquote sulle importazioni delle opere d'arte che per i beni provenienti dall'Italia potrebbe aggirarsi intorno al 20%. E a rimetterci potrebbero essere collezionisti e artisti che potrebbero vedere le quotazioni personali cambiare in virtù della loro provenienza. Un timore che tocca, per altri versi, persino i nomi americani. […]
I DAZI DI DONALD TRUMP - MEME BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA
[…] Fornisce un'analisi articolata Michele Casamonti, titolare della Tornabuoni Art, uno dei galleristi più influenti con spazi espositivi a Firenze, Parigi, Milano, Roma. «L'America che ha eletto Trump, è "l'America prima di tutto". Riflette l'attitudine culturale meno plurale e pluralista del paese. Ora le grandi istituzioni museali ma anche i grandi collezionisti potrebbero essere invitati a concentrarsi sulla produzione artistica americana, dunque a celebrare la memoria americana del Novecento […]».
Prosegue Casamonti: «Io non ho timori per i grandi italiani, Fontana, Boetti, Burri, Castellani, Kounellis, Pomodoro, nomi già entrati nelle collezioni americane. Il rischio esiste per i meno affermati. […] Molti stentano a capire che la vera egemonia culturale si esercita riconoscendo il valore nella pluralità. […]».
donald trump in conferenza stampa
Eppure adesso le icone americane sono un feticcio per i collezionisti di casa. «Si potrebbe creare una torre di Babele, il rischio è che prevalga la mentalità del primeggiare come accadde all'epoca del Piano Marshall con la difesa della Pop Art e delle grandi major americane del cinema. I grandi artisti sono tali indipendentemente dal loro passaporto. Picasso è un dono dell'umanità, Pollock, Duchamp, Fontana, quella generazione che ha cambiato il linguaggio dell'arte a New York come a Roma, a Parigi come a Berlino, artisti che negli stessi anni hanno rotto gli schemi dell'arte e rappresentano un sentire e un confronto comune senza divisioni relative alle nazionalità».
Appelli accorati che rischiano di cadere nel vuoto perché Trump ha ben presente quanto vale il mondo dell'arte. Tanto da volersene appropriare, in termini di consensi, iniziando il suo secondo mandato dopo una serata di raccolta fondi nei musei di Washington, rivolta ai donatori al National Building Museum. Il suo vice, JD Vance ha ospitato i sostenitori alla National Gallery of Art. Raccolta fondi che ha fruttato 250 milioni di dollari; Il Guardian scrive che tale privilegio costava un milione di dollari. Fondi che secondo il New York Times dovrebbero confluire nelle mani di un comitato creato per un'eventuale biblioteca e museo presidenziale.
Contemporaneamente Trump pare voglia rispolverare un suo cavallo di battaglia, eliminare drasticamente i finanziamenti alle agenzie federali per le arti e la cultura. Cultura che per il presidente ha un'accezione allargata anche agli stili architettonici. Nei suoi editti si legge: neoclassico, sì, modernismo, no. E gli edifici pubblici sono chiamati a uniformarsi alla richiesta linea tradizionale, in spregio alle tendenze architettoniche progressiste.