PUGNI E MORSI - L'EX PRESIDENTE EGIZIANO, IN GABBIA COME IL SUO PREDECESSORE MUBARAK, SFIDA I GIUDICI CHE LO PROCESSANO: "SONO IO IL PRESIDENTE"

Alberto Stabile per "la Repubblica"

Questa volta ha dovuto togliersi l'abito scuro presidenziale, per indossare la tuta bianca dei carcerati. Ma nonostante sia stato costretto ad entrare in una gabbia di vetro insonorizzata, separata dagli altri imputati, Mohammed Morsi è riuscito a farsi sentire: «Chi siete voi? Voi non sapete chi sono io!», ha urlato ai giudici, in uno scatto d'ira. «Sono il capo di questa corte penale», ha risposto pacatamente il magistrato.

«E io sono il legittimo presidente della Repubblica egiziana», ha ribattuto Morsi levando i pugni al cielo e sfidando ancora una volta la legittimità dei processi che gli sono stati imbastiti contro da quando, lo scorso 3 Luglio, è stato forzatamente spogliato della carica di «primo presidente eletto».

Il luogo è l'ormai famosa Accademia di polizia, e anche l'aula, rumorosa e inquieta, è la stessa in cui vengono processati i potenti d'Egitto caduti in disgrazia. Fino a qualche mese fa è qui che, disteso su una lettiga, lo sguardo nascosto da un paio di occhiali da sole, è stato trascinato Hosni Mubarak, l'ultimo raìs travolto dalla rivoluzione.

Oggi, per un capovolgimento della storia, sul banco degli imputati c'è il successore di Mubarak, quel Mohammed Morsi che, in quanto esponente del partito-setta dei Fratelli Musulmani, da Mubarak era stato perseguitato. Fino alla temporanea rivincita del giugno 2012, quando aveva vinto le elezioni.

Succede sempre così nelle rivoluzioni. Chi vince si arroga il diritto di "fare giustizia", perché non c'è nulla che legittimi il potere subentrante più di una sentenza di tribunale. La giustizia di Morsi ha accusato Mubarak di aver fatto sparare sulla folla di Piazza Tahrir e di essersi arricchito, assieme al suo clan, a spese dello stato. Processi che continuano.

Adesso, Morsi si vede accusato dal governo politico-militare insediato dal nuovo uomo forte del paese, il Maresciallo di campo, nonché prossimo probabile presidente, Abdel Fattah Al Sisi di una lunga serie di nefandezze: dall'aver ordinato (anche lui, come Mubarak) di sparare sulla gente che protestava contro la sua gestione del potere all'aver ordito una trama terroristica, dall'aver offeso la magistratura all'aver messo in piedi una sorta di complotto con la complicità del Movimento islamico palestinese, Hamas, e della milizia filo-iraniana libanese, Hezbollah, per evadere dal carcere nei primi giorni della rivoluzione esplosa il 25 gennaio 2011.

E di quest'ultimo episodio si parla oggi nell'aula dell'Accademia di Polizia, dove, a parte le battute lanciate all'inizio dell'udienza, Morsi ha cercato di sfogare la sua ira repressa camminando su e giù per la gabbia. Dietro di lui, in un diverso cubo di vetro, rafforzato da sbarre, gli altri 28 imputati presenti, in pratica tutto il vertice dei Fratelli Musulmani, sembravano più impegnati a salutare i parenti che a manifestare il loro dissenso.

Soltanto qualcuno ha sollevato le quattro dita diventate il simbolo della Fratellanza detto "Rabaa", che in arabo vuol dire "quarto" ma è anche un omaggio alla moschea "Rabaa
al Adawyah", dove, a metà agosto, si accanì la repressione contro i sostenitori di Morsi.

Morsi a giudizio, tensione immediatamente alle stelle. Mentre si apre il processo all'ex presidente, un alto ufficiale del ministero dell'Interno, il generale Mohammed Said viene ucciso da due killer in motocicletta appena salito sulla sua auto, ad Haram, nel quartiere di Giza. Manifestazioni e scontri, seppur limitati, davanti all'Alta Corte, Piazza Ramses, e sulla via Taalat Harb, in pieno centro. Nel tardo pomeriggio, tre uomini su un'auto sparano contro una chiesa coopta in nuovo quartiere del Cairo, uccidendo un poliziotto.

 

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