QUANDO BORGES PARLAVA CON ARBASINO - “LA LETTERATURA NON È FATTA DI PAROLE, MA DI IMMAGINI, DI SOGNI - BORGES NON MI PIACE, È UNO SCRITTORE MEDIOCRE... MA DEVO CONVIVERE CON LUI - È PERICOLOSO GIUDICARE UNO SCRITTORE DALLE SUE OPINIONI - “SONO UN VECCHIO ANARCHICO. PERÓN ERA UNA GRANDE CANAGLIA” - “L’ITALIA E L’EUROPA SONO IL CENTRO, IL RESTO È PERIFERIA. TOCCA A VOI SALVARCI”...

Roma, San Gregorio al Celio, maggio 1977

[...]
A. E il Realismo?
B. Il Realismo è un episodio, solo un momento nella storia della letteratura. La grande letteratura non è mai stata realista. Anche in un libro che si crede realista, il Don Chisciotte, libro che mi piace molto, ci sono sempre i due elementi, il realistico e il fantastico, ma quello che domina è l'elemento fantastico perché Cervantes è dalla parte di Don Chisciotte e non dalla parte dei contadini o degli altri di buon senso. Anche il lettore è sempre dalla parte di Don Chisciotte: così il libro è in equilibrio fra i due elementi, però il più importante è il fantastico, e prevale sempre. La follia dell'hidalgo e molto più importante dello squallore della realtà spagnola contemporanea che lo circonda, e che è evidentemente disprezzata da Cervantes.

Egli ama piuttosto il mondo fantastico della Bretagna, della Francia cavalleresca e di Roma. Questo c'è anche in Ariosto: cioè l'amare un qualcosa e prenderlo un po' in giro. È ciò che si sente continuamente nell' Orlando Furioso, dove si tratta di questo cavaliere, e intanto lo si canzona, però delicatamente, non troppo. E questo si ritrova in Cervantes, che certamente aveva letto l'Ariosto, gli piaceva molto e ne parla a più riprese... Quando faccio della letteratura fantastica, non faccio un qualcosa di nuovo, ma una cosa che si è sempre fatta, tranne che per un brevissimo periodo di tempo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, e continua ancora nell'America del Nord, e anche nell'America del Sud...

A. Ma continua anche in Europa.
B. Sì, sì. Io non sono davvero un innovatore, e quando ho fatto della letteratura fantastica non ho fatto altro che continuare quello che facevano gli arabi, che hanno inventato le Mille e una notte, quello che faceva Shakespeare, e d'altra parte quello che faceva anche Dante.

A. Già, ma nel Dugento.
B. Letteratura tutta fantastica, comunque. Mai realismo. La Divina Commedia non è certo un libro realistico.

A. Certamente.
B. È un'allucinazione... È... È... Una contraddizione di tutte le letterature dell'oggettività...

A. Già. Ma intanto da molte parti si privilegia oggi nella letteratura quella specie di realismo che «rispecchia le cose, riflette la realtà». Sono slogan correnti: mentre l'immaginazione, compresa l'immaginazione al potere, non sembra ben vista nella letteratura.
B. No. Lo scrittore deve sapere essere fedele alla propria immaginazione: e se è fedele a ciò che immagina, se sogna sinceramente, ecco, è questa la sua sincerità. E io cerco di sognare sinceramente. Credo cioè che sia un errore il pensare che la letteratura sia fatta di parole. No, non è fatta di parole; cioè, è fatta anche di parole, ma è fatta soprattutto di immagini, di sogni.

A. E di libri, di citazioni...
B. E di citazioni di libri. Ma i libri sono poi la memoria dell'umanità, sono il passato... e il passato è anche un sogno...

[...]

A. Ma secondo lei, nella letteratura «creativa», quale è l'importanza del sogno, e quanta invece è la rilevanza degli aspetti «tecnici»? Forse che il sogno coincide con l'Ispirazione, quella tale Musa che visita il Poeta?... O non sarà qualche altra cosa?
B. Sì. Io credo che si incominci sempre con il Sogno, si incomincia con la Musa, si incomincia con lo Spirito Santo, con il Re, con Dio, per gli Ebrei della Bibbia, e poi si lavorano questi materiali. Mi ricordo di un caso famoso: Stevenson ha sognato la scena centrale in cui il Dr Jekyll diventa Mr Hyde; e poi ha dovuto inventare tutto il resto. Ed è la sua ragione, evidentemente, che ha fatto tutto. Ma... la scena centrale è stata un regalo del sogno. Anch'io parecchie volte ho sognato delle storie in modo un po' vago, e successivamente ho dovuto inventare i dettagli, le «circostanze » che la nostra epoca esige [...] Più recentemente ho scritto storie più semplici. Ne ho un po' abbastanza, di labirinti e di specchi.

A. Ne ha abbastanza ora?
B. Sì, assomigliano un po' troppo a Borges, non mi piace Borges...

A. Non le piace Borges?
B. No, non mi piace, è uno scrittore mediocre... ma devo convivere con lui ed è una cosa un po' noiosa, soprattutto quando si hanno settantasette anni e si vorrebbe avere altri interlocutori, per esempio lei. È molto più piacevole parlare con lei che con Borges.

A. Ah sì? Grazie, ma vorrei farle altre domande: lei preferisce il racconto molto breve, evidentemente non le piace il romanzo. Ma perché?
B. Non mi piace il romanzo perché è troppo artificiale!

A. Lo trova molto artificiale?
B. I racconti invece sono sempre delle vere storie [...]

A. Ma io volevo chiederle ancora: nella ricchezza del romanzo, anzi di certe grandi costruzioni romanzesche, come quelle di Proust e quelle di Musil, ci sono delle tali feste dell'immaginazione, tali trionfi delle possibilità della letteratura...
B. Sì, sì, e anche in Joyce.

A. Sì, ma io preferisco Proust e Musil a Joyce... Perché le piace poco questa grande costruzione che è possibile nel romanzo?
B. Perché è una costruzione; so che io non posso farla; posso fare soltanto dei racconti. E poi, dato che io non sono un lettore di romanzi, perché dovrei scriverne? Io non li leggo, all'infuori di Conrad... Conrad mi piace molto...
A. E le piace più degli altri?
B. Sì, ma tutti l'hanno dimenticato. Eppure Conrad ha salvato quello che c'è di epico nel romanzo, e gli altri non l'hanno fatto.

A. È il più grande romanziere, per lei?
B. Per me sì.

A. Più grande di Henry James?
B. Come romanziere, sì, forse. Come narratore, no. Ma io preferisco sempre Conrad.

[...]

A. Ma per esempio, tra i grandi narratori inglesi dell'Ottocento, come Dickens?...
B. Ah, mi interessa molto, Dickens, ma fa parte della letteratura fantastica...

A. Sì, infatti...
B. Quando si legge Dickens non si ha affatto una impressione di realtà; e se lei prendesse le vecchie edizioni di Dickens, vedrebbe che le illustrazioni sono delle caricature...

A. Letteratura onirica?...
B. Sì, sì, Oliver Twist, la notte, i ladri che si confondono con i sogni della notte, sono letteratura onirica... Poi c'è l'aspetto del meraviglioso: Alice nel Paese delle Meraviglie, Attraverso lo Specchio, di Lewis Carroll, sono perfettamente onirici...

A. Ma per esempio, tra i grandi russi, nella vecchia disputa fra i partigiani di Tolstoj e di Dostoevskij, lei da che parte si sente? da quella di Dostoevskij?
B. No, no, assolutamente, io sono per Tolstoj.

A. Ma Tolstoj è un realista, non è un visionario! E allora lei perché sta per Tolstoj? Lo trova torse un fantastico? O non è Dostoevskij, il vero fantastico?
B. Se fosse mai vero, noi dovremmo rispondere con un'altra domanda: noi non sappiamo se l'universo è realistico oppure onirico; se l'universo è onirico, allora anche Tolstoj è onirico, però non ne sappiamo nulla. Forse il mondo è un sogno [...] Ma no, mentre rispondevo alla sua domanda ho pensato a un tratto che provo molto più piacere a leggere Tolsioj, un'emozione più forte che a leggere Dostoevskij. È tutto qua. Io non sono un teorico, non ho idee astratte, sono incapace di pensare, posso immaginare, sognare... posso, a rigore, scrivere... ma non so se posso o no ragionare...

A. Ah no? Ma come?... Per esempio...
B. Non sono un intellettuale. Sono un naif.

A. Ma allora, in questo vecchio gioco della torre o jeu de massacre che si può sempre fare, chi le piace di più tra Balzac e Flaubert, per esempio?
B. Non mi piace affatto Balzac, e mi piace Flaubert. Ma mi piace soprattutto La tentazione di Sant'Antonio.

A. Non Madame Bovary?
B. No, Madame Bovary non ho mai potuto leggerla, non è mai riuscita a interessarmi; e i Tre racconti sono assai fiacchi.

A. E Bouvard e Pécuchet, allora?
B. Bouvard e Pécuchet sì: è un gran libro del diciannovesimo secolo e non soltanto di quel secolo.

A. Noi discorriamo abbastanza di letteratura e fantasia, letteratura e ispirazione, letteratura e tecnica letteraria, ma nel nostro tempo continua sempre quel gran discorso di letteratura e ideologia, e una gran parte dei letterati subordina la letteratura appunto all'ideologia...
B. Io credo che sia un errore. Le opinioni sono quello che c'è di più superficiale; e le opinioni di uno scrittore non contano. Mi ricordo di un testo di Kipling, che mi piace molto, e dove si dice che «è permesso a uno scrittore di inventare una favola, ma non di sapere se è vera»... Dunque, la moralità della favola...

A. La moralità, perché?
B. Ma questa non si sa. Ed è molto curioso, perché Kipling parla prevalentemente dell'uomo bianco e del suo impero...

A. Il famoso «fardello dell'uomo bianco»...
B. Sì, proprio il fardello... Eppure sono sempre quelli dove l'uomo bianco non è davvero il più simpatico. Per esempio, Kim è un grande libro, ma lì si pensa più all'anima che non a Kim. L'anima mi sembra molto più reale di Kim, ed è molto più importante di Kim; e anche per Kipling è così. In somma, aveva le sue opinioni; ma se era fedele alla sua immaginazione, allora, quando si legge il libro, non si è affatto convinti delle sue opinioni, anche perché non contano poi troppo...

Insomma, io credo che sia molto pericoloso giudicare uno scrittore dalle sue opinioni; ed è per questo che io, che non sono cattolico ma non sono nemmeno pazzo, dico che la più grande opera di tutta la letteratura è la Divina Commedia. Questo non vuole affatto dire che io sia credente, o che creda all'Inferno e al Purgatorio e al Paradiso. Questo non c'entra niente. Sono delle opinioni di Dante, queste, o forse delle metafore, immagini che ha preso chissà dove, e dove le ha prese non m'interessa. Quello che mi interessa sono i sogni di Dante, e i personaggi che ha inventato, che ha creato e ricreato... In generale si giudica uno scrittore dalle sue opinioni.

Io, per esempio, ammiro molto Whitman ma non ammiro la democrazia che era necessaria a Whitman per scrivere poesia. Però questo è affar suo, non mio. A me importa soltanto la poesia di Whitman, quello che ha scritto con le sue idee sulla democrazia, che non mi interessano affatto.

A. Ma lei è davvero un vecchio anarchico, o è altre cose?
B. Sì, un vecchio anarchico. Anzi, un vecchio spenceriano individualista. Cioè non sono fascista, non sono comunista, non sono nazionalista, detesto il nazionalismo. Non sono mai stato peronista o nazista, detesto tutto questo. Sono un vecchio anarchico, un vecchio anarchico pacifico, un vecchio signore anarchico individualista, un vecchio lettore di quell'Herbert Spencer che ha scritto L'uomo contro lo Stato, ma intanto abbiamo lo Stato dappertutto, il nazionalismo dappertutto.

A. Si osserva spesso nei più importanti scrittori del nostro secolo che quanto più sono stati rivoluzionari e sperimentali nella loro opera, tanto più hanno avuto opinioni politiche conservatrici; e non parliamo solo dei soliti Céline o Pound, e nemmeno di Marinetti o D'Annunzio...
B. Non credo che Marinetti sia uno scrittore importante, no?

A. Ne parliamo perché siamo in Italia. Tutti quei loro entusiasmi per la guerra... Marinetti cantava la modernità e la guerra, e poi è diventato fascista; e D'Annunzio cantava il grande passato italiano e la guerra, ed è diventato abbastanza fascista anche lui...
B. Vorrei dire una cosa: c'è un libro che mi piace molto, ed è la storia della letteratura italiana di Momigliano. Ma lì non si parla affatto di Marinetti.

A. Non se ne parla?
B. No. Lo si omette, e basta.

A. Eppure il futurismo ha avuto una grande notorietà e una grande influenza, no?... Ma io volevo parlare di scrittori come Valéry, Mann, Benn, Eliot, Pirandello, Montale, Svevo, Rilke, e tanti austriaci: i grandi poeti e i grandi narratori del nostro secolo avevano idee politiche praticamente reazionarie ed erano invece dei rivoluzionari autentici nella loro opera... no?
B. Non lo so, nel mio caso non mi intendo molto di politica e non ne parlo mai; sono un uomo etico, io. Io ero contro il peronismo per un motivo etico, soprattutto; e per ragioni intellettuali.

A. Anche estetiche?
B. Sì, anche estetiche. Perón era una grande canaglia, era una figura sporca e poco intelligente, e le persone perbene gli credevano ben poco.

A. Lei ha sofferto molto sotto il peronismo?
B. È una faccenda privata...

A. È privata?
B. Mia madre è stata messa in prigione, e anche mia sorella e mia nipote. Mi attaccavano attraverso le persone che amavo.

A. Sono cose tipiche delle dittature.
B. Sì, era tutto così abominevole... Non voglio più ricordarmi di quel periodo.

A. No.
B. Finché sono a Roma non voglio più pensare a quei fatti passati.

A. D'accordo: mai nessun rapporto fra vita vissuta e creazione letteraria. Ma allora, per esempio, nel lavoro di uno scrittore, di un poeta... escludendo naturalmente la vita e l'esperienza, che cosa crede sia necessario per compiere la sua opera? Insomma, che cosa è veramente necessario per uno scrittore?
B. Bene, vorrei ricordare ciò che mi disse mio padre più di un mezzo secolo fa. Mi disse: «Bisogna leggere molto, bisogna scrivere molto, ma non bisogna pubblicare, oppure bisogna pubblicare molto tardi». Mi ha dato questo consiglio: leggere, scrivere, e poi stracciare ciò che si è scritto. Pubblicare solo quando si è maturi, ma comunque non è questa la cosa importante.

A. «Molto tardi», allora?
B. Sì, molto tardi; ma questo non è stato possibile, per me. Io ho cominciato troppo giovane; avevo ventiquattro anni quando ho fatto pubblicare, nel ‘23, a Buenos Aires, il mio primo libro. Non ho inviato esemplari ai giornali, alle librerie, agli scrittori, niente. Ho regalato solo agli amici il mio libro. Erano trecento copie.

A. Ma allora quali crede che possano essere oggi i maggiori pericoli per la letteratura? I veri nemici dell'esercizio della letteratura, voglio dire.
B. Credo che attualmente il grande pericolo sia la politica, di qualunque segno. Io appartenevo a un partito conservatore, ma poi mi sono ritirato perché spesso ero già d'accordo in anticipo con opinioni diverse altrui. Credo che sia ridicolo appartenere a un partito politico. Per me è molto singolare: i comunisti mi considerano un fascista, i fascisti mi considerano un comunista, dunque non sono da nessuna parte, sono un vecchio individualista.

A. Non le piace fare dichiarazioni politiche, vero?
B. No; però, a parte questo, credo che noi abbiamo ora il miglior governo possibile per il nostro paese; ma questo non è importante in Italia.

A. E non sente pericoli, disagi, minacce? Per l'Italia, ad esempio, questo è un momento di crisi. Lei non crede che in Argentina ci siano delle ombre nell'avvenire del paese, come del resto ce ne sono nei paesi vostri vicini?
B. Abbiamo passato un periodo anarchico in cui si era governati dalla canaglia. Poi sono venuti soprattutto uomini di amministrazione, che non sono certo gran cosa, ma almeno non sono dei gangster.

A. Chi sono o chi erano i gangster?
B. Perón, naturalmente; e sua moglie; e la sua vedova. Tutte queste persone erano veramente delle canaglie, vere canaglie al potere.

A. Vorrei domandarle un'altra cosa, sulla sua formazione intellettuale. Quando lei ha incominciato a scrivere, ed era molto giovane, nel suo ambiente culturale si era già nell'epoca di Pound, nell'epoca di Eliot, oppure era prima?
B. No, no, io non li conoscevo affatto, a quell'epoca. Leggevo soltanto i classici.

A. Ma quando era ragazzo, e cominciava a scrivere, a quali autori della sua epoca faceva riferimento? Insomma, per lei, quella era l'epoca di chi? Di quale scrittore?
B. Era l'epoca di Shaw, l'epoca di Wells.

A. Ma erano importanti per lei?
B. Molto importanti. È l'epoca in Spagna di Unamuno, l'epoca di Paul Groussac a Buenos Aires. Quanto a Ezra Pound, l'ho conosciuto più tardi e come scrittore non mi piace affatto. Eliot è diverso. Eliot è molto più fine di Pound. Ma non è un poeta che mi piaccia, scrive cose molto fredde.

A. Eliot?
B. Eliot, sì.

A. E come critico?
B. Come critico non me ne importa niente. Vorrei che un critico fosse anche un po' creatore, come De Sanctis o Coleridge, tipi che sanno anche riscrivere i propri testi, mentre in Eliot non c'è critica, c'è una discussione assai meschina, e sempre una certa pedanteria... Non mi piace la prosa di Eliot; ma ciò non toglie che ci siano alcune sue poesie molto belle... Eppure per me Eliot non è un grande poeta inglese. Potrei citare una cinquantina di nomi prima di arrivare a Eliot.

A. E quali sono i primi?
B. Per esempio Frost, e Yeats. Prendiamo il caso di Yeats. Yeats era un nazionalista.

A. Ah, me l'ero dimenticato, nella lista dei rivoluzionari reazionari.
B. Eppure Yeats era un grande poeta malgrado le sue opinioni, malgrado quel suo sistema mistico che è una ridicolaggine... Yeats, sì, è un grandissimo poeta che ha fatto della lingua inglese uno strumento espressivo straordinario. Certi versi non si possono né spiegare né tradurre, ma sono bellissimi al di là di ogni loro significato.

A. Ma come persona, come idee?...
B. Come persona, no, era nazionalista, era un irlandese professionale. Non come Shaw, che era anche irlandese, ma non sempre se ne ricordava. Però questo non c'entra niente... Poteva essere esecrabile come amico, e amabile e ammirabile come poeta. Il poeta resta e l'uomo sparisce, del resto; ed è molto più importante essere ammirabile come amico dell'anima. E più o meno il caso di Croce, forse io non sono d'accordo con Croce, ma io lo amo, lo sento come un amico.

A. Ma per esempio, la posizione di Croce sulla poesia francese del diciannovesimo secolo... Non gli piaceva Baudelaire...
B. E aveva ragione.

A. Non gli piaceva Mallarmé...
B. E aveva ragione.

A. Aveva ragione? Anche a lei non piacciono né Mallarmé né Baudelaire?
B. No, non mi piacciono; ma mi piace per esempio Verlaine, anche se non è un grande poeta, un poeta per sempre, direi. Mi piace molto Hugo, si trovano delle cose splendide in Hugo, per esempio quando dice «L'hydre Univers tordant son corps écaillé d'astres...», è pura bellezza.

A. Baudelaire allora no. Ma Apollinaire almeno sì?
B. Apollinaire era un poeta, mentre Baudelaire era piuttosto qualcuno di costruito, uno che costruiva; poesia con fatica. E molto maldestro... almeno secondo me. Trovo che ha sempre delle... Come dire... E poi non mi piace il suo gusto, non mi piacciono i pipistrelli, non mi piacciono i mobili, non mi piacciono i divani...

A. Ma non le piace questa specie di Grand Mauvais Goùt, questa specie di Kitsch che c'è in parecchi poeti dell'Ottocento, soprattutto francesi?
B. Sì, ma in loro lo detesto. Nel caso di Verlaine, non c'è questo senso del Kitsch; e c'è invece in Oscar Wilde, che chiaramente non è un grande poeta, c'è questo Kitsch, ma con un sorriso, lo prende un po' in giro... mentre Baudelaire prendeva i suoi demoni e i suoi pipistrelli e le sue prostitute e le sue mulatte, tutto, fin troppo seriamente...

A. Ma in quell'enorme magazzino, in quell'immenso deposito centrale del Kitsch intellettuale che è il Bouvard e Pécuchet... lì si tratta di un vero monumento... e non è il trionfo del Kitsch?
B. Già; ma Flaubert faceva dell'ironia; e invece Baudelaire lo prendeva sul serio, lo amava!

A. E vero?
B. Sì, c'è questa sola differenza, ma è una differenza grandissima.

A. Ma volevo domandarle ancora, quando lei era molto giovane a Buenos Aires...
B. Da giovane a Buenos Aires leggevo solo libri inglesi, mi pare; o delle traduzioni in inglese.

A. Ma della letteratura francese, tedesca, italiana?... C'erano nella sua biblioteca giovanile dei nomi, dei titoli, dei libri... c'era qualcosa che l'ha colpita più fortemente in quella fase?...
B. Sono stato avviato alla letteratura tedesca da Carlyle che mi ha mostrato cos'è la Germania. Poi ho studiato il tedesco da solo per poter leggere Schopenhauer in lingua originale. Ho incominciato con le poesie di Heine, che sono molto belle e molto semplici...

A. ...e che lei preferisce a Goethe?
B. Oh, certamente: Heine era ebreo e quindi molto più intelligente di Goethe. Naturalmente questa è una battuta di spirito. Mi piace molto la lingua tedesca, che è anche più bella di ciò che si scrive in tedesco. Mentre nel caso del francese, la lingua è brutta ma la letteratura è bella.

A. E nel caso dell'inglese?
B. Mi piace sia la lingua sia la letteratura. Invece in spagnolo non si è scritto quasi niente.

A. Quasi niente?
B. Sì, c'è il Don Chisciotte.

A. E la poesia?
B. La poesia, sì: Góngora, San Juan de la Cruz. Poi c'è il diciottesimo secolo che è povero come il diciannovesimo. E dopo questi non c'è molto.

A. E il Novecento?
B. Il Novecento è un po' il riflusso dell'America Latina...

A. Con tutti i romanzi sudamericani di questi anni?...
B. Ah, quelli? Veramente non li conosco molto.

A. E non è curioso di conoscerli?
B. Ho letto Garcìa Márquez e lo trovo buono. Gli altri che ho letto non mi sono piaciuti. Si natta di esperienze che appartengono al genere Faulkner: si gioca col tempo. Nemmeno Faulkner mi piace poi molto.

A. Non le piace come Faulkner gioca col tempo?
B. Sì, talvolta lo faccio anch'io e lo fanno molti. È stato Conrad l'iniziatore di questo genere.

A. E naturalmente resta il più grande...
B. Certo che resta il più grande! È proprio Conrad che ha iniziato uno dei suoi romanzi, non ricordo il titolo, con una scena dove ci sono due amici che si incontrano e parlano di un terzo amico, e attraverso la loro conversazione si ricostruisce tutta la realtà di questo terzo amico... Uno dei due dice di aver visto una scena, l'altro afferma di essere arrivato prima e tutto diventa estremamente complicato... Solo verso la fine si capisce di chi parlavano.

A. Ma Faulkner, per esempio...
B. Sì, la medesima cosa, Faulkner l'ha fatta circa vent'anni dopo Conrad, che è stato il primo.

A. (al pubblico televisivo) Vorrei adesso ringraziare tanto Borges per essere venuto qui, per essersi trattenuto con noi venendo poi così da lontano, venendo dall'Ottocento. Come dice lui: «Io sono un uomo dell'Ottocento». Venendo non soltanto da luoghi così lontani nella geografia, come Buenos Aires, ma così lontani nella immaginazione e nell'invenzione come le sue biblioteche sconfinate e immaginarie. Vorrei ringraziarlo di essere venuto. Grazie.
B. Tocca a me ringraziare e poi sono a Roma...

A. È contento di essere a Roma?
B. Molto contento. È il centro, è l'Europa, è l'Italia, è Roma. Roma è sempre l'Impero Romano, che continua sotto altri nomi.

A. Ma lei si aspetta qualche cosa dall'Europa?
B. Mi aspetto tutto dall'Europa. Cosa ci si può aspettare dalla periferia? Periferia sono anche America e Russia. E dalle periferie, cosa ci si aspetta?

A. Lei non si aspetta niente?
B. No, no; tocca a voi salvarci.

A. E lei crede proprio...
B. Io spero che alla fine tutto l'Occidente abbia qualche cosa da voi. Noi facciamo del nostro meglio per aiutarvi. Spero che tutto l'Occidente sia un po' uno specchio, uno specchio eterno dell'Europa: uno specchio fedele; o che cerca di essere fedele. E noi faremo del nostro meglio. Tocca a voi salvarvi, e salvarci anche. Ve lo dice un buon argentino. Io adoro la vostra patria.

 

jorge luis borges jpegborges ALBERTO ARBASINOALBERTO ARBASINO WILLIAM SHAKESPEAREShakespeareDante AlighieriMarcel ProustJames Joycejoseph conradLEV TOLSTOJFËDOR DOSTOEVSKIJGUSTAVE flaubert feq04 giandom magliaro mo evita peroncharles baudelaireFaulkner

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