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LA VENDETTA DEL BANANA - NAPOLITANO "GOLPISTA"! E QUANDO PRENDE LA PAROLA AL SENATO, LOS BERLUSCONES LASCIANO L’AULA - RE GIORGIO: “HO LETTO PAROLE IGNOBILI ATTRIBUITE A BERLUSCONI, DOVREI QUERELARLO…”
1 - LA VENDETTA DI SILVIO: NAPOLITANO PARLA DA SOLO
Franco Bechis per “Libero Quotidiano”
Erano quasi due anni, esattamente da quel 27 novembre 2013 quando fu fatto decadere da senatore, che Silvio Berlusconi non metteva più piede a palazzo Madama.
BIGLIETTO DI NAPOLITANO A PAOLO ROMANI CONTRO BERLUSCONI
Ieri ha varcato l' ingresso per incontrare i senatori azzurri in una delle sale più prestigiose del palazzo: la Koch, battezzata con il cognome di Gaetano, il più celebre architetto dell' Italia umbertina, che a Roma ha realizzato anche l' attuale sede della Banca d' Italia.
Lì fino a qualche anno fa era la biblioteca dei senatori, luogo di meditazione e consultazione. Ieri le austere mura hanno vissuto un' esperienza diversa, facendo rimbombare gli strali del Cavaliere furioso a cui da lungo tempo i suoi non erano più abituati.
Berlusconi ha avuto carinerie per tutti. Giorgio Napolitano? «Un golpista». Angelino Alfano? «È orrido». Matteo Renzi? «Un dittatorello», e così via cantando. Ma al centro della requisitoria del leader di Forza Italia era proprio l' ex Capo dello Stato. La riunione con i senatori d' altra parte era stata convocata per rinserrare le martoriate fila (fra verdiniani, alfaniani e fittiani il gruppo azzurro a palazzo Madama è ormai dimezzato rispetto alle elezioni 2013) prima delle scivolose dichiarazioni di voto finali sulla riforma del Senato.
Mentre la maggioranza dei senatori si facevano hara-kiri appoggiando il loro licenziamento voluto da Renzi e firmato da Maria Elena Boschi, il gruppo azzurro stava pericolosamente ondeggiando. Voci maliziose - e non confermate - di incarichini di secondo piano promessi dalla maggioranza ai pochi reduci azzurri, spifferi di tentennamenti di chi - come Paolo Romani e Altiero Matteoli - era stato protagonista della prima fase della riforma, guardiano severo del patto del Nazareno. E dal fronte opposto qualche manipolo che suggeriva proteste clamorose, se non proprio il lancio di ortaggi, qualcosa di simile.
Non era ancora decisa la scelta del gruppo sul voto finale della riforma: chi proponeva di votare semplicemente no, chi insisteva per l' Aventino e l' uscita dall' aula insieme ad altri gruppi di opposizione.
Chissà chi avrebbe appoggiato Berlusconi... La risposta è arrivata subito, quando un senatore azzurro ha fatto presente che si era iscritto per parlare anche Napolitano, «e forse sarebbe meglio che noi uscissimo dall' aula proprio in quel momento». È lì che il cavaliere non si è tenuto più.
Ha suggerito a tutti di leggersi il capitolo sul golpe del 2011 scritto da Alan Friedman nel suo libro su Berlusconi (che il diretto interessato però non ha gradito: «Non mi piace proprio»). Ha citato le ultime dall' inchiesta di Trani sulle agenzie di rating che confermerebbero proprio la regia di Napolitano e il golpe contro il governo di Berlusconi, l' ultimo eletto direttamente nelle urne.
E allora il leader di Forza Italia si è infiammato: «io sono stato condannato a tre anni per molto meno. A chi si è macchiato di golpe, vogliamo dare almeno 4 anni? Sì, è il minimo protestare quando prenderà la parola Napolitano. Io più che uscire starei lì a fischiare e parlare a voce alta, in modo da non fare sentire la sua». È scappato qualche sorriso distensivo, ma alla fine i suoi hanno convinto Berlusconi che sarebbe stato più efficace uscire subito dall' aula appena fosse stata data la parola a Napolitano. E così hanno fatto nel pomeriggio.
Tutti meno uno: Domenico Scilipoti, che è restato in aula alzando senza dire una parola un cartello con la scritta "2011", subito toltogli di mano dai commessi e dal questore centrista d' aula. Lui però doveva avere assoldato una tipografia per l' occasione e in ogni tasca aveva un nuovo foglietto stampato di riserva da sventolare. La pantomima è durata alcuni minuti, con Scilipoti che faceva finta di tornare sui suoi passi e poi tirava fuori da una tasca segreta il foglietto proibito.
Finchè il presidente dell' aula, Piero Grasso, non lo ha fatto allontanare con tanto di censura che probabilmente gli costerà la sospensione da almeno una seduta. Ma non è stato solo Napolitano al centro dell' incontro fra Berlusconi e i suoi senatori. Anche Renzi ha avuto la sua bella parte. Per il Cavaliere «ha cambiato le carte in tavola» sempre anche quando era vigente il patto del Nazareno. Il premier è «un dittatorello che si è costruito regole grazie a cui con il 25% lui si prende tutto, altro che Porcellum».
Berlusconi addormentato accanto a Napolitano
Capovolgendo le cronache dell' epoca che avevano attribuito a lui addirittura lodi per la decisione di inserire nell' Italicum il voto di lista, davanti ai suoi Berlusconi ha sostenuto che invece è essenziale tornare a quello di «coalizione». Però chi ha poi chiacchierato con lui in privato sostiene che al leader di Forza Italia in realtà non dispiaccia troppo la lista unica. Il terzo bersaglio- piccolo piccolo- è stato Alfano, nei cui confronti è scappata solo una battutaccia da osteria.
È capitato quando il cavaliere ha sostenuto che il suo partito sicuramente riguadagnerà posizioni su posizioni nei sondaggi se solo lui deciderà di andare in tv: «siamo scesi perchè io sono apparso 6 ore in due anni e gli altri 6 ore alla settimana». Nonostante questo nelle classifiche di popolarità che il leader azzurro avrebbe in mano (assai diverse da quelle divulgate nei tg e sui giornali), il nome di Berlusconi sarebbe ancora saldo al terzo posto a poche lunghezze sia da Matteo Renzi (primo) che da Matteo Salvini (secondo), e qualche punto sopra Giorgia Meloni e Beppe Grillo (entrambi sopra il 20%).
Scorrendo la classifica si trova pure Angelino Alfano, al 6%, «e non c' è nulla da fare. Ci sono italiani che hanno il gusto dell' orrido», ha voluto sghignazzare Berlusconi.
Parole altisonanti, che però non sono riuscite a sortire l' effetto sperato fino in fondo.
Quel che resta del gruppo di Forza Italia un po' è uscito dall' aula, un po' no. E nel voto finale nei 179 sì (furono 183 la volta scorsa) che hanno fatto passare il giro di boa alla riforma del Senato ci sono anche quelli di due senatori azzurri, Riccardo Villari e Bernabò Bocca. Quest' ultimo sembrava volere aderire al gruppo di Denis Verdini. Berlusconi l' ha bloccato incontrandolo per lunghe ore ad Arcore. Lui è restato. E ha votato come Verdini.
2 - QUEL BIGLIETTO DI NAPOLITANO: “BERLUSCONI, PAROLE IGNOBILI”
Antonella Rampino per “la Stampa”
Era il più atteso, e per forza di cose il più importante, intervento nel Senato al voto finale sulla riforma costituzionale. E così è stato, perchè il messaggio di Napolitano è stringentemente politico, l’unico messaggio politico che risuonerà tra quelle mura: adesso «bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e di equilibri costituzionali». Anche se poi con le agenzie di stampa Napolitano negherà di essersi riferito all’Italicum, invitando a rivolgersi al governo, il messaggio a Renzi è chiaro: le opposizioni e gli equilibri istituzionali hanno bisogno di attenzione.
L’analisi di Napolitano parte dal fatto che l’avversione alla riforma, i contrasti, le «legittime posizioni critiche», sono frutto del «fatale riprodursi di un atteggiamento di insormontabile sospetto tra gli schieramenti che competono per la guida del Paese». Quella «convergenza», che per il Paese sarebbe «cruciale» e che lui stesso ha tante volte chiesto, non c’è.
Quanto sia di là da venire va in scena direttamente in Senato. Perchè quando Napolitano prende la parola, berlusconiani e grillini se ne vanno, lasciano i banchi vuoti. Ma proprio mentre inizia il suo intervento, nell’emiciclo giusto davanti ai banchi del governo inizia ad aggirarsi con fare buffonesco il forzista Scilipoti. Scuote la testa, se la gratta, leva da una tasca un foglio di carta con su scritto “2011”. Grasso lo riprende, chiama i commessi, e lui rinfodera il foglietto. Poi ricomincia a gironzolare, ritira fuori il foglietto, lo ricaccia in tasca, dice una parola a Gasparri che è lì in piedi...e così via, finché non gli intimano di uscire dall’Aula.
Quella scritta, 2011, è l’eco di quanto sta accadendo nella Sala Koch del Senato, dove si sono riuniti i forzisti. Berlusconi (che anche se non è più senatore ha libero accesso al Parlamento) ai suoi dice più o meno «io Napolitano non l’avrei neanche fatto parlare, ha fatto un golpe contro di me», «nel libro di Alan Friedman viene fuori molto bene la complicità fra Napolitano e ciò che determinò le mie dimissioni». Fabrizio Cicchitto che oggi è un alfaniano ma all’epoca era capogruppo berlusconiano si chiede retoricamente «Ma se era un golpe, perché Berlusconi ha dato vita al governo Monti, e ha pregato Napolitano di farsi rieleggere?»
Napolitano, terminato l’intervento, prende carta e penna e scrive una missiva al capogruppo berlusconiano Paolo Romani. «Ho letto dispacci d’agenzia dalla vostra assemblea...ho letto attribuite a Berlusconi parole ignobili, che dovrebbero portarmi a querelarlo se non fosse da evitare di affidare alla magistratura giudizi storico-politici...».
L’intervento era stato breve e incisivo, bacchettate comprese alle difese da talk show della riforma. No, «non stiamo semplicemente chiudendo i conti con i tentativi frustrati di trent’anni». Stiamo invece cercando di dare «risposte a situazioni nuove e a esigenze stringenti», stiamo necessariamente rafforzando i poteri del premier, liberandoci delle «non virtuose competizioni tra le due Camere», e «associando al vertice delle istituzioni la rappresentanza delle istituzioni locali».
La riforma ieri al voto cruciale è anche la “riforma del presidente”. Napolitano l’ha sollecitata, Enrico Letta la rimise in moto, ma poi è Renzi che se ne assunse la responsabilità. Alla fine, tutti in piedi per un applauso scrosciante, e una carezza sul volto di Sergio Zavoli che si congratulava.