1- UN “PIERACCIONI IN POLITICA”, “UN BERLUSCHINO POPULISTA” O IL FUTURO CHE VERRÀ? 2- BERSANI? “HA L’ETÀ DI MIO PADRE”. VENDOLA E D’ALEMA? “NICHI HA FATTO CADERE IL PRIMO GOVERNO PRODI, PROVOCANDO L’INCIUCIO CHE PORTÒ AL GOVERNO D’ALEMA”. 3- IL SIRE DI HARDCORE NOMINATO UNA VOLTA SOLA, E DI SFUGGITA: “HA L’ETÀ DI MIA NONNA” 4- IL PROGRAMMA: “ALLA DESTRA NON SI PUÒ REPLICARE CON GLI SLOGAN E LA CONSERVAZIONE. BASTA COL PESSIMISMO E IL VITTIMISMO DELLA SINISTRA, PER VINCERE BISOGNA RISCHIARE, PROPORRE RICETTE INNOVATIVE, PREMIARE IL MERITO E ROTTAMARE “L’UGUALITARISMO CHE FINISCE PER STUPRARE” UN OBIETTIVO COME “L’UGUAGLIANZA” 5- MA È L'APPELLO DELL'ECONOMISTA BARBUTO LUIGI ZINGALES AD INFIAMMARE LA STAZIONE LEOPOLDA. “IL MALE OSCURO DEL PAESE È CHE È GOVERNATO NÉ DAI MIGLIORI NÉ DAI MEDIOCRI, MA DAI PEGGIORI. SIAMO UNA "PEGGIOCRAZIA" E SE NON RICOSTRUIAMO UN SENSO CIVILE E MORALE, SE NON SRADICHIAMO IL SISTEMA, NON ABBIAMO FUTURO”

1- "CAMBIARE LE FACCE" LO SHOW DEL SINDACO OLTRE L'ANTIBERLUSCONISMO
Fabio Martini per La Stampa

Sul palco della «Leopolda» Matteo Renzi va avanti e indietro col microfono in mano e parla, parla, parla a macchinetta, ma ad un certo punto rallenta e dice: «Quando sento parlare autorevolissimi amici del nostro partito, mi sembra di ricordare la scena di un film....». In sala si abbassano le luci e sul maxi-schermo compaiono le immagini di «Non ci resta che piangere».

Un frate dalla voce cavernosa dice a Massimo Troisi: «Ricordati che devi morire!». E Troisi: «Come?». Il frate ripete tonitruante: «Ricordati che devi morire!». E Troisi: «Sì, sì, mo' me lo segno...». Si riaccendono le luci, si ride in sala e Matteo Renzi si riprende la parola: «Allora mo' ce lo segniamo: abbiamo capito che ci sono tanti elementi di difficoltà. Però noi pensiamo che sia di centrosinistra dire che questo mondo globalizzato offre molte opportunità al nostro Paese e che alla destra non si può replicare con gli slogan, la conservazione e senza il coraggio».

In questa sequenza c'è tanto Matteo Renzi, l'uomo nuovo della sinistra italiana. C'è la citazione, non colta: lui preferisce quasi sempre estrarla da film o canzoni. C'è la vis comica, che anni fa indusse qualche detrattore di Renzi a definirlo un «Pieraccioni in politica». C'è il comizio come commistione di generi. Ma c'è anche - ed è questa la vera novità della tre giorni del «Big bang» concluso ieri - il messaggio politico col quale Renzi si propone leader del centrosinistra: basta col pessimismo e il vittimismo della sinistra, per vincere bisogna rischiare, proporre ricette innovative, premiare il merito e rottamare «l'ugualitarismo che finisce per stuprare» un obiettivo sacrosanto come «l'uguaglianza».

E poi, con un'uscita molto impegnativa, Renzi ha proposto: «Dobbiamo estinguere i nostri debiti». Spiegandola così: «I nostri nonni politici sono andati al ristorante e hanno lasciato il conto da pagare, ma il debito pubblico è la cosa più ingiusta e immorale che un bambino di oggi si trovi a fronteggiare».

Nell'ultimo giorno del «Big bang», Renzi ha perfezionato il suo messaggio e, per dirla con Sandro Gozi, un giovane non-allineato, «la grande novità è che Matteo sta cancellando le linee tra berlusconismo e antiberlusconismo e annullando il confine tra "noi" e "loro", ha iniziato a proporsi a tutti gli italiani, senza distinzioni».

Con il discorso del sindaco di Firenze si è chiusa ieri mattina la convention voluta da Renzi per lanciare la sua corsa verso la premiership. Convention dalla formula originale. Con 5 minuti a testa, decine di personaggi, competenti ma per lo più sconosciuti, hanno risposto ad una domanda paradossale: cosa faresti se fossi presidente del Consiglio? Le risposte si sono intrecciate con un dibattito intensissimo via Internet (500 mila contatti via streaming, molte migliaia via Facebook e Twitter).

In compenso Renzi non ha sciolto formalmente il tormentone della sua candidatura alle Primarie per Palazzo Chigi, che nessuno sa se si svolgeranno e con quali modalità. Ha detto Renzi: «Se uscissimo da qui con una candidatura faremmo un tragico errore» e dunque «nei prossimi tre mesi faremo conoscere le nostre proposte in tutta Italia». Come dire, senza dirlo: aspettiamo di vedere se il governo dura o no, io intanto giro per l'Italia (ecco la novità dei prossimi giorni), ma sono pronto a candidarmi, sia se si vota tra cinque mesi, sia se si voterà nel 2013.

Trentasei anni, una stazza più significativa di quel che pare in tv (è alto un metro e 86), un'adrenalina da politico in carriera (dorme 4 ore e arriva a Palazzo Vecchio alle 8 del mattino), perennemente collegato con i social network (anche quando va in tv si porta il suo iPad), Renzi ieri ha fatto finta di annunciare che la missione della rottamazione era «completata» con la Leopolda-1 e che questa era l'edizione delle proposte concrete. A cominciare dalle «cento idee per l'Italia», da ieri sera consultabili via Internet.

Ma alla polemica contro la nomenclatura del Pd Renzi non rinuncia. Con uno dei numeri a più forte contenuto comico, ad un certo punto il sindaco ha detto: «In un Paese normale non è possibile che cambino tutte le volte i simboli dei partiti e rimangano le stesse facce. Abbiamo finito la foresta e gli zoo per cercare i simboli... animali, bestie, piante... Manteniamoci il partito che abbiamo e cambiamo i leader!».

Bersani? «Ha l'età di mio padre». Vendola e D'Alema? «Nichi ha fatto cadere il primo governo Prodi, provocando quel tradimento che portò all'inciucio e al governo D'Alema». E un giovane come Stefano Fassina? «Non ci sto a prendere la linea da uno che sta chiuso al partito e non prende voti neppure nel suo condominio». Il Pd? «La sua storia la scrivano i pionieri non i reduci». Primarie? «Non farle sarebbe peggio di un crimine». Berlusconi? Renzi poiché lo considera finito, non lo cita se non di sfuggita («Ha l'età di mia nonna»), ma poi fa una battuta sul centrosinistra: «Se non vinceremo le prossime elezioni ci daranno il premio Nobel: saremmo da trattamento sanitario obbligatorio».

Prima di Renzi, aveva parlato Luigi Zingales, economista che insegna negli Stati Uniti che si è prodotto in alcune definizioni apprezzatissime dai duemila della Leopolda: «L'Italia si è trasformata in una peggiocrazia, governata dai peggiori»; per effetto del sistema delle «raccomandazioni e dei figli di papà», «in Italia ci sono le migliori segretarie e i peggiori manager». Alla fine Renzi lo ha ringraziato: «Abbiamo trovato il candidato».

2- ZINGALES CON IL PRIMO CITTADINO «SRADICHERÀ QUESTA "PEGGIOCRAZIA"»
Dal "Corriere della Sera"
- «Cambiare è possibile: Renzi lo ha fatto a Firenze, ora vi chiediamo di farlo in tutta l'Italia!». È l'appello dell'economista Luigi Zingales lanciato ieri alla Stazione Leopolda. «L'Italia non cresce perché è malata - ha aggiunto -. Il male oscuro del Paese è che è governato né dai migliori né dai mediocri, ma dai peggiori. Siamo una "peggiocrazia" e se non ricostruiamo un senso civile e morale, se non sradichiamo il sistema, non abbiamo futuro. È come curare il raffreddore quando si è divorati dal cancro».

3- UN EDONISMO HIGH-TECH. MA SOCIALE
Massimiliano Panarari per "La Stampa"

Vecchie idee anni Ottanta»: così Pierluigi Bersani ha liquidato i cento punti usciti dal Big Bang di Matteo Renzi. Ma è proprio così?

A dominare quel decennio, amato o detestato senza vie di mezzo, sono stati l'individualismo, il decisionismo in politica (incarnato da Bettino Craxi), il culto del corpo e della forma fisica e la rinnovata centralità del mercato, mentre prendeva forma l'ineludibile egemonia della comunicazione (all'epoca principalmente televisiva).

Una parte di quell'eredità risulta certamente ben presente nel background personale di Renzi, figlio innanzitutto anagrafico di quel decennio, cresciuto a pane e tv (e concorrente, nel 1994, quando aveva diciannove anni, del quiz di Mike Bongiorno la Ruota della Fortuna). E, si sa, l'immaginario dell'Italia che archiviava faticosamente i tremendi anni di piombo è stato ridefinito in maniera significativa dai programmi delle tv commerciali.

Al tempo stesso, però, il Bildungsroman renziano ha visto l'innesto di massicce dosi di scoutismo e cattolicesimo fiorentino (a Giorgio La Pira dedicò la tesi di laurea), di sicuro scarsamente compatibili con la way of life paninara e discotecara e con l'idolatria per le «ragazze fast food», su cui si è fondata la declinazione nazionale (e berlusconiana) dell'edonismo reaganiano.

Significativa parrebbe, invece, seppur mediata attraverso i suoi «discepoli» Tony Blair e David Cameron, l'influenza dell'altra grande protagonista politica di quel decennio, la Lady di ferro: il cuore del post-thatcheriano sindaco di Firenze batte forte per liberalizzazioni e privatizzazioni, senza preoccuparsi di mandarle a dire al sindacato, e, però, al tempo stesso, esalta la big society, il terzo settore e l'associazionismo all'insegna di una visione che il politologo americano Robert Dahl o, per rimanere a casa nostra, il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, chiamerebbero poliarchica (e che del decennio dell'individualismo selvaggio diffida intensamente).

Marcatamente post-ideologico e bipolarista, il leader Pd antidinosauri ha lanciato dalla kermesse della Leopolda pillole e clip di una piattaforma riformista che vuole parlare in maniera trasversale rispetto agli schieramenti e che del decennio della caduta del Muro di Berlino e della «fine della Storia» riprende con forza l'intuizione del tramonto delle ideologie. Ma se deve guardare a un'esperienza pilota, come evidenziava ieri su queste pagine Jacopo Iacoboni, sceglie il «modello Torino» (espressione di una sensibilità di sinistra tutta sabauda che oltrepassa la rigida contrapposizione tra progressismo liberal e radicale), distante anni luce da quella Milano da bere dove gli anni Ottanta avevano trovato la propria città ideale.

Il desiderio di serenità e di godersi la vita privata, che aveva connotato l'epoca del riflusso, dopo la fase del «tutto è politica», invece, era ben rappresentato dalle location e dal palco in stile «focolare domestico» della Leopolda, tra frigorifero e fiori. E dall'irresistibile trionfo della rivoluzione informatica, affermatasi l'alba nell'America reaganiana, viene la smodata passione per le ultime novità high tech della generazione dei «barbari» renziani (come direbbe Baricco, loro supporter).

Che è anche, però, l'idea di un wiki-Pd e un'opportunità autentica di partecipazione - certo liquida, fatta a colpi di «stati» di Facebook e «cinguettii» Twitter - per nulla anni Ottanta, allorché dominava l'Io assoluto (oltre a costituire la dimostrazione del fatto che si può rompere il monopolio dell'e-politica finora detenuto, in maniera quasi incontrastata, dai grillini). E la parola «giustizia sociale» pronunciata a più riprese in questa due giorni sull'Arno è l'antitesi semiologica (e politica) di quell'egoismo e darwinismo sociale di cui il decennio neoliberista aveva fatto il proprio manifesto.

Insomma, un pizzico (o forse più) di anni Ottanta in questo Big Bang c'è di sicuro, ma anche parecchio ossigeno e una bella boccata d'aria per il nostro sistema Paese bisognoso di modernizzazione.

 

RENZIRENZIRENZIRENZIRENZIRENZIRENZI-BERSANIRENZI-VENDOLAMATTEO RENZI E SIGNORA MATTEO RENZI, CONCORRENTE ALLA 'RUOTA DELLA FORTUNA (94)Luigi Zingales Luigi ZingalesZINGALES Matteo Renzi Sindaco Firenzerenzi e civati Vincinorenzi e civati Matteo Renzi e Andrea Della Valle

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