IL CAZZARO DI RIGNANO VUOLE PERDERE ANCORA? SI ACCOMODI! - RENZI SNOBBA D’ALEMA E OFFRE UNA TREGUA A BERSANI - MA SPERANZA CHIEDE IL CONGRESSO - SUL VOTO A BREVE LE CERTEZZE DI RENZI INIZIANO A VACILLARE: "DA QUI A UN ANNO PRIMA O POI SI VA ALLE URNE" - L’AFFONDO DEL DUCETTO CONTRO GRILLO: “PREGIUDICATO SPREGIUDICATO, CHE PARLA DI POVERTÀ DA UN RESORT DI LUSSO” (PARLA CHI AVEVA UNA CASA AL CENTRO DI FIRENZE PAGATA DA CARRAI!)
Matteo Renzi e Massimo D Alema
Francesca Schianchi per la Stampa
«È andata bene, il popolo degli amministratori c' è». Sono le otto e mezza di sera quando Matteo Renzi lascia Rimini per andare verso Firenze. Era il giorno del suo ritorno in pubblico dopo la lunga pausa post referendaria, la prima assemblea degli amministratori del Pd.
Lui la convoca, poi però arriva solo nel pomeriggio a seguire i lavori, sale sul palco alle 18 quando, da Roma, già è arrivata la notizia destinata a far fibrillare il partito: le parole di Massimo D' Alema dinanzi ai comitati per il no al referendum, tenuti pronti per ogni «evenienza», perché se si scivolasse verso elezioni «ciascuno sarebbe libero», una sorta di preavviso di scissione.
Pantaloni e maglioncino nero, il segretario sfidato da lontano dal suo eterno avversario entra nella sala, un migliaio di sindaci e assessori da nord a sud d' Italia si alza in piedi, gli tributa un applauso caloroso, tra loro anche esponenti della sinistra dei Giovani turchi, dell' area di Maurizio Martina (presente per un dibattito sul terremoto); in prima fila siedono anche Roberto Speranza e Nico Stumpo della minoranza presi di mira dai flash dei fotografi, perché in mattinata erano stati all' iniziativa dalemiana, «un bel segnale che siano venuti». Amministratori eletti a suon di preferenze, voti veri sul territorio: «Il partito sta qua, con me», si convince.
Non vuole dare a D' Alema la soddisfazione di parlare di lui: in un' ora di discorso fa battute, scherza, ma ostentatamente snobba l' argomento di giornata, tanto da sottolinearlo: «Saranno delusi i giornalisti». Appena un passaggio del discorso, «lasciate perdere le discussioni interne: c' è gente che vive dalla mattina alla sera pensando che io sia il suo problema. Gli mandiamo un abbraccio di solidarietà», per poi tornare a parlare di elezioni («da qui a un anno prima o poi si vota: il punto è come ci arriviamo»), di Europa «che mi ero convinto potesse cambiare passo», di Italicum «che è costituzionale, è il ballottaggio che è incostituzionale».
Matteo Renzi ascolta Massimo D Alema
Anche dopo, chiuso in una torr ida saletta con qualche fedelissimo, evita il discorso. Solo un ragionamento sull' eventuale scissione: «D' Alema non mi fa paura, ha talmente alzato la posta che chiunque voglia andare fuori si dovrebbe accodare dietro la sua leadership».
Piuttosto, si concentra su Grillo, «lo spregiudicato pregiudicato», lo bolla, eleggendolo a nemico da combattere . Tanto, si mostra sicuro, «il popolo degli amministratori c' è».
Ma sono altri renziani a incaricarsi di mollare qualche ceffone: la vicesegretaria Debora Serracchiani a respingere i consigli su come ricostruire il centrosinistra «da chi ha passato gli ultimi vent' anni a distruggerlo», il governatore dell' Emilia Romagna Stefano Bonaccini a sottolineare che «non ci sto all' idea che chi ha picconato l' Ulivo ed il centrosinistra ora provi a ricostruirlo». Perché, nonostante l' ostentata indifferenza, i radar sono accesi verso quella parte del partito.
Cosa pensa di fare davvero D' Alema? Cosa pensano di fare i bersaniani e l' area che si raccoglie attorno a Speranza?
«Io lavoro per tenere unito il partito, perché quello di stamane a Roma e quello di adesso a Rimini non diventino due partiti diversi», sospira Speranza alla fine del discorso di Renzi. Proprio ieri, nella giornata in cui D' Alema lanciava la sua sfida aperta al successore, Renzi e Speranza si sono sentiti per telefono.
Lo dice anche fra le righe, l' ex premier, dal palco, quando cita «un amico» a cui ha spiegato che senza il ballottaggio, con la legge uscita dalla Consulta, i capilista (bloccati) eletti in realtà aumenteranno. Argomenti che diventano spinosi, in vista delle urne, come lui ricorda bene, negli equilibri tra maggioranza e minoranza di un partito: nel 2013, da sconfitto alle primarie, ebbe 18 posti bloccati dalla maggioranza bersaniana.
Un contatto tra i due, il segretario e l' ex capogruppo già candidato a sostituirlo resta aperto: chi dice abbia chiamato Renzi, per capire come si orienterà l' area del giovane Speranza nella partita dalemiana; chi fa capire che lo abbia fatto Speranza stesso, per discutere di quali siano gli spazi di agibilità dentro al partito.
«Se Renzi decidesse di portarci al voto, dovrebbe almeno consentire la contendibilità del partito con un congresso o le primarie», spiega prima di andarsene.
Ma Renzi è già in strada verso Firenze. Convinto che l' ossatura del Pd, quello che ha voti e preferenze sul territorio, i sindaci da cui ripartire, stiano con lui.