CI MANCAVA SOLO IL RENZISMO DEL SILENZIO SUL CASO BERLUSCONI! (E SE MATTEUCCIO STAVOLTA NON AVESSE UN CAZZO DA DIRE? A VOLTE SUCCEDE PURE ALLA MEGLIO GIOVENTÙ)
Stefano Di Michele per "Il Foglio"
Tra i caratteri fondanti del renzismo, c'è certo la chiacchiera, la parola, il motto. Matteo rottama, Matteo denuncia, Matteo mette il muso. E parla, Matteo, parla. Ammonisce, s'indigna, si allerta. E magari poi s'indispettisce. Un renzismo silenzioso, fino a questo momento di calor politico e calor meteorologico, era come "cercare un cece in domo": introvabile; come mettere insieme "il culo con le quarantore": impossibile. Silenzio e renzismo: ossia, l'ossimoro perfetto.
Non c'era cronista che non avesse apposita dichiarazione, tiggì senza esternazione, agenzia senza anticipazione. Con simpatica e generosa elargizione vocale, Matteo significava, asseriva, proferiva: una rottamazione vocale, in attesa di quella politica. Poi di colpo, ecco, che strano... S'odono le cicale, s'affannano i grilli, tubano i colombi.
E Matteo? Si tende l'orecchio, si solleva la testa: Matteo tace, Matteo è silente, Matteo è muto. Ohibò! E che sarà ? E com'è? E perché mai? E così, dall'analisi acuta delle parole in copiosa abbondanza, si è passati di colpo alla disamina sottile del silenzio stagionale. E' al mare, Matteo? Sta col camper al campeggio? Si crogiola in baita? Ora latita forse, nella lotta a quella specie di banda dell'Antella che è il partito suo? Il Cav. sta zitto, Matteo sta zitto, e allora qui chi parla, solo Pippo Civati?
Vien quasi voglia di procedere, con Matteo, come il suo corregionale Michelangelo si regolò con il marmoreo Mosè, perfetto e silente: una martellata sul ginocchio e un'invocazione: "Perché non parli?". Avendo però Matteo fortunatamente la rotula al riparo, si procede così con la meno invasiva analisi politologica: su ciò di cui non si è in grado di tacere, si deve scrivere. E dove si decifravano le parole, da ieri ci si attarda a decriptare i silenzi.
Sulla Stampa coinvolgente lo sforzo di Federico Geremicca, certo di suo reso avveduto e assennato dal lungo periodare demitiano di cui fece scrupolosa scomposizione negli anni della Prima Repubblica. "Un silenzio che colpisce" - scolpisce (quello sul Cav. che patisce in Cassazione). E una girandola di ipotesi, che nemmeno intorno al bosone di Higgs: "Che pensa della faccenda? Cosa crede che il suo partito debba fare?
E anzi: cosa farebbe lui nei panni di Guglielmo Epifani?" - che poi, al solo metterlo per ipotesi nei panni di Epifani, a Matteo rischia di andar di traverso la panzanella. "Avrebbe chiesto a Letta di interrompere la sua esperienza di governo, in caso di condanna confermata a Berlusconi? Oppure avrebbe tirato dritto per la strada decisa in aprile?". E chi può dirlo? Nemmeno Geremicca, che infatti dalla boscaglia di punti interrogativi esce fuori sconfitto e dolente: "Impossibile dirlo".
Ma è un silenzio parlante, quello di Matteo - come ogni grande silenzio, che la coscienza interroga e la cronaca inquieta. E molte argomentate riflessioni sue nel pezzo sul silenzio (sempre suo) si trovano. Così lo stesso su Repubblica, ove il felice tacere renziano è rubricato a "profilo basso", ma lo stesso qualche parola del diretto interessato fuoriesce dalla porta serrata del cabinato (è tra le onde, Matteo il Silente?). Sul Giornale, addirittura, il faticoso riserbo è un prorompere di consolazioni verso l'inquieto Cav. che neanche il prof. Coppi.
Potrebbe sempre dire, Matteo, ciò che disse Chou En-lai quando gli chiesero della Rivoluzione francese: "Troppo presto per formulare un giudizio!": tornate a luglio, intorno al 2213. Ci sono sempre enigmi, intorno a un tacere. O forse, semplicemente, Matteo stavolta non ha un cazzo da dire. A volte succede pure alla meglio gioventù.



