IN CRISI GRILLO, RIALZA LA TESTA LA CASTA DELL’INDECENZA: CON IL “SILENZIO ASSENSO” SUL 2 PER MILLE IL FINANZIAMENTO AI PARTITI RESTA TALE E QUALE

1- I "PARTITISTI" TENTANO IL RINVIO MA IL PREMIER NON CI STA "CI STIAMO GIOCANDO LA FACCIA"
Francesco Bei per La Repubblica

Il parto è difficile, la riunione va per lunghe. Tutti chiedono la parola. È quando un ministro del Pdl suggerisce di rinviare il disegno di legge ad un'altra riunione che Enrico Letta, compreso il rischio mortale, gioca il tutto per tutto: «No, lo approviamo adesso. Così com'è. Sarà poi il Parlamento, se vorrà, a intervenire. Ma su questo provvedimento noi ci giochiamo la faccia, il finanziamento lo abroghiamo oggi».

È stata la riunione di governo più ad alta tensione quella di ieri. E non solo per le divergenze sui singoli punti della riforma del finanziamento pubblico. Il fatto è che i ministri si sono trasformati nei terminali ultimi dei partiti fuori dalla sala del Consiglio. Partiti in rivolta per tagli dolorosi. Che hanno provato a scongiurare fino all'ultimo. Quando al mattino, aprendo la mazzetta dei giornali, il premier si trova in prima pagina la minaccia di 180 impiegati da cassaintegrare nel Pd, capisce che nemmeno il suo partito lo appoggerà.

Non reagisce bene Letta. «Mi vogliono scaricare addosso la responsabilità di queste persone», si sfoga con i suoi. Prevede che «i partitisti si ribelleranno », sa bene che ci saranno resistenze sia in Consiglio dei ministri che in Parlamento. «Ma chi si oppone - ragiona prima della riunione del governo - non si rende conto di quello che c'è in giro, della rabbia. Questo è un provvedimento indispensabile: l'unica cosa a cui la gente presta attenzione è il taglio dei soldi ai partiti e la riduzione dei parlamentari».

Letta non si sbaglia: durante il Consiglio dei ministri il dibattito è acceso. I ministri non hanno potuto leggere prima il disegno di legge e se ne lamentano. Maurizio Lupi si fa interprete dei timori del Pdl: «Lasciatelo dire a me che sono stato il responsabile organizzativo del mio partito fino alle elezioni. Noi ci siamo impegnati con delle spese, ci siamo indebitati contando sui rimborsi stabiliti. Non si possono cambiare le carte in tavola con dei tagli retroattivi, salterebbero tutti i bilanci».

La delegazione del Pdl è d'accordo con il provvedimento, «era al terzo punto del nostro programma», ma vuole certezze. A sorpresa anche Andrea Orlando del Pd, titolare dell'Ambiente, si schiera a favore della linea morbida sui tagli, pretende «gradualità».
Ma quello dei tagli non è l'unico problema. I ministri di Scelta Civica, Mario Mauro e Giampiero D'Alia, puntano i piedi e chiedono un tetto massimo alle donazioni dei privati. Non c'è bisogno
di dirlo, tutti pensano al contributo monstre che può arrivare al Pdl dal suo fondatore miliardario.

«Non ci possono essere donazioni illimitate», s'infiammano i ministri montiani. Orlando concorda. Tuttavia Angelino Alfano alza subito un muro: «Siamo d'accordo sul principio della massima trasparenza, ma non possiamo tagliare i contributi pubblici e poi limitare i finanziamenti dei privati. Nessun tetto». Sembra che su questo punto il provvedimento possa saltare, ma alla fine Letta taglia la testa al toro: «Nessun tetto. Sarà il Parlamento, se lo riterrà opportuno, ad approfondire il tema».

L'altra questione che rischia di impantanare il ddl è quella del 2 per 1000 ai partiti. Che fare dei fondi «inoptati», cioè di quella parte che i cittadini non lasciano ai partiti? «Niente, non ci deve essere inoptato», sostengono Bonino, Moavero e Mauro. «No, l'inoptato va distribuito comunque ai partiti in proporzione», ribattono Franceschini, Alfano e Zanonato. Fronti mobili, trasversali, si saldano e si contrappongono.

Si teme l'effetto Prodi: quando nel 1997 il governo dell'Ulivo s'inventò il 4 per mille a favore dei partiti, solo una manciata di contribuenti vi aderì. E il successivo governo D'Alema ripristinò di corsa il finanziamento pubblico. Ad alzare la voce sui servizi alla politica è invece il ministro degli Esteri. Emma Bonino non ci sta a riservare ai partiti solo qualche spot e gli spazi autogestiti della televisione: «E i talk-show dove voi andate tutte le sere come li conteggiamo?».

Chiede di parlare il ministro Carlo Trigilia, vicino a Renzi, e solleva il problema della democraticità interna ai partiti: «Come si fanno a dare dei rimborsi elettorali a un movimento che non ha nemmeno uno statuto?». È un'obiezione sensata, giuridica. Ma tutti i presenti hanno la certezza di non potersi permettere nemmeno il più vago sospetto di un intervento ad hoc contro Grillo.

«Se limitassimo ai partiti il provvedimento - obietta Gaetano Quagliariello - sembrerebbe una norma contro i 5Stelle. Meglio prevedere delle regole minime per tutti sul modello delle associazioni». Il dibattito alla fine è troncato da Letta, che ha fretta perché deve incontrare il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy: «Basta, votiamo. Oggi si approva, poi vediamo in Parlamento». Non sarà un cammino facile, anche se il premier tiene pronta l'arma del decreto legge. «Restano riserve su molti punti», ammette il ministro Nunzia De Girolamo. È lo spettro del Vietnam parlamentare che attende la riforma.


2-IL CINISMO E LA BUONA FEDE
Curzio Maltese per La Repubblica

Ogni volta che l'antipolitica comincia a mostrare i propri limiti, come accade in questi giorni con la sconfitta di Beppe Grillo alle amministrative, arriva puntuale la solita furbata del ceto politico. Per ricordarci le ragioni che hanno portato un ex comico a prendere il 25 per cento dei voti. La strana maggioranza destra-sinistra si sta impegnando per non cambiare nemmeno il finanziamento pubblico ai partiti.

E questo dopo aver fatto capire agli italiani di non avere alcuna intenzione di cambiare sul serio la porcata della legge elettorale, nonostante l'impegno solenne preso con il Quirinale. Il massimo che farà è di cambiare nome al finanziamento pubblico ai partiti. Come del resto è già avvenuto dopo il referendum che l'avrebbe in teoria abolito da un quarto di secolo.
In un Paese dove la metà degli elettori domenica scorsa non è neppure andata a votare, prendere ancora in giro i cittadini su questi temi è miope e sciocco.

I dettagli sono spiegati altrove, qui conta la sostanza. La sostanza è che con la nuova legge del governo Letta cambia poco, si tratta appena di uno sconto sulla pioggia di danaro versato dall'erario nelle casse dei partiti. E già su quel poco si accapigliano, perché molti, soprattutto a destra, non vorrebbero rinunciare al benché minimo privilegio, con tanti saluti alle promesse elettorali.

Destra e sinistra confermano in queste vicende, come sempre quando si tratta d'interessi concreti, i propri vizi peggiori. Da una parte il cinismo del berlusconismo, che per tutte le ultime campagne elettorali, nel tentativo di recuperare sul populismo grillino, ha sbandierato il blocco al finanziamento dei partito come una specie di totem.

Ma dopo, naturalmente, quando si tratta di metterlo in pratica, arriva il totale voltafaccia. Dall'altra parte, la solita ipocrisia del centrosinistra, che accampa ogni volta alibi più o meno ben concepiti. Qualcuno magari è perfino in buona fede. Laura Puppato, per esempio, non ha torto a dire che in tutta Europa esiste il finanziamento pubblico ai partiti. Peccato che in nessun altro paese europeo vi sia un livello di corruzione politica paragonabile al nostro.

Se in Germania o in Francia si fosse verificato in questi anni un terzo degli scandali legati al finanziamento pubblico ai quali abbiamo assistito in Italia, il sistema sarebbe già stato smantellato da anni. Peccato che in nessun altro paese non d'Europa ma dell'Occidente i partiti godano dell'incredibile status di soggetti di diritto privato e non pubblico, stratagemma utilissimo in caso di processi.

Peccato che nessun altro popolo europeo sia costretto a pagare ogni anno una tassa di 60 miliardi al malaffare politico. Sarebbe ora di finirla con questi uomini politici che scoprono l'Europa quando conviene e quando non conviene, quasi sempre, si dedicano all'ostinata difesa delle più assurde anomalie.

A proposito, fra le tante anomalie italiane rispetto all'Europa, c'è anche il meccanismo dell'otto per mille alle fedi religiose. Non esiste altrove un sistema fiscale dove le donazioni "volontarie" vengono prelevate dalle tasche dei contribuenti senza un esplicito assenso. In attesa che il nuovo Papa, così interessato alla trasparenza e tanto nemico del privilegio, rinunci a tale grottesco privilegio, come infallibilmente accadrà (forse), sarebbe davvero indecente estendere questa truffa al finanziamento dei partiti.

Sappiamo bene che tutti questi discorsi non servono a nulla. Li abbiamo fatti per un anno e mezzo durante il governo Monti, mentre i partiti avrebbero dovuto riformare la politica, abbatterne i costi, cambiare la legge elettorale, e invece non hanno combinato nulla, consegnando a Grillo un quarto dell'elettorato. Ma che volete, è il nostro mestiere di giornalisti. Il giorno in cui anche i politici decideranno di fare il loro, festeggeremo in piazza.

 

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