RIMPASTO AL POMODORO - È POSSIBILE IPOTIZZARE UN CAMBIO DI MINISTRI IN PIENA ESTATE? - IL PD È IN AFFANNO E NONOSTANTE LE SMENTITE CI STA PENSANDO. AL NAZARENO IN TANTI (DELRIO IN TESTA) VOGLIONO LA TESTA DELLA DE MICHELI, E POI CI SONO LA AZZOLINA E LA CATALFO – A CONGELARE IL RIMPASTONE POTREBBERO ESSERE SOLO LE QUOTE ROSA – LA BOSCHI E LA ASCANI, ORLANDO E ZINGARETTI: TUTTE LE IPOTESI
1 - ASSEDIO ALLE MINISTRE COSÌ LE QUOTE ROSA CONGELANO IL RIMPASTO
Ilario Lombardo per “la Stampa”
Sarà un caso? Lecito chiederselo, se ogni discussione di questi giorni sul rimpasto si arena sempre sullo stesso tema: le quote rose. Questione non da poco se nel tagliando di governo i nomi che i partiti considerano più sacrificabili alla fine sono di donne. Nella black list del M5S ci sono la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e la collega all'Istruzione Lucia Azzolina.
Nel Pd in tanti, a partire da Graziano Delrio, vorrebbero sostituire Paola De Micheli ai Trasporti. La titolare dell'Interno Luciana Lamorgese, nomina gradita al Quirinale, è invece finita suo malgrado nel tritacarne del totoministri per le indiscrezioni di un possibile ingresso nel governo del segretario dem Nicola Zingaretti. Il governatore del Lazio ha chiamato la ministra per assicurarle che si trattava solo pettegolezzi da giornali e la storia è sembrata finire lì.
luigi di maio dario franceschini
Certo è che di questo rimpasto ormai parlano proprio tutti nel governo e ai vertici dei partiti. Al punto che si è anche tornati a discutere, tra Pd e 5 Stelle, dell'opportunità di avere due vicepremier, come ai tempi del governo M5S-Lega, e con Dario Franceschini e Luigi Di Maio candidati più prevedibili per alleggerire il potere di Giuseppe Conte.
Intanto è diventato chiaro che, se rimpasto deve essere, i grillini vogliono sfruttare la seconda parte di agosto per prepararne il terreno e realizzarlo prima del 20 settembre, quando si andrà al voto per le Regioni. Servirebbe, dicono, a blindare il governo prima della tempesta elettorale.
In realtà, c'è anche il timore che la sconfitta alle urne possa poi rimandare a chissà quando il tagliando dei ministri, perché le regole della politica dicono che nessuna maggioranza di governo dopo aver perso vuole mostrarsi ancora più fragile. Sta di fatto che la questione degli equilibri di genere è il fattore di cui si sta tenendo conto in queste ore.
Nel M5S, dove si scalcia per individuare al più presto l'occasione con la quale dare il via al rimescolamento. E nel Pd, dove invece pensano che il mese cruciale potrebbe essere ottobre, dopo il voto, dopo che si sarà sperimentato il ritorno a scuola, e quando le prime influenze stagionali si incroceranno al Covid.
Molto dipenderà anche da Matteo Renzi e da quanto la sua richiesta di un ministero in più per Italia Viva si farà pressante. Nel partito non si parla di altro che di Maria Elena Boschi all'Istruzione. La diretta interessata non fa mistero di avere a cuore la scuola, nonostante si stia rivelando una bomba sociale pronta a esplodere.
MARIA ELENA BOSCHI E MATTEO RENZI
Ne sa qualcosa Azzolina che, a colpi di meme, vignette e fotomontaggi, si è attirata ironia e rabbia dei precari della scuola, e ancora di più nelle ultime ore, dopo aver proposto l'assunzione di «docenti Covid», nell'infelice definizione che è stata data agli insegnanti che non verrebbero pagati in caso di nuovo lockdown. Nel M5S però è Catalfo il nome in cima alle ipotesi di siluramento.
nunzia catalfo firma uscita euro
Troppo attenta alle ragioni dei sindacati e poco a quelle delle imprese, sostengono fonti tra i grillini di governo. Su 22 ministri, otto sono donne. Conte sa che sostituirne anche una sola stravolgerebbe ogni buon proposito sulle quote. Già durante il passaggio dai gialloverdi ai giallorossi, il M5S ne sacrificò due, Giulia Grillo e Barbara Lezzi, anche se ne fece entrare altre due, Catalfo e Fabiana Dadone.
Certo, l'ingresso di Boschi aiuterebbe nel bilanciamento, ma la speranza di chi scommette sul rimpasto è di aprire un risiko delle caselle, con qualche uscita maschile. Per esempio se a settembre Vincenzo Spadafora, dopo il confronto con il premier, dovesse dire addio allo Sport.
I partiti, comunque, sanno che dovranno farsi trovare pronti con altre candidate. Per il Lavoro è in pole la viceministra Laura Castelli. Mentre, salire di grado all'Istruzione è il sogno della dem Anna Ascani, sempre che il Movimento decida di scambiare il ministero con il Pd. In caso contrario si segnala in ascesa la senatrice grillina Barbara Florida.
LAURA CASTELLI STEFANO BUFFAGNI PAOLA PISANO
Sempre tra i 5 Stelle, chi non fa mistero di ambire a un posto sono Stefano Buffagni e Giancarlo Cancelleri. Accomunati dalla stessa convinzione, espressa durante diverse riunioni: «Conte non si tocca». Tutto il resto sì. Segno che i progetti di rimpasto non sono proprio un pettegolezzo.
2 - SE IL PD CERCA IL RIMPASTO IN STILE PAPEETE
Adalberto Signore per “il Giornale”
Un anno fa fu Matteo Salvini a regalarci la più incredibile e scellerata delle crisi agostane. Oggi, esattamente dodici mesi dopo, giusto per provare a non essere da meno, ci pensa il Pd ad ipotizzare uno scenario (...) (...) in perfetto stile Papeete. Il tema non è la crisi di governo, certo. E, dunque, lo strappo improvviso che portò il leader della Lega a mettere fine al Conte 1 resterà saldamente nel guinness dei primati delle mosse politiche più sciagurate.
Ma anche arrivare a ipotizzare un rimpasto di governo in piena estate come stanno facendo in queste ore i vertici di Largo del Nazareno non è proprio cosa da tutti i giorni. Soprattutto considerando che il 20 settembre - cioè tra esattamente 44 giorni - si terranno sia le elezioni regionali che il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Due appuntamenti che potrebbero ridisegnare gli equilibri all'interno dell'esecutivo.
papeete su le mani per salvini deejay
Insomma, pensare di cambiare ora la squadra di governo - seppure con l'obiettivo di rafforzarla in vista del probabile scossone che arriverà dalle urne - appare davvero una scelta ai limiti della disperazione. Soprattutto considerando una tempistica quanto mai stretta e il fatto che siamo ormai in pieno agosto.
Eppure, tanto è l'affanno del Pd che - seppure fra le smentite di tutti i protagonisti - lo scenario in questione è stato davvero valutato. Persino tirando dentro - sempre dalle parti del Nazareno - il nome di Luciana Lamorgese, l'attuale ministro dell'Interno. Che sia Nicola Zingaretti o Andrea Orlando il dem destinato a «rafforzare il profilo politico» del Conte 2, infatti, la pazza idea vorrebbe che a fare il passo indietro possa essere proprio la titolare del Viminale che non è in quota a nessun partito.
NICOLA ZINGARETTI LUCIANA LAMORGESE
Ma che, è cosa nota, ha un canale privilegiato con il Quirinale, circostanza che in qualche modo finirebbe per lambire il Colle se davvero questo squinternato proposito di rimpasto dovesse prendere forma. Non è un caso che, appena filtrata la notizia, Zingaretti si sia affrettato a chiamare Lamorgese per rinnovarle la sua stima e silenziare i rumors.
Alla fine, dunque, è altamente probabile che non ci sia alcun rimpasto, perché sarebbe davvero difficile da spiegare al Paese una simile operazione di Palazzo in piena estate o inizio settembre, con ben altre priorità - crisi economica in testa - e con due consultazioni elettorali alle porte (possibile, invece, che si faccia proprio dopo regionali e referendum).
Ma il solo fatto che il tema sia oggetto di confronto - non solo dentro il Pd, ma anche con gli alleati di Italia viva e M5s - la dice lunga sulle condizioni di una maggioranza che sempre più sembra navigare a vista. E che, giorno dopo giorno, soffre un Giuseppe Conte che in questi due anni a Palazzo Chigi ha imparato alla perfezione l'arte dello slalom speciale tra i paletti che gli piazzano sulla strada i partiti che lo sostengono. Una reazione piuttosto scomposta, quella di Zingaretti e dei suoi.
Soprattutto in considerazione del fatto che sono mesi e mesi che il premier ha trovato una sua autonomia d'azione che prima, nel Conte 1, non aveva neanche lontanamente. Evidentemente, l'imminenza del referendum sul taglio dei parlamentari deve avere portato come d'incanto tutti i nodi al pettine. Il Pd, infatti, votò il taglio solo in quarta lettura (dopo tre «no» convinti) e solo come tributo alla nascita del Conte 2.
In questi mesi, però, non si è vista traccia né dei correttivi promessi dal premier, né della legge elettorale proporzionale che mitigherebbe gli effetti della riforma. E così il Pd ha finalmente preso coscienza del fatto che il referendum rischia di essere un gigantesco boomerang. Non solo perché sarà difficile spiegare all'elettorato dem come votare il 20 settembre, ma anche perché, se dovesse passare (come è altamente probabile), il M5s potrebbe tornare a sventolare una delle sue battaglie populiste a cui tiene di più.
Con buona pace del Pd, che potrebbe finire schiacciato nella morsa referendum-regionali. Al momento, infatti, i sondaggi dicono che i dem rischiano seriamente di perdere la Puglia e le «rosse» Marche. Mentre in Toscana i punti di vantaggio si sarebbero ridotti solo a 4-5.