LA RIPRESA (PER IL CULO) DI RENZI – SEI FAMIGLIE SU DIECI TEMONO CHE UN FAMILIARE POSSA PERDERE IL LAVORO E DUE TERZI DEGLI ITALIANI PREVEDONO CONSUMI FERMI O IN CALO – DE RITA: “LA GENTE NON SI FIDA”
1.“LA RIPRESA? NON SI VEDE ANCORA”. IL 60% TEME PER IL POSTO DI LAVORO
Luigi Grassia per “La Stampa”
L’economia è fatta anche di percezioni. Non basta che un numero dica che la recessione è finita, soprattutto se quel numero è un misero zero virgola. La ripresa c’è davvero se cresce il clima di fiducia, se la gente spende, se aumentano i consumi.
Da questo punto di vista siamo ancora messi male. L’ultima rilevazione trimestrale dell’indice Sef di Confesercenti e Swg dice che il 56% delle famiglie italiane percepisce la sua situazione finanziaria come insoddisfacente, e per un 14% il reddito mensile non basta nemmeno per coprire le spese indispensabili. Su una scala da 1 a 100, l’indice di Solidità Economica delle Famiglie segna nel mese di maggio un valore di 55, lo stesso misurato a febbraio e in crescita di appena 2 punti sul dicembre 2014.
Ansia per l’occupazione
Fra le ragioni di pessimismo più forti c’è l’ansia per il lavoro: sei famiglie su dieci temono che un familiare possa perder il lavoro; quasi due terzi degli italiani (il 71%) preventivano consumi immutati o in calo; e quasi la metà degli italiani (il 47%) ogni mese riesce appena a coprire le spese.
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Dalla rilevazione dell’indicatore Sef emerge che per gli italiani la percezione della qualità della vita è insostenibile per 1 famiglia su 5 (il 21%), accettabile per il 34% degli intervistati e soddisfacente solo per il restante 45% del campione.
Complessivamente, le famiglie italiane non hanno ancora colto segnali veri di inversione di tendenza economica: alla domanda se rispetto a un anno fa si viva meglio o peggio, ben il 46% del campione ritiene che le condizioni di vita siano peggiorate nell’ultimo anno, mentre la metà esatta, il 50%, sostiene di non aver percepito alcun cambiamento rispetto allo scorso anno, e solo il 4% afferma di vivere meglio.
Consumi stagnanti
Questo pessimismo si proietta nel futuro: alla domanda di come saranno le cose fra sei mesi, il 71% degli intervistati vede una situazione stabile o in peggioramento. Di questi, un cospicuo 41% risponde che sostanzialmente i consumi resteranno uguali, e un altro 30% li vede in calo. Solo il restante 24% del campione esprime un segnale di fiducia prevedendo un aumento della spesa dedicata ai consumi.
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Una raffica di imposte
Non contribuisce a migliorare il clima la raffica di nuove tasse in arrivo: nel 2016 potrebbero arrivarcene sulla testa altri 16 miliardi. A lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre (gli artigiani): «Oltre a trovare le risorse per rimborsare i pensionati e per far fronte all’eventuale bocciatura da parte dell’Ue dei nuovi regimi di fatturazione, il governo Renzi - dice la Cgia - dovrà individuare altri 16 miliardi di euro, altrimenti nel 2016 scatterà la clausola di salvaguardia che innalzerà le aliquote Iva e ridurrà le detrazioni/agevolazioni fiscali ai contribuenti italiani, con automatico aumento delle imposte».
Certo in teoria ci sarebbe l’alternativa dei tagli delle spese, ma visto che se ne parla da anni, e se ne parla con urgenza, ma finora non si è fatto nulla, non possiamo credere ai tagli finché non li vediamo.
2. DE RITA: “LA GENTE NON SI FIDA. SOLO NEI PROSSIMI MESI SI CAPIRÀ SE È UNA SVOLTA VERA”
Giacomo Galeazzi per “la Stampa”
«È ripartito il mattone e adesso, grazie all’aumento del risparmio, gli italiani possono permettersi qualche cena fuori in più». Il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, scompone gli ultimi dati per certificare che «i consumi delle famiglie sono un po’ cresciuti». Ma «la percezione diffusa della ripresa è ancora scarsa perciò la gente non si fida a spendere: nei prossimi mesi capiremo se è in atto una vera svolta».
Cosa è effettivamente cambiato negli ultimi mesi?
«Sono ripartiti i mutui per le case. Il risparmio si indirizza verso la ricchezza finanziaria e immobiliare. Adesso, però, il piccolo aumento del Pil è dovuto anche al mercato interno in movimento e non più solo alle esportazioni come accadeva in passato. Quando il mercato interno riparte un po’ e il risparmio cresce gli italiani possono cenare fuori casa qualche volta in più e permettersi piccole spese perché stavolta c’è un minore controllo psichico del consumo. Non siamo certo il popolo dell’avaro di Molière».
Per la prima volta negli ultimi anni la ripresa torna a spingere i consumi. Lo prevedeva?
«I consumi salgono lentamente. È un risultato. Tutti dicono che in Italia non c’è più un euro, ma non è vero. Aumentano i depositi bancari, le polizze vita, il risparmio nei fondi d’investimento (30 miliardi a trimestre), i soldi provenienti dall’economia sommersa e nascosti nel materasso. Lo conferma il fatto che in giro sono introvabili le banconote da 200 e 500 euro. Il nostro sistema economico e sociale si regge su un tessuto di piccole e medie imprese, su una rete di banche radicate sul territorio, su un modello di welfare che, tutto sommato, funziona e ha retto bene. Dall’inizio della crisi le famiglie si sono costituite un “tesoretto”. E così hanno fatto anche le imprese. Quello italiano è un modello che il Censis ha teorizzato dagli anni ‘70. Forse è premoderno ma, tutto sommato, ha consentito al Paese di restare in piedi».
Che tipo di risparmio cresce?
«E’ di due tipi. Uno legato a un fattore esistenziale: si preferisce mettere da parte in vista di qualche investimento o nel timore di malattie o esigenze future. Per almeno tre anni quello che entrava veniva messo a risparmio invece che a consumo. Anche gli 80 euro di Renzi sono andati più ad aumentare il consumo e a pagare le bollette che a rimettere denaro in circolazione. Il secondo tipo di risparmio è il capitale inagito, cioè non adoperato né intaccato più di tanto dalle spese ordinarie. Le famiglie e le imprese si autofinanziano in questo modo, facendo fronte ai minimi bisogni di ogni giorno, ma senza tensione a innovare e restando ancora seduti sul proprio risparmio».
Il mercato interno è ripartito ma non ciò non basta a rendere più dinamica l’economia?
«I soldi ci sono, ma in gran parte vengono patrimonializzati, gli italiani non li rimettono in giro. Hanno paura. Finora dall’Istat è arrivato un dato aggregato. Bisognerà analizzarne nei prossimi mesi la composizione per capire se l’Italia ha davvero imboccato la strada della risalita. Oggi si registrano segnali positivi ma il quadro resta preoccupante. Presto si vedrà l’esito».
Colpa dei soldi nel materasso?
«La ripresa percepita è inferiore a quella reale. Ma non va demonizzata l’attitudine al risparmio degli italiani. L’85% delle famiglie ha la casa di proprietà. Impariamo la lezione dei momenti più bui della crisi da cui forse stiamo uscendo. I soldi messi da parte grazie a una innata propensione al risparmio hanno evitato il crollo dei consumi. Non senza punti oscuri».
A cosa si riferisce?
«Il lavoro nero, il sommerso è un fattore che non va giustificato. Però dà elasticità al sistema. Non sono mancate furbizie fiscali e nel tempo tanti cassintegrati si sono arrangiati con qualche impiego non in regola. Non vanno trascurati l’intervento dello Stato che ha messo a disposizione ingenti risorse per finanziare la cassa integrazione e il ruolo della famiglia. Le piccole e medie imprese hanno approfittato della crisi anche per ristrutturarsi e fare magazzino. La ripresa non poteva che partire dal basso, dalle imprese, dal mondo delle professioni, mentre il terziario negli ultimi anni si è gonfiato troppo. Per troppi anni solo il ricorso agli ammortizzatori sociali ha consentito di contenere gli effetti della disoccupazione. Ora la politica deve guardare lontano».