CHI RISARCIRA’ DEL TURCO, VITTIMA DELLA MALA GIUSTIZIA?

Vittorio Feltri per "il Giornale"

Altra storia da brivido. Quella ancora in corso, ma sul punto di finire be¬ne per lui, di Ottaviano Del Tur¬co, sindacalista, parlamentare socialista, poi governatore (ap¬poggiato dal Pd) della Regione Abruzzo, imputato in un proces¬so per tangenti, già detenuto nel carcere di Sulmona perché accusato di essere un delin¬quente. «Delinquente un cor¬no», scrissi nell'estate del 2008, avendo fiutato che quanto attri¬buitogli di illegale fosse una panzana.

Ovviamente non mi diedero retta, cosicché Del Tur¬co fu privato della libertà per sei mesi, costretto a dimettersi dal vertice regionale, sputtanato su ogni fronte, emarginato come un lebbroso dal suo partito. Vogliamo ridere alle sue spal¬le? L'inchiesta che lo inchiodò partì dalla confessione di Vin¬cenzo Angelini, proprietario di cliniche convenzionate con l'ente presieduto dall'ex sinda¬calista: «Ho versato al governa¬tore 6 milioni di euro per poter lavorare».

Basta la parola di un uomo a incastrare un altro uo¬mo? Nossignori. Ma Angelini ¬padrone di strutture sanitarie ¬non è uno sprovveduto e, per suffragare le proprie affermazioni, esibisce addirittura una foto in cui si vedono frutta, ver¬dura e mazzette. Caspita, una prova schiacciante. Lo è per la Procura.

Che pertanto si affret¬ta a ingabbiare il (presunto) cor¬rotto. Cominciò così il calvario di Del Turco, dopo una vita spec¬chiata, sobria per non dire mo¬desta. Con una macchia: l'acquisto di un paio di immobili. Gli chiedono: dove hai preso i soldi per comprare le casette? Risposta: dai miei risparmi, co¬me usano le persone oneste. E aggiunge, ingenuamente, di aver accantonato un po' di de¬naro grazie alle indennità pri¬ma di deputato, quindi di governatore. Non la bevono, i signori apoti.

E lui rimane in cella a rimi¬rare le crepe del soffitto. Dima¬grisce, si dispera. Si difende ma-le. Da buon innocente, non ha nemmeno la furbizia di inven¬tarsi qualche balla per ridurre i danni. È un classico: chi non ha commesso il reato che gli conte¬stano si comporta processual¬mente da pirla. E i magistrati si convincono che, in realtà, sia colpevole, talmente colpevole da non avere la forza di intorbi¬dare le acque.

Quando uno sta per lungo tempo dietro le sbarre, è abban¬donato da tutti: dai colleghi, dagli amici, talvolta dai parenti. I quali si giustificano così: sai, te¬miamo di essere importuni, non vorremmo metterlo in im¬barazzo, aspettiamo che le cose si chiariscano.

E intanto se ne fottono del poveraccio, il cui sta¬to d'animo è simile a quello di un cane lanciato, ad agosto, da una macchina in corsa sull'au¬tostrada. Non giova al detenuto essere trattato in questo modo, ne va della sua salute fisica e mentale. Chi ha vissuto espe¬rienze del genere senza meritar¬le non le racconta volentieri, ma spesso si ammala. Qualcu¬no muore: per esempio Enzo Tortora, per citare il più famo¬so.

Andiamo avanti. Del Turco in questi giorni è sotto processo. L'aula non è affollata di giornali¬sti dato che non si parla né di Ru¬by Rubacuori né di bunga bun¬ga. Le udienze si susseguono, in¬tervengono gli avvocati e i Pm, il presidente ascolta e coordina. Il solito rito, il solito clima.

A uno a uno, cadono gli indizi fin¬ché arriva il colpo di scena: la fo¬to ortofrutticola, e arricchita dalle mazzette, è farlocca. Lo hanno stabilito i periti, dimo¬strando come sia stata scattata un anno prima rispetto alla da¬ta indicata da Angelini. Quella che era la prova regina è una bu¬fala: come direbbe Beppe Gril¬lo, riformatore della lingua ita¬liana e del galateo, è andata af¬fanculo.

Ottaviano è stato vittima di un tarocco, ma anche di un sistema giudiziario che definire imper¬fetto forse non è eccessivo. Al¬meno spero. Perché non deside¬ro parlare male della magistratu¬ra, avendo la coda di paglia e il terrore di essere condannato al¬la carriera, come dice scherzan¬do (ma non troppo) mio figlio Mattia. La prudenza non è mai troppa. Del Turco sarà assolto, però difficilmente la politica lo riaccoglierà quale martire of¬frendogli i posti e gli onori che gli spetterebbero.

Ormai è fuori gioco. E fosse soltanto questo il problema.L'uomo è stato morti¬ficato. Vilipeso. Esposto al pub¬blico ludibrio, peggio: al sospet¬to-quasi una certezza- di essere un ladro. Alcuni che hanno su¬bìto i medesimi torti, si sono la¬sciati travolgere dalla depressio¬ne. Le loro difese immunitarie sono diminuite con gravi conse¬guenze: malattie distruttive. Non sarà di sicuro il caso di Otta¬viano. Ma chi gli restituisce quanto gli è stato tolto? Chi lo ri¬sarcisce? Chi ricostruisce la sua personalità violentata?

Delle sofferenze degli inno¬centi perseguitati non importa nulla a nessuno: non solo a chi le ha provocate, ma neanche allo Stato che continua a considera¬re corretta la carcerazione pre¬ventiva. Nei programmi dei par¬titi che abbiamo votato tre setti¬mane orsono non si accenna al proposito di cancellarla.

 

 

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