1. LA RIVINCITA DI FLEBUCCIO DE BORTOLI DALL'ESILIO DEL ''CORRIERE DEL TICINO'': “RENZI HA CONOSCIUTO LA PRIMA SERIA BATTUTA D'ARRESTO DELLA SUA FOLGORANTE CARRIERA POLITICA. I CONSENSI AL SUO PARTITO SONO BEN LONTANI DAL 40,8 PER CENTO DELLE EUROPEE’’ 2. ‘’DOVE HA PERSO, E NETTAMENTE, IL PREMIER AVEVA SCHIERATO CANDIDATI SUOI, AUTENTICI CLONI DI PALLIDA FEDELTÀ. LA PAITA E LA MORETTI. ORA RENZI SARÀ COSTRETTO A VENIRE ANCORA A PATTI CON LA PROPRIA MINORANZA INTERNA, FINORA SOTTOVALUTATA E DERISA”
Ferruccio De Bortoli per Corriere del Ticino
Ovviamente, il giorno dopo hanno vinto tutti. Il partito democratico può dirsi soddisfatto per aver conquistato cinque regioni su sette. Ma cinque ne aveva e cinque ne ha. Con il discusso De Luca ha strappato al centrodestra la Campania. Dividendosi clamorosamente sulla vincitrice delle primarie (Paita) ha consegnato la Liguria al berlusconiano Toti. La Lega ha raccolto consensi impressionanti anche nelle regioni di centro. E là dove si è divisa - nel Veneto dell'irresistibile Zaia - ha addirittura trionfato.
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Cinquestelle non ha avuto Grillo in campagna elettorale ma ha dimostrato di essere in piena salute e può contendere al Pd la palma di partito più votato, come avvenne nelle politiche del 2013. Dovrà decidersi se allearsi, prima o poi. Ma è forse questa totale estraneità alla politica tradizionale, gonfia di scandali e sprechi, che procura al movimento così tante simpatie.
L'immagine di sintesi di queste regionali è però un'altra. Renzi ha conosciuto la prima seria battuta d'arresto della sua folgorante carriera politica. I consensi al suo partito, pur tenendo conto delle numerose liste d'appoggio, sono ben lontani dal 40,8 per cento delle europee. Dove ha vinto agevolmente, il presidente del Consiglio italiano e segretario del Pd lo ha fatto con candidati a lui estranei.
Il salernitano De Luca - che per la legge Severino contro la corruzione probabilmente non potrà governare- è stato prima subito e poi appoggiato, pagando un prezzo in termini di voti al Nord. Emiliano, neopresidente pugliese, Renzi lo ha accuratamente evitato per tutta la campagna elettorale. Dove ha perso, e nettamente, il premier aveva schierato candidati suoi, possiamo dire autentici cloni. Di pallida fedeltà. La stessa Paita, la Moretti in Veneto.
Il teorema renziano di un partito riformista che abbandona la sinistra più radicale, e allarga il proprio consenso al di fuori del recinto storico, appare ridimensionato. Anzi, il Pd dovrebbe guardarsi un po' di più dai suoi nemici a sinistra - autentica ossessione socialcomunista del Novecento - che sono quelli che lo hanno fatto perdere in Liguria e gli renderanno la vita difficile sulle riforme istituzionali in Senato.
Il voto andrà in archivio fra pochi giorni (il metabolismo elettorale italiano è formidabile, si dimentica in fretta), ma il giovane e dinamico premier sarà costretto a venire ancora a patti con la propria minoranza interna, finora sottovalutata e derisa.
L'analisi delle tendenze del voto regionale italiano si completa con alcune considerazioni che attengono allo stato di salute della democrazia. Modesto. E non è nemmeno una peculiarità italiana. La malattia è continentale. In un Paese che fino a pochi anni fa votava in massa, colpisce il livello ormai cronico dell'astensionismo. Un cittadino su due non vota. E tra chi vota, cresce la quota dei consensi che vanno a forze antisistema come i grillini. O come la Lega, impegnata in una battaglia per chiudere le porte all'immigrazione.
Sommate, le preferenze per Cinquestelle e Lega sono in alcuni casi addirittura la maggioranza. Pur con toni e argomenti sbagliati e inaccettabili, questi due movimenti, così diversi tra loro, hanno saputo cogliere preoccupazioni vere, interpretare malesseri reali. Gli altri partiti ne terranno conto.
Il centrodestra, andato in frantumi con lo spegnersi della lunga parabola di Berlusconi, riscopre un'antica verità. Solo unito è competitivo e può battere la sinistra. Quando si divide, perde. Ma oggi unito rischia di avere una pelle assai diversa da quella del ventennio dell'ex cavaliere, quando la Lega di Bossi era un movimento locale preoccupato solo di vagheggiare un incerto federalismo. In Liguria, Toti ha vinto con la Lega oltre il venti per cento.
Salvini guida una forza ormai nazionale, attestata su slogan che non hanno più nulla di locale e celtico. E in un eventuale patto del centrodestra rivendicherebbe un ruolo decisivo. Sarebbe l'azionista di riferimento. Non si accontenterebbe più come Bossi di poche briciole o vaghe promesse. E l'alleanza sarebbe più simile al Front National della Le Pen che ai republicains di Sarkozy. Assai lontana dal solco del partito popolare europeo. La strada per la costituzione di una credibile alternativa moderata a Renzi è lunga. E questo resta il grande vantaggio di un premier a cui il voto del 31 maggio ha abbassato un po' le penn