SALVINI LANCIA LA CROCIATA CONTRO MELONI IN VISTA DELLE EUROPEE ATTACCANDO ANCHE UE E VON DER LEYEN: “IL 25 APRILE SCENDIAMO IN PIAZZA PER LA LIBERTÀ DAI BUROCRATI DI BRUXELLES”. AL CAPITONE, SFANCULATO PURE DA ZAIA, E' PARTITO L'EMBOLO PERCHE' SI E' ACCORTO CHE STA AVENDO SUCCESSO LA CAMPAGNA ACQUISTI DI FRATELLI D'ITALIA NEI CONFRONTI DEI LEGHISTI – ALLA CONVENTION DEI GIOVANI DELLA LEGA DI MILANO IL TRUCE HA APERTO LE VALVOLE IN MODALITA’ PAPEETE CON BORDATE AL DUPLEX MELONI-TAJANI: “SE QUALCUNO DEL CENTRODESTRA PREFERIRÀ LA POLTRONA E L’INCIUCIO CON I SOCIALISTI RISPETTO A UN CENTRODESTRA UNITO NON FARÀ UN DISPETTO ALLA LEGA MA ALLA…”
Matteo Salvini lancia da Milano la campagna elettorale della Lega in vista delle Europee, e prova a suonare la carica ai suoi: «Andremo molto bene, le lancette della storia stanno girando dalla nostra parte». Ma che s’intende per bene? Specifica il vicepremier dal palco dell’evento dei giovani della Lega “Politicamente ribelli”: «Sono convinto che arriveremo quanto meno in doppia cifra.
L’obiettivo politico che ci dobbiamo imporre nel medio termine è di superare i 5 Stelle. Che la Lega ha meno voti dei 5 Stelle è una cosa che non si può sentire». Nell’ultima rilevazione Swg per La 7, il partito di Giuseppe Conte è accreditato di quasi il doppio dei consensi rispetto al Carroccio – 15,4 contro 8,1% – ma Salvini spera di ribaltare la situazione entro le prossime politiche, par di capire. E anche di non finire buon ultimo dentro la coalizione di centrodestra, se possibile: «Il voto alla Lega è un voto unico, lo dico con rispetto degli avversari ma anche degli alleati. Non sarà la stessa cosa votare per FdI o Forza Italia».
MATTEO SALVINI - GIORGIA MELONI - MEME BY EDOARDO BARALDI
Sfida fratricida
Dove sta la differenza? Essenzialmente nel giudizio nettamente negativo della Commissione uscente e della presidente ricandidata (dal Ppe) Ursula von der Leyen: «Noi possiamo fare l’autonomia, le infrastrutture e far scendere lo spread. Però il 90% delle decisioni arrivano da Bruxelles. Se lì c’è una banda che decide per l’interesse di pochi sulla testa di molti non serve a nulla. Pensare che i disastri dell’Europa possano essere rimediati da von der Leyen, co-protagonista di questi disastri è come dire a uno che ha il diabete “Mangiati lo zucchero filato che fa bene”. Non può essere il sistema che ha creato il problema a risolverlo, è evidente». Di qui l’invito ai partner di coalizione a non farsi “tentare” da un nuovo accordo in Ue con i socialisti: «Se qualcuno del centrodestra preferirà la poltrona, la comodità, il politicamente corretto e l’inciucio con i socialisti rispetto a un centrodestra unito non farà un dispetto a Matteo Salvini o alla Lega ma farà il male dell’Italia e degli italiani. Tra Macron e Le Pen scelgo sempre Le Pen».
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SALVINI
Silvia Madiotto per corrieredelveneto.corriere.it - Estratti
Il destino del presidente è uno di quegli argomenti di cui tutti discutono, sia a voce alta che nelle stanze dei partiti; molto meno il diretto interessato. Luca Zaia mantiene un basso profilo, svicola quando si parla di incarichi lontani da Venezia, scuote la testa all’idea di lasciare il Veneto, assicura impegno amministrativo, ribadisce la linea a favore del terzo mandato per i governatori per tutte le motivazioni che va ripetendo da settimane. Di Europa, soprattutto, non ha mai fatto cenno (commentando, su richiesta, con un serafico «I don’t know»).
Ma è sempre lui al centro delle conversazioni. Ne parla il suo segretario Matteo Salvini che a sorpresa l’ha lanciato per un ruolo a Bruxelles (da parlamentare o da commissario? Grossa differenza), ne parlano i Fratelli d’Italia che ambiscono a raccoglierne l’eredità alla guida della Regione, ne parlano i leghisti che si chiedono come potrà essere il Veneto e come potrà essere la Lega senza Luca Zaia a Palazzo Ferro Fini.
L'uscita di Salvini su Bruxelles
Quando Salvini, dal vertice sulle infrastrutture venerdì a Padova, ha proposto Zaia come volto per l’Europa, «sarebbe un ottimo difensore del Veneto», ipotizzandone la candidatura, il governatore pare non averla presa affatto bene. Lo dice chi l’ha visto nei frangenti immediatamente successivi: il pressing di Salvini non fa che aumentare una distanza della quale nessuno fa più mistero. La strada di Bruxelles per il governatore sembra impraticabile.
Quella di Salvini è stata un’uscita non condivisa e non preannunciata e il governatore dimostra una certa freddezza sul tema. Lasciare il Veneto prima di aver completato il mandato? Non è questa l’intenzione. Se ancora il no non è stato pronunciato è perché i tempi sono ancora lunghi. Ma l’ipotesi di fare capolista nel Nordest, alla pari del generale Vannacci (in altre circoscrizioni) che con Zaia c’azzecca come i cavoli a merenda, non sembra d’uopo. Salvini aveva preso la palla al balzo approfittando del secondo, nettissimo no arrivato da Roma al terzo mandato nei giorni scorsi, ma la porta non è ancora aperta.
L'evento di destra per il 25 aprile
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI ANTONIO TAJANI MARCO MARSILIO
Se non bastasse, Zaia (come gli altri governatori) non sarà presente al prossimo incontro convocato dal segretario a Roma con gli alleati della destra europea, sabato 23 marzo; invece a dicembre, a Firenze, i presidenti c’erano. Il vicepremier ha giocato un’altra carta, sabato, annunciando un grande evento di piazza il 25 aprile. Una data importante da queste parti perché oltre a essere la Festa della Liberazione è anche San Marco.
Salvini propone una giornata «con i giovani per la libertà», dicendo di volerlo fare proprio in Veneto, «nella terra del Leone», e Venezia sembra la candidata ideale. Ma è anche un evento in contrapposizione alla Liberazione dal nazifascismo, contribuendo a collocare la Lega nella fascia più a destra dell’arco politico. E nella Liga è un altro elemento di diffidenza.
Le assenze al voto sui mandati
Da sabato però, nelle chat, tiene banco un altro argomento: la conta degli assenti al voto sull’emendamento in Senato per portare da due a tre i mandati dei presidenti di Regione, andato in scena mercoledì pomeriggio. Lo scrutinio è stato impietoso sulla battaglia leghista: 142 presenti su 200 senatori, 112 contrari, 26 favorevoli, 3 astenuti. Un muro di no. Ma i senatori leghisti sono 29 e quindi, dallo stesso partito che ha lanciato la sfida (dopo la bocciatura già registrata in Commissione) i voti sono mancati. Proprio sul provvedimento più sensibile del momento, in un momento in cui era importante dare un segnale di unità e priorità.
Non hanno votato Salvini, il ministro Roberto Calderoli e due veneti, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari e la senatrice Erika Stefani. Qualcuno ci ha tenuto a sottolineare le assenze, che sono però presto spiegate: Salvini era al question time alla Camera e poi a una conferenza con la Lega del Lazio, Calderoli era in Commissione alla Camera per l’Autonomia, Ostellari era impegnato in un vertice sulle carceri (e non era nemmeno a Padova venerdì con il segretario).
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giorgia meloni matteo salvinimatteo salvini e massimiliano fedriga