SCENARI - IN CASO DI PAREGGIO E DI STALLO, ANDRÀ AVANTI IL GOVERNO GENTILONI - ELETTI I PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO TRA FINE MARZO E I PRIMI DI APRILE, IL PREMIER DOVRÀ DIMETTERSI - NEL CASO CHE NON SALTASSE FUORI ALCUN GOVERNO, GENTILONI POTREBBE RESTARE FINO ALLE PROSSIME ELEZIONI, TRA UN ANNO ESATTO - SE IL RENZI CROLLERÀ IL PREMIER DOVRÀ ESSERE UN FORZISTA O UN TECNICO, NON UN ESPONENTE DEM
Alberto Gentili per ''Il Messaggero''
LO SCENARIO
Prima un caffé con Carlo Calenda per parlare di Alitalia, Ilva e delle crisi industriali aperte e di quelle (quasi) risolte come Embraco. Poi una spremuta sorseggiata insieme a Pier Carlo Padoan, accompagnata da una scorsa ai numeri del Def, il documento di economia e finanza da presentare al prossimo Parlamento e alla Commissione europea entro il 10 aprile.
VIGNETTA GIANNELLI - LA MARCIA ANTIFASCISTA DI RENZI E GENTILONI
Paolo Gentiloni, alla vigila di un voto cui le cancellerie europee e i mercati finanziari guardano con forte allarme, ha voluto mandare un segnale rassicurante. «Il governo c' è ed è al lavoro. La stabilità e la continuità sono assicurate, qualsiasi sia l' esito delle urne», dicono a palazzo Chigi «e questo è dimostrato dal fatto che, come avviene ogni settimana, il premier ha incontrato il ministro dello Sviluppo e il responsabile dell' Economia». Chi, insomma, ha in mano le chiavi della cassa ed è responsabile della tenuta dei conti. «L' operatività dell' esecutivo è garantita e lo sarà anche se il Paese dovesse affrontare alcuni mesi di forte incertezza».
LA «GRANDE PREOCCUPAZIONE» Insomma, nonostante le mille incognite del voto da cui probabilmente non uscirà alcuna maggioranza, le parole d' ordine di Gentiloni sono «normalità, stabilità, continuità». Ma nei suoi colloqui, sondaggi alla mano e sensazioni raccolte durante la lunga campagna elettorale, il premier non ha nascosto «una grande preoccupazione». Per il Pd che è dato molto basso, «ma sono convinto andrà meglio di quanto previsto». Non al punto però da diventare il baricentro nel prossimo Parlamento.
luigi di maio sergio mattarella
Per un centrodestra che agguanterà probabilmente la vittoria politica e altrettanto probabilmente non avrà i numeri per governare. Per i Cinquestelle che con Luigi Di Maio annunciano la «fine della fase dell' opposizione», ma rischiano di essere come il Pci degli anni Settanta che crebbe, ingrassò in numero di voti, ma non riuscì mai a espugnare palazzo Chigi.
Un avvitamento, un impotenza tout court, che non fa ben sperare per il dopo elezioni. Nei ragionamenti elaborati nelle stanze del governo, il male peggiore sarebbe la nascita di un esecutivo sostenuto da Cinquestelle e Lega per quella che Matteo Renzi ha definito «coalizione della paura». Si scommette però che anche questa alleanza populista non avrà numeri sufficienti nelle nuove Camere. «E poi», dice un ministro di rango, «Salvini non sembra interessato ad andare al governo, preferirà stare a guardare per rosicchiare alle elezioni successive altri voti a Forza Italia e diventare il primo partito della destra. Epilogo che si ripeterebbe se nascesse un governo di larghe intese Renzi-Berlusconi».
LARGE INTESE NON CONVINCONO Quest' ultimo scenario, a dispetto di quanto circola nei palazzi, non convince Gentiloni. Certo, potrebbe essere lui il premier di questa alleanza smentita e negata da tutti fino all' ultimo minuto di campagna elettorale, ma il presidente del Consiglio teme che un esecutivo sostenuto da Pd e Forza Italia balbetterebbe, zoppicherebbe a causa delle forti contraddizioni insite in un' intesa tra partiti tanto diversi. E in più aprirebbe la strada a una schiacciante vittoria dei partiti populisti.
Non viene neppure presa in considerazione, invece, l' ipotesi di un esecutivo Cinquestelle, Pd e Liberi e Uguali. Perché «Di Maio non sarà così ingenuo da rischiare la prova del governo senza avere alle spalle una maggioranza solida, il pericolo che corre è un fallimento al primo tentativo», dice un altro ministro. E perché «il Pd mai sosterrà un esecutivo guidato dai grillini. A meno che Renzi non venga messo da parte...», come suggeriscono diversi padri nobili della sinistra.
DALEMA RENZI BERLUSCONI E DI MAIO COME I CUGINI DI CAMPAGNA
Ecco, perciò, che in caso di pareggio e di stallo, lo scenario più probabile (cui il premier e il capo dello Stato si stanno attrezzando da tempo) sarà la prosecuzione del governo Gentiloni.
Certo, una volta che saranno eletti i presidenti di Camera e Senato tra fine marzo e i primi giorni di aprile, il premier dovrà salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni.
Ma, in base al copione già abbozzato nell' eventualità che nel frattempo non sia saltata fuori una maggioranza in Parlamento, Sergio Mattarella respingerà le dimissioni di Gentiloni prima di avviare le consultazioni. Questo consentirà al capo dello Stato (e al Paese) di avere un governo in carica, nel caso che dal lavoro di scouting di Mattarella non saltasse fuori alcun accordo. E dunque alcun governo politico. Così Gentiloni potrebbe restare a palazzo Chigi fino alle prossime elezioni. Che non saranno a giugno e neppure in autunno, quando dovrà essere approvata la legge di bilancio sterilizzando una volta di più l' aumento dell' Iva. Ma potrebbero essere tra un anno esatto.
GLI ALTOLÀ FORZISTI Questo scenario è valido se il Pd non crollerà. L' eventuale debolezza del Nazareno indebolirebbe di riflesso Gentiloni. E come dicono ad Arcore, «significherà pure qualcosa che il centrodestra avrà vinto le elezioni...».
sestino giacomoni e maurizio gasparri
Traduzione: il premier dovrà essere un forzista o un tecnico, non un esponente dem. E c' è da dire che Silvio Berlusconi già fa sapere di essere determinato a mostrare i muscoli se, com' è molto probabile, la sua coalizione avrà ottenuto più voti del centrosinistra e dei Cinquestelle.
«La vittoria politica è garantita, ora si tratta di vedere se avremo la maggioranza parlamentare», incrocia le dita Sestino Giacomoni, ascoltato consigliere del Cavaliere. Con una sola incognita: il temuto sorpasso della Lega di Salvini, dato forte anche nel Centro-Sud. In questo caso «saranno dolori», dicono ad Arcore, «ma senza sorpasso leghista e con i numeri giusti, si farà un bel governo con Tajani. Salvini?
In pubblico fa la faccia feroce ma in privato è ragionevole, uno con cui è facile raggiungere una sintesi». Chissà.