SCENDI-LETTA - IL PREMIER A BRUXELLES MA CON LA TESTA ALLE GRANE ROMANE: TRA LE MINACCE DI S&P, L'INTERROGATORIO DELLA CANCELLIERI E L'INCUBO DEL ‘’GOVERNO DI SCOPO’’ CON RENZI PREMIER CALDEGGIATO DA DUDU’ TOTI
Fabrizio Ravoni per "il Giornale"
Due tegole, in rapida successione, per il governo di Enrico Letta.
La prima è la persistente minaccia di un ulteriore declassamento da parte di Standard & Poor's; per di più, proprio a causa della mancata riduzione del debito: obbiettivo che il governo punta a raggiungere con le privatizzazioni, ma sul cui successo l'agenzia di rating sembra perplessa.
La seconda è la scelta dei magistrati romani di ascoltare come «persona informata sui fatti» Anna Maria Cancellieri per le telefonate tra il ministro della Giustizia e la famiglia Ligresti.
E con questi viatici il presidente del Consiglio oggi incontra la Commissione europea. A Bruxelles hanno antenne sensibili sulle vicende romane. Ne consegue che, al di là delle formule diplomatiche di rito, Letta e mezzo governo (lo accompagneranno, tra l'altro, Saccomanni, Bonino e Moavero) non riceveranno il sostegno caloroso che si sarebbero attesi: vuoi per l'incertezza legata alle misure economiche (privatizzazioni e rientro di capitali), vuoi per la tenuta dell'attuale assetto di governo.
Anche a Bruxelles danno per scontato che, appena approvata dalla Camera la legge elettorale, Letta sarà chiamato a ridefinire la composizione dell'esecutivo, adattandola al nuovo programma. Insomma, anche nei palazzi europei si aspettano di capire se nascerà realmente un Letta-bis; oppure, se prenderà piede l'ipotesi lanciata da Giovanni Toti di un «governo di scopo», presieduto da Matteo Renzi, e con una maggioranza che rispecchia quella delle nuove larghe intese sulla legge elettorale. Angelino Alfano prova a spiegarla così: «serve un Letta-bis appoggiato apertamente da Renzi, oppure non vale la pena di proseguire con questo esecutivo».
A Bruxelles e nelle altre capitali europee faticano a muoversi nei tecnicismi della politica italiana. Fanno fatica, per esempio, a comprendere come un governo possa poter durare quando in Parlamento si manifestano due maggioranze distinte: una sulle riforme elettorali ed istituzionali (quest'ultima più ampia della prima), ed una sull'attività ordinaria del governo.
E la prova c'è stata ieri: Forza Italia, in commissione a Montecitorio, dialogava con il Pd sulla riforma elettorale, mentre in aula votava contro il decreto sull'Imu e sulla cessione di quote della Banca d'Italia.
In questa situazione - rileva Toti - «ritengo difficile che il governo possa continuare a lavorare nell'interesse del Paese». Tanto vale - è il suo ragionamento - «tornare al voto il prima possibile». Oppure,ha detto in un'intervista, pensare ad un «governo di scopo» con una maggioranza Fi-Pd, presieduto da Renzi. Soluzione che, secondo Paolo Romani, presidente dei senatori azzurri, «non è all'ordine del giorno della politica». Ma, secondo Alfano, «il nuovo governo deve avere la forza della nuova leadership del Pd». Formula lessicale non troppo distante dalla soluzione tratteggiata da Toti.
Questo clima finisce per indebolire la figura di Enrico Letta, come indicano i sondaggi. Il presidente del Consiglio, però, prima di mettere mano alla squadra di governo vuole sapere se Renzi è disponibile o meno a condividere le responsabilità . Vale a dire, se è pronto a contribuire alla definizione dell'equipaggio che dovrà mettere in pratica il nuovo Programma.
Renzi, da parte sua, prima di sbilanciarsi, vuole conoscere questo programma; ma, soprattutto, vuole che la Camera approvi la legge elettorale.Visto il quadro, è difficile trovare argomentazioni per confutare Standard &Poor's e il suo «outlook» negativo sull'Italia.
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