SE QUESTO E’ UN PARTITO - ANTROPOLOGIA DELLE CORRENTI SINISTRATE, DAI LEADER-OMBRA ALLE OMBRE DEI LEADER - IL VELTRONIANO VORREBBE VOTARE RENZI (MA NON PUO’) - IL PRODIANO PURE, MA HA IL FIATO DI BERSANI SUL COLLE - IL RENZIANO E’ UN INVASATO CHE SI ECCITA COI SONDAGGI E PARLA TOSCANO ANCHE SE VIENE DALLA SICILIA - IL “DALEBANO” ORTODOSSO NON ESISTE PIU’ - E IL LETTIANO? VIVE CON L’INCUBO DEL POVERO FASSINA…

Claudio Cerasa per Il Foglio

Quello che vi proponiamo in questa pagina è un ritratto, o se volete un'istantanea, di ciò che in questo momento si muove nelle menti e nelle teste di tutte le più significative categorie politiche presenti nel Partito democratico. Insomma: un piccolo catalogo e una piccola enciclopedia di quello che oggi si intende quando sui giornali sentite nominare termini misteriosi, oscuri e spesso indecifrabili come "il veltroniano", "il renziano", "il lettiano", "il dalemiano", il "bersaniano" , il "bindiano", il "prodiano", e così via.

Termini che spesso fotografano la semplice appartenenza di questo o quel politico a una determinata corrente di un partito; ma termini che ormai indicano qualcosa di più di una banale militanza correntizia, e che giorno dopo giorno, primarie dopo primarie, scontro dopo scontro, candidatura dopo candidatura, sono diventati sinonimi di alcune vere e proprie categorie dello spirito del mondo democratico.

Categorie tutte diverse, e ognuna con le sue inclinazioni, i suoi tic, i suoi tormenti, i suoi legami e le sue simpatie e le sue antipatie ma che oggi non si possono non conoscere se si vuole capire meglio cosa si muove e cosa succede sotto la pellaccia del più grande partito della sinistra italiana.

Il veltroniano Il veltroniano è combattuto, tormentato, travagliato e a tratti perfino un pochino straziato. Il veltroniano è combattuto perché - pur essendo gagliardamente ed eroicamente superpartes, pur essendo vigorosamente ed energicamente equidistante dal renzismo e dal bersanismo e pur ripetendo notte e giorno e praticamente a memoria la filastrocca che questo-governo-ha-fatto-bene-al-paese e che questo-governo-è-l'unica-salvezza-per-l'Italia, e che questo-presidente-del-consiglio-è-l'unica-certezza-per-il-futuro-del-paese - non riesce a non pensare che forse qui c'è qualcosa che non va.

E che, sì, certo, è giusto, giustissimo, dire che Monti è quanto di meglio potesse sperare l'Italia per portare avanti un serio programma di riforme (il veltroniano si commuove ogni volta che sente pronunciare la parola "riforme") ma che forse è anche una piccola contraddizione in termini se chi un tempo proponeva come esempio per il paese la vocazione maggioritaria, il partito americano, le primarie aperte, il modello del sindaco d'Italia, il premierato forte e le riforme liberali oggi non è schierato in modo aperto e coerente e sincero con il candidato che propone come esempio per il paese la vocazione maggioritaria, il partito americano, le primarie aperte, il modello del sindaco d'Italia, il premierato forte e le riforme liberali (se accanto alla parola "riforme" ascolta anche la parola "liberale", il veltroniano entra in una specie di estasi mistica).

Il veltroniano - che passa molto tempo a presentare e a scrivere libri, a chiedere notizie di Casini e di Riccardi, a discutere di riforma elettorale e di riforme della Banca centrale e a criticare Bersani e D'Alema e Fassina e Orfini per essere diventati tutti a loro modo il simbolo di un partito che doveva essere di centrosinistra e che invece si è trasformato in un ennesimo partitaccio di sinistra - è poi anche combattuto, molto combattuto, perché sotto sotto non sa se può dire la verità al suo vecchio segretario:

e insomma ammettere apertamente e senza giri di parole che sì, caro Walter, va bene tutto, va bene Monti, va bene la tecnica, va bene il governissimo, va bene il montismo; però noi intanto, anche se ti vogliamo tanto bene e ti sosteniamo e ti aiutiamo con tutte le nostre forze, noi, caro Walter, non sappiamo come dirtelo, ma tra una cosa e un'altra, scusaci, ma noi una mano al nostro amico Matteo, per scrivere il programma, pensare alle riforme (ah, le riforme) e provare a conquistare lo stesso partito che ancora non capiamo bene per quale ragioni tu hai deciso di mollare, gliela diamo eccome.

Epperò, poi, il veltroniano sa che le cose non sono così semplici. Sa che Renzi forse non ce la farà (ma chissà). Sa che comunque il destino del veltronismo oggi fa rima più che mai con la parola montismo e per questo - tra un convegno di Enrico Morando, una tartina con Ettore Scola, una presentazione dell'"Isola delle Rose", una rievocazione della Bella politica e un convegno con Aldo Cazzullo - sa che la coppia Bersani-D'Alema non potrà mai rappresentare il veltronismo ma sa anche che forse con Bersani-D'Alema candidati a Palazzo Chigi un domani potrebbe essere anche più facile riavere Monti ancora a Palazzo Chigi. E quindi chissà sotto sotto alle primarie il veltroniano - "Who - secondo Wikipedia - in strict terms is generally progressive and modernizer, as opposed to Dalemiani who are more traditional social democrats" - per chi davvero voterà.

Il prodiano Il prodiano puro è una strana razza di politico che finge di essere in estinzione, che finge di essere scomparso, che finge quasi di non essere mai esistito ma che in realtà esiste eccome, ed è lì tutto accucciato che in un angolino aspetta anche solo una parola, anche solo un segno e anche solo un cenno dal suo acclamato e adorato oracolo di riferimento: "Ro-ma-no". Il prodiano puro sa che la sua partita non è finita, sa che c'è una corsa da organizzare, sa che c'è una sfida da affrontare e sa che basta un attimo e basta appena un gesto - dai Romano, un gesto! - per ricominciare a battagliare e preparare una sgroppata a un Colle non impossibile da andare a scalare.

Il prodiano puro però attualmente è un po' spaesato e disorientato. Sa che la fase è difficile, sa che il momento consiglia di non schierarsi e sa che per tenere aperta la porta di quella possibilità che tutti sanno che esiste e che nessuno osa nominare - ah, il Colle! - sa che per provare a raggiungere tutto questo occorre molta sobrietà, molta discrezione e molta oculata equidistanza da tutti i candidati: per evitare che una vittoria di uno o una sconfitta di un altro possano compromettere poi il sogno di una vita.

E così, il prodiano puro allude ma non si schiera, lascia intendere ma non si pronuncia e ogni giorno è lì impegnato a lanciare segnali a Renzi (che in cuor suo voterebbe); a mandare messaggi a Bersani (che in cuor suo voterebbe); a strizzare l'occhio a Puppato (che in cuor suo voterebbe), a darsi di gomito con Gozi (che in cuor suo voterebbe); a sorridere a Nichi Vendola (che in cuor suo non voterebbe ma comunque non boccerebbe); ed è sempre lì insomma, da formidabile equilibrista, a muoversi sul filo: sostenendo tutti e non sostenendo nessuno, appoggiando tutti e non appoggiando nessuno e stando sempre bene attento a non farsi coinvolgere in nessun dibattito ("Le primarie? Le regole? L'albo? Il doppio turno? Non vi rispondo neanche morti").

Il prodiano puro dunque - che osserva i gesti, i sussurri e le sillabe del professore con la stessa dedizione con cui un tempo gli auruspici studiavano in aria il volo degli uccelli per provare a capire qualcosa in più sul loro complicato futuro - sostiene Renzi ma anche Bersani, sostiene le primarie aperte ma anche le primarie chiuse, sostiene il partito aperto ma anche il partito chiuso, sostiene il liberismo sfrenato e anche l'antiliberismo sregolato.

Lo fa, tutto questo, con molta discrezione, con molte smentite, con molte lettere ai giornali; e lo fa sapendo però che senza un cenno alla fine il prodiano puro, in mancanza del Prodi vero, guardandosi in giro l'unico punto di riferimento che trova dopo Romano è sempre lei: la magnifica Rosy. E' Rosy il nuovo leader. E' Rosy il nuovo faro. E' Rosy la nuova battagliera.

E' Rosy il nuovo Prodi; ed è su Rosy che, in mancanza di Prodi, il vecchio e romanticissimo prodiano proietta i suoi sogni proibiti. Rosy, provaci tu. Rosy, sfidali tu. Rosy, candidati tu. Rosy, al Colle perché non ci vai tu? Rosy questo lo sa, e i prodiani se li coccola, se li accarezza e se li asseconda. Ma allo stesso tempo Rosy sa anche che accanto ai prodiani innamorati ci sono quelli che la guardano un pochino preoccupati. Quelli che un tempo la vedevano come il perfetto candidato e la perfetta sfidante e che ora invece la vedono disorientata, arrabbiata, infuriata, incavolata, inalberata e soprattutto non più così dolcemente endorsata.

Quelli che insomma, dopo essersi eccitati per un Lerner che la voleva premier, per un Maltese che la voleva premier, per un Serra che la voleva premier, per un Vendola che la voleva premier, ora si tirano indietro, si fermano, ci ripensano (ah, quel pasticcio con i gay, cara Rosy) e tornano a guardare con occhio romantico e malinconico ai colli bolognesi: sperando che un giorno il professore esca dal letargo, ritorni in campo e spieghi ai vecchi prodiani che fare, che dire, che penare e soprattutto, cavoli, con chi diavolo stare.

Il renziano Il renziano è eccitato, infiammato, esaltato, fomentato e a volte anche un pochino invasato. Il renziano è lì che conta e riconta, che studia e ristudia, che calcola e ricalcola, che cita e ricita, e che ti parla dei sondaggi (vanno forte quelli di Masia), che ti dice ce la facciamo, che ti spiega che siamo avanti, che ti racconta che il vento è cambiato e che passa il tempo a consultare i blog, a spulciare gli hashtag, ad aggiornare il profilo, a monitorare la Rete, a dare dritte ai giornalisti, a segnalare gli scandali e a spiegarti e a rispiegarti perché, in fondo, e che non l'hai capito?, tutti sono un po' renziani e tutti sono un po' rottamatori anche se nessuno, a parte Matteo, ha il coraggio e le palle di dire la verità, e di dire le cose come stanno e di dire "andate a casa" a tutti i bischeri che devono andare a casa.

Il renziano perfetto solitamente chiama tutti per nome, cita spesso l'amico Tony, chiama spesso in causa l'amico Barack, rimpiange molto di non aver incontrato l'amico Bill, e poi parla molto in inglese - yes, yes, yes: we can! - e parla molto di leadership, di riforme, di cambiamento, di programmi, di motivazione, di rinnovamento e di narrazione (fingete un malessere o prendetevi una settimana di ferie se volete sopravvivere alla spiegazione che un renziano vi dà della parola "narrazione") e ogni tanto ammette di sentirsi spesso colpito dalla famosa sindrome dei gemelli Derrick, i due fuoriclasse acrobatici rivali della New Team di Holly e Benji.

Affetto cioè da quella sindrome per cui - ora che ogni giorno si finisce sui giornali e ora che ogni giorno ci si ritrova con qualcuno così gentile da parlare così male di "Matteo" fin al punto di far stare simpatico Matteo anche a chi solitamente Matteo ce l'ha un po' sulle scatole - ora che succede tutto questo al renziano viene un po' la paura e il terrore di non riuscire ad avere ogni giorno un'arma segreta e un colpo a sorpresa da piazzare per non perdere terreno, per rimanere al centro dell'attenzione e per avere sempre la prontezza di riflessi giusta per buttarla in rovesciata sotto la traversa ogni volta che i vari, Marini, Bindi, D'Alema e Marchionne gli offrono degli assist davvero mica male.

Il renziano perfetto, poi, ti parla molto di Blair, di Miliband, di Obama, di Clinton, di Terza via, di Newlabourismo, di blairismo; ti parla sempre - anche se magari arriva da Catanzaro - con accento e sfumature lessicali toscane o ancora meglio fiorentine; e poi, quando ti parla di giornali, e parla molto di giornali, ti dice che ama alla follia Geremicca, che non si perde un'analisi del professor D'Alimonte, che non sopporta il Fatto, che non risponde a Travaglio che ha molta fiducia nel Corriere e che non capisce però come è possibile che nonostante tutto, e nonostante quella magnifica mattinata tra Matteo e Carlo, Repubblica abbia deciso di mollare Renzi e di sposare il rottamando Pier Luigi.

Il renziano dunque si interroga e si tormenta e poi però gli passa e ripensa ai sondaggi, al vento che cambia, al fundraising, alla benzina, alla trasparenza, al fatto che "con Matteo è tutto alla luce del sole", al fatto che "tutti vogliono sapere da chi prende i soldi Renzi e nessuno vuole sapere da chi prende i soldi il segretario", al perché non lo hanno ancora accusato di aver preso quattrini dal Mossad e dalla Cia; e poi però quando arriva il lunedì con i numeri e i sondaggi e quando gli amici dicono "ehi Matteo siamo tre punti avanti", a quel punto passa tutto: e il renziano si dimentica ogni cosa e pensa che il vento è cambiato e che quei tre punti in più vogliono dire molto: e che se D'Alema, Marini, la Bindi, Marchionne e Fassina continuano a dire su Renzi quello che dicono su Renzi la prossima volta l'amico Bill (Clinton) ci penserà due volte prima di dire "caro Matteo: no, we can't".

Il dalemianbersaniano Il dalemiano puro, ormai, esiste e non esiste. Esiste come entità mitologica, come esperienza mistica, come dottrina religiosa, come rituale liturgico ma non esiste più, diciamo, come politico puro. Sì: esistono i pre-dalemiani, i neodalemiani, i post dalemiani, i protodalemiani, i magnifici dalebani, ed esistono ancora cinquanta sfumature diverse di baffi e di baffetti, ma il dalemiano classico, quello che si siede al tavolo con il capo, quello che prende ordini dal capo, quello che segue il pensiero del capo, quello che esegue le richieste del capo, quello che si riunisce settimanalmente con il capo, non c'è più. Esiste una creatura diversa, ora.

Esiste il dalemiano post dalemiano, esiste il dalemiano che - senza rinunciare agli avverbi, ai diciamo, alle pause, ai tic, alle citazioni colte, ai riferimenti esteri e alle letture impegnate - oggi si ritrova a fare i conti con una situazione paradossale: con un leader che un tempo, si sa, era sufficiente alzasse il sopracciglio per diventare il protagonista di ogni retroscena giornalistico e che oggi invece, tra una polemica e un'altra e tra un jet privato e un altro, dà l'impressione di non essere più in grado di difendersi con prontezza da chi lo accusa di essere passato dal formidabile status di leader ombra a quello meno formidabile di ombra di un leader.

E così il dalemiano puro è diventato un dalemiano ibrido, più irregolare, meno ortodosso, e insomma si è evoluto, modernizzato, aggiornato e in una parola semplicemente bersanizzato. Il dalemiano appartenente alla corrente di pensiero del bersanismo è un dalemiano che rilegge sempre con attenzione gli archivi di Rinascita, cita sempre con oculatezza i testi di Reichlin, studia con passione i dati del Fondo monetario, posta con eccitazione gli articoli di Wolfgang Münchau, impara a memoria le teorie di Paul Krugman, guarda con sospetto i fondi di Giavazzi, si sente più vicino a Tremonti e a Vendola più che a Renzi o a Letta, ricorda ogni quarto d'ora che l'attuale crisi è figlia del "liberismo imperante" e sfoglia l'Unità leggendo Francesco Cundari con la stessa eccitazione con cui un interista leggerebbe i tabellini della Gazza il giorno dopo un derby con tripletta di Diego Milito.

Il dalemiano bersaniano, però, non è un tattico acrobatico o una guardia svizzera del segretario ma svolge più che altro il ruolo di consigliere spregiudicato, di tifoso fedele, di avversario leale e di custode ultimo della dottrina e della teoria della riabilitazione della lotta di classe. Il bersaniano dalemiano, poi, parla spesso di "ditta", dice che bisogna fare gruppo, pensa che la Cgil abbia quasi sempre ragione, chiama zombie i liberisti e sostiene che il partito viene prima del leader, che il leader viene dopo il partito e che il tempo dei leader che davano un valore aggiunto al partito è finito quando Berlusconi ha dimostrato che un leader che vuole dare un valore aggiunto al partito è un leader che in realtà si dimentica di avere anche un partito alle spalle.

E quindi c'è la ditta, sì, il gruppo, la squadra, la tradizione, il sindacato, l'esodato, il precario, la storia, la sinistra, e c'è un segretario che per la prima volta potrebbe realizzare il sogno che realizzò D'Alema arrivando a Palazzo Chigi senza trafficare con Cossiga e Mastella ma trafficando invece con una sostanza e con un materiale che storicamente nelle mani dei dalemiani si è spesso liquefatto come il sangue di san Gennaro, e che questa volta potrebbe invece far leccare i baffi, diciamo, ai neo, post e proto dalemiani: i voti, quelli degli elettori.

Il lettiano Il lettiano è gentile, elegante, colto, educato, garbato, indaffarato, impegnato, introdotto, trasversale, ma certe vote non può non ammettere di essere se non disperato quantomeno un po' frastornato. Il lettiano guarda Monti e dice "eccomi, sono io!"; guarda Renzi e dice "eccomi, sono io!"; guarda Bersani e dice "eccoci, siamo noi!"; e poi guarda il Pd, e guarda Fassina (che vuole rottamare Monti) e guarda Orfini (che vuole rottamare Monti) e guarda D'Alema (che vuole rottamare Monti) e guarda Vendola (che vuole rottamare Monti e in nome dell'ardire utopico dei pensieri lunghi sogna non un tecnico ma un Hugo Chávez a Palazzo Chigi) e dice "ma loro che ci fanno qui?, e noi che ci facciamo qui con loro?".

Il lettiano medio, insomma, sogna Monti perché solo Monti può garantire all'Italia di essere ancora l'Italia, e non la Grecia; vota Bersani perché solo Pier Luigi può garantire al Pd di essere ancora il Pd, e non l'Udc o i Ds; ma non vota Renzi perché Matteo è Matteo, sì, è uno di noi, che la pensa come noi, che è cresciuto come noi, che ragiona come noi, che dice le cose che diciamo noi, che sogna il partito che sogniamo noi, ma è uno che divide e non unisce, uno che separa e non miscela e uno che probabilmente potrebbe vincere le elezioni ma che sicuramente potrebbe distruggere il nostro amato Pd.

E quindi il lettiano che fa? Si muove con tatto e discrezione, stringe rapporti su rapporti, coltiva contatti su contatti, organizza brunch su brunch, lunch su lunch, breakfast su breakfast, e prova dunque a unire invece che a disunire, ad aggregare invece che a disaggregare, a conciliare invece che a litigare, a combattere invece che nascondersi e arretrare (il lettiano non ama la tipologia del franceschiniano che fischietta e fa finta che va sempre tutto bene e si fa crescere la barba per mimetizzarsi in mezzo ai comunisti). Come tutti nel Pd però il lettiano ha i suoi sogni e i suoi incubi: e se per il renziano l'incubo è il dalemiano, se per il dalemiano l'incubo è il veltroniano, se per il bersaniano l'incubo è il montiano, per il lettiano l'incubo è il fassiniano.

Nel senso di Stefano, nel senso di Fassina, nel senso del responsabile Economia del Pd: che ogni volta che parla ai giornali fa tremare il lettiano, lo mette in ansia e quasi gli fa venire la tachicardia E così: c'è Fassina che dice che il montismo è da rottamare? Ecco che arriva la sculacciata del lettiano ("Hai superato il segno!"). C'è Fassina che dice che la Fiom fa bene a scioperare? Ecco che arriva la pernacchia del lettiano ("Così si scredita il governo!"). C'è Fassina che dice che il Pd non potrà mai seguire l'agenda Monti? Ecco che arriva la condanna del lettiano ("Così si spaventano i mercati!").

Il lettiano insomma si dà da fare, si fa in quattro, si tormenta e si dispera ma comunque crede al Pd più di quanto credano al Pd molti esponenti del Pd, crede al progetto del centrosinistra senza trattino, crede al suo segretario, crede al montismo, crede al riformismo, crede all'andreattismo e crede che un Pd moderno debba tenere dentro tutti - da Fassina a Boccia, da Orfini a Renzi - ma che il leader di questo partito debba essere un uomo di mediazione, di sintesi e insomma trasversale, quasi di centro.

Il lettiano ci crede, crede che Bersani possa vincere, che il segretario possa essere un buon presidente del consiglio, che possa essere più lettiano che fassiniano e spera davvero, il lettiano, che il segretario lo ascolti, che lo segua e lo protegga e lo metta nelle condizioni un domani di non perdere la propria identità e di sentirsi a suo agio in questo Pd senza essere costretto a farsi crescere anche lui, come qualcuno, la barba fitta fitta per mimetizzarsi magari in mezzo ad alcuni vecchi comunisti.

 

IL PARTITO DEMOCRATICO DISTRUTTO jpegpier luigi bersani Pierluigi Bersanipier luigi bersani MATTEO RENZI TESSERA PD MATTEO RENZI A CHARLOTTE PER LA CONVENTION DEL PARTITO DEMOCRATICO AMERICANO jpegMATTEO RENZI jpegMASSIMO DALEMA MASSIMO D'ALEMAWALTER VELTRONI E MASSIMO DALEMA jpegvaltroni partito democraticorosy bindi x MARIO MONTI jpegMARIO MONTI LEGGE RESTART ITALIA MARIO MONTI DA IL CAMBIO A MARIO MONTI DA IL FATTO QUOTIDIANO ANDREA RICCARDI STEFANO FASSINA jpegMatteo Orfini e Massimo DAlema ysoc77 enrico morandoromano prodiGAD LERNER E SIGNORA FRANCO MARINI SERGIO MARCHIONNE bocciaEnrico Letta

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…