SE PURE LETTA FALLISSE RE GIORGIO NON SCIOGLIEREBBE LE CAMERE, MA SI DIMETTEREBBE DA PRESIDENTE LASCIANDO I PARTITI NEI GUAI: ADDIO ELEZIONI ENTRO L’ESTATE...

Ugo Magri per La Stampa

Si sa: nei passaparola tutto ingigantisce, e strada facendo assume proporzioni apocalittiche. Però, se si dà retta a ciò che Alfano va confidando ai suoi, ieri mattina Napolitano gli ha realmente fatto «una lavata di capo memorabile». Pare che davvero il Presidente, via telefono, lo abbia «sollevato da terra».

Pochi minuti prima, quando ancora l'incarico a Enrico Letta non era definito al cento per cento, Angelino aveva tentato quella che a Roma chiamerebbero la «mandrakata», cioè la furbizia di alzare il prezzo. Non per malanimo, sia chiaro, o per sabotare la nascita del nuovo governo. Proprio sul Colle sanno benissimo che, tra tutti i «berluscones», Alfano risulta tra gli interlocutori più seri e affidabili.

Il segretario Pdl alza il tiro contro eventuali «governicchi semibalneari» perché interpreta la grande paura del suo partito, quella di trovarsi incastrato in un governo a guida Pd che fa l'esatto rovescio di quanto l'elettorato di centrodestra si attenderebbe, ostaggio di ministri che se ne infischiano delle promesse di Berlusconi, incominciando da quella celebre sull'Imu.

Alfano teme che certe posizioni chiave vengano occupate da veri o presunti «tecnici» ostili alle idee e agli interessi del Cavaliere. E comunque non accetta quello che dalle sue parti viene considerato uno sfregio, una prepotenza, una «deminutio»: il veto a tutti ex ministri berlusconiani, da Sacconi alla Gelmini, in quanto giudicati a sinistra «impresentabili» o addirittura, per dirla col prodiano Gozi, «da far schifo».

Napolitano, dal canto suo, nemmeno concepisce che a destra qualcuno tenti di alzare l'asticella dopo che lui tanto si è speso per abbassarla. E' arrivato al punto di sacrificare il suo candidato preferito (Amato) pur di lanciare in campo chi (Enrico Letta) meglio assicura l'unità del Pd e permette finalmente di celebrare le larghe intese... Napolitano è convinto in cuor suo di avercela quasi fatta. Come si permette Alfano di dettare le condizioni?

Fatto sta che il segretario Pdl si è sorbito il «cazziatone» presidenziale, ma non per questo vuole concedere il punto. Il Pdl è una polveriera sul punto di deflagrare. Chi partecipa alle riunioni descrive scene da tregenda, gente assatanata e con la bava alla bocca che grida «basta, ribelliamoci, torniamo alle urne», dimenticando che se pure Letta fallisse Re Giorgio non scioglierebbe le Camere, ma si dimetterebbe da Presidente lasciando i partiti nei guai: cosicché addio elezioni entro l'estate...

Come al solito, le cosiddette «amazzoni» guidano la rivolta. I «pasdaran» le seguono. E Berlusconi? È decollato per l'America, dove oggi a Dallas presenzierà a una cerimonia con Bush, Clinton e Obama, lasciando una precisa consegna: «Finché non torno io, niente governo». Lo rivedremo a Roma domani notte, presumibilmente «cotto» dai fusi orari e magari non dell'umore migliore.

Per cui le cosiddette «colombe», cioè quanti mantengono il sangue freddo (Alfano, ma pure Cicchitto, Lupi, lo stesso Gasparri), si attendono che Letta impieghi proficuamente la giornata di oggi, idem quella di domani, per smussare gli angoli e cercare la quadra. In modo che tornando in patria Silvio si trovi un protocollo già concordato, sotto la quale lui debba solo apporre la firma. A quel punto il governo giurerebbe sabato sera, al più tardi domenica. E il dibattito sulla fiducia incomincerebbe lunedì mattina.

La trattativa dietro le quinte riguarda aspetti programmatici e, inutile dire, le «cadreghe». Sui primi, il Pdl insiste per una approfondita disamina; l'incontro odierno delle ore 16 non basterà che duri 60 minuti, per fare sul serio ne serviranno molti di più. Quanto alle poltrone, Alfano esclude di andare lui al governo.

Preferirebbe portarci i due capigruppo Schifani e Brunetta, liberando le loro attuali poltrone per altri pretendenti, nel chiaro tentativo di calmare le acque e isolare le «erinni» più scatenate. Schifani potrebbe essere accettato dal Pd, pur con qualche mugugno. Brunetta invece è tra i personaggi più invisi a sinistra, tra l'altro il suo carattere non lo rende interlocutore facile.

Per cui nei suoi confronti c'è un «vade retro». Un altissimo esponente del Pd si richiama in privato a Napolitano: «Se, come dice il Presidente, non dobbiamo introdurre nel governo elementi divisivi, questa regola deve valere per noi ma anche per loro...».

 

 

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