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UN VIETNAM CHIAMATO SENATO – L’ITALIA VA A PICCO E LA PRIORITA’ E’ PALAZZO MADAMA: IL GOVERNO VA SOTTO CON UN ALTRO VOTO SEGRETO SU UN EMENDAMENTO DI SEL - LEGA E M5S SULLE BARRICATE: TORNA IL MURO CONTRO MURO
Monica Guerzoni per “Il Corriere della Sera”
Sembrava tutto pronto per il brindisi, con un giorno di anticipo. Ma a mezzanotte, dopo una serata di puro caos, la corsa di Palazzo Madama verso la fine del bicameralismo perfetto si è arrestata. Lega e M5S hanno ripreso l’ostruzionismo e il presidente Pietro Grasso si è rassegnato a convocare la riunione dei capigruppo, come chiesto dal democratico Luigi Zanda.
«Credo che nessuno dei presenti abbia mai partecipato a sedute in cui sia stata espressa una così costante violenza nei confronti nostri e dell’istituzione del Senato», aveva accusato le minoranze il presidente dei senatori «dem». Toccherà alla capigruppo stamattina, alle 9.30, decidere come ripartire.
La tensione è esplosa per il contingentamento dei tempi e sul merito della modifica del Titolo V che ha spinto la Lega a tornare sulle barricate. Per il Carroccio aver riportato con l’emendamento della relatrice pd Anna Finocchiaro i Beni culturali e l’Ambiente sotto la competenza dello Stato è «una dichiarazione di guerra» e i senatori leghisti si riservano di decidere sul voto finale. Si era parlato della presenza in Aula di Matteo Renzi, per seguire da vicino la «giornata storica», ma adesso il premier sta pensando di disertare, anche perché il voto finale potrebbe slittare di un giorno.
Neanche la giornata era stata indolore. Si è votato a oltranza, fino a ridosso della mezzanotte. Il governo è andato sotto di 5 voti, con scrutinio segreto chiesto dalla Lega, su un emendamento di Sel relativo alle minoranze linguistiche. I franchi tiratori sono tornati in azione.
Sul Quirinale è stata battaglia. Gasparri (FI) ha rilanciato il tema dell’elezione diretta e Casini (Udc) ha insistito con la proposta di un ballottaggio popolare tra i due candidati più votati dal Parlamento in seduta comune. Il presidente Grasso, in linea con la commissione e con la «totale contrarietà» di Zanda, ha ritenuto di non procedere all’esame: la materia della riforma «è circoscritta» alla fine del bicameralismo, all’abolizione del Cnel e al Titolo V.
Minzolini (FI) ha trasformato le proteste in carte bollate, presentando un ricorso alla Corte Ue dei diritti dell’uomo: «La decisione arbitraria di Grasso di giudicare inammissibili gli emendamenti sull’elezione diretta è la tipica goccia che fa traboccare il vaso». Anche Gasparri si è lamentato di Grasso: «È un modo di operare che crea confusione in una situazione delicata».
Tra gli scranni delle opposizioni, rientrate in Aula in blocco, ma anche tra quelli di maggioranza, c’è stanchezza e tensione, un clima che amareggia il presidente. Grasso è convinto di aver guidato i lavori in modo imparziale, nel rispetto della Costituzione e dei regolamenti. Eppure durante la seduta in diversi lo hanno contestato per aver imposto il rispetto della tempistica, che ha visto esaurirsi i minuti a disposizione delle minoranze.
Anche dai banchi del Pd si è alzato qualche mugugno, da parte di quei senatori ai quali è stato spento il microfono mentre illustravano il loro emendamento. I collaboratori del presidente spiegano che lui non ha fatto altro che rispettare le decisioni della capogruppo. E oggi potrebbe far notizia lo strappo della senatrice a vita Elena Cattaneo, che nella dichiarazione di voto contesterà molti punti chiave della riforma: «Potrei non votarla, ma non ho deciso. Ci sto ancora pensando».
L’altro casus belli è stato l’emendamento sul quale il democratico Gotor aveva raccolto 90 firme, 60 delle quali del Pd, che proponeva di ampliare agli eurodeputati il collegio dei «grandi elettori» del Quirinale per scongiurare una «torsione plebiscitaria» del sistema. I 5 Stelle, che hanno ripreso la guerriglia (e le urla) per rallentare i lavori, sono rientrati in Aula per votare l’emendamento Gotor sperando di mandare sotto il governo, ma il blitz è fallito: 156 no, 110 sì e 18 astenuti.
«Abbiamo perso un’occasione», ha commentato Gotor. La correlatrice Finocchiaro resta convinta che la commissione abbia fatto la scelta giusta, ma al tempo stesso si augura che «alla Camera si possa svolgere un ulteriore approfondimento su un tema così rilevante». Il problema esiste e lo conferma l’apertura di Maria Elena Boschi a eventuali modifiche in seconda lettura. Per il ministro si è trovato «un punto di equilibrio» che non si può rimettere in discussione al Senato, ma la riforma «è ancora perfettibile» e alla Camera si vedrà.
Il governo ha superato indenne un altro voto segreto e tra i dissidenti del Pd si è notata l’assenza di Mineo. Il leghista Tosato ha sventolato la bandiera della Repubblica di Venezia, costringendo Grasso a far intervenire i commessi. Una proposta della Finocchiaro ha salvato gli ex inquilini del Colle, garantendo loro il seggio «di diritto e a vita».
La relatrice e il correlatore Calderoli, dopo lunga trattativa, hanno abbassato a 500 mila le firme necessarie per indire un referendum abrogativo, ma resta in campo l’opzione di un quorum più basso se ne vengono raccolte 800 mila. Una soluzione che non accontenta Sel. I relatori hanno firmato anche le modifiche per introdurre i referendum propositivi e portare a 150 mila le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare. Le Province spariscono e così il Cnel. Solo la Camera darà la fiducia al governo.