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L'INUTILE GIOCO DEL SILENZIO ELETTORALE - HA ANCORA SENSO IMPEDIRE AI CANDIDATI DI FARE PROPAGANDA A RIDOSSO DEL VOTO? LA REGOLA RISALE AL 1956 E NON È STATA AGGIORNATA AL MONDO DEI SOCIAL, DOVE I POLITICI SPROLOQUIANO IN CONTINUAZIONE E L'HANNO FATTO ANCHE STAVOLTA: SALVINI, MELONI, CONTE… - TANTO LA MULTA PREVISTA, DA 103 A 1.032 EURO, NON ARRIVA MAI: FORSE SAREBBE IL CASO CHE IL PARLAMENTO ABROGASSE LA NORMA?
1 - SUI SOCIAL, IN VIDEO E DAL VIVO: IL SILENZIO ELETTORALE IN FRANTUMI
Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera"
il post di giorgia meloni nel weekend del voto
Indignatissimo Franz Caruso, candidato del centrosinistra a sindaco di Cosenza. Ieri ha annunciato querela contro il geologo Carlo Tansi, candidato anche lui al Comune: «Ha violato il silenzio elettorale con un post...».
Ma c'è poco da indignarsi. Dalla mezzanotte di venerdì scorso, secondo la legge, sarebbe dovuto scattare il divieto di fare campagna elettorale fino alle 15 di oggi, cioè l'ora di chiusura dei seggi. E invece trasgressioni ovunque, molteplici, non solo sul web (il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, si è fermato a parlare coi cronisti fuori dal seggio a Milano) e con le scuse più disparate.
Perfino l'incendio che ha danneggiato a Roma il Ponte dell'Industria è diventato l'occasione per gli ultimi slogan. Verrebbe da dire: niente di nuovo. Perché la normativa risale allo scorso millennio (legge 212 del 4 aprile del 1956), quindi aggiornata (legge 130 del 24 aprile 1975), ma continua a non occuparsi del vasto mondo dei social, da Twitter a Facebook, da anni ormai tra i canali più diffusi della comunicazione politica.
In occasione delle elezioni europee del 2019, l'Agcom (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ha predisposto delle linee guida per le piattaforme digitali, ma non è stato ancora mai regolato in modo chiaro il silenzio elettorale sul web. Che perciò si può rompere tranquillamente.
E infatti ieri ha scritto su Facebook il leader della Lega, Matteo Salvini («Ho votato per il cambiamento»). Mentre la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, con un video postato sui social, ha attaccato di nuovo Fanpage ma non ha risparmiato la sindaca Raggi parlando del ponte.
il post di salvini contro sala
E sempre con un post le ha risposto poi Giuseppe Conte, il presidente M5S: «Strumentali i tuoi attacchi a Virginia...». Anche Gianluigi Paragone, candidato sindaco a Milano di Italexit, ha pubblicato un video per gli elettori: «Bisogna mandare un segnale...».
A Napoli un candidato che appoggia Antonio Bassolino nella corsa a sindaco, Domenico Masciari, ha addirittura mostrato su Fb la foto della sua scheda scattata in cabina con la X segnata sulla lista. Travolto dalle polemiche, si è difeso: «Era solo un facsimile».
Più prudente e in controtendenza, invece, il candidato sindaco a Roma del centrodestra, Enrico Michetti. Ai cronisti che gli chiedevano un commento sull'incendio del Ponte di Ferro, ha risposto netto: «Il silenzio è il silenzio...».
2 - MA LA LEGGE SUL SILENZIO HA SENSO NELL'ERA DIGITALE?
Antonio Polito per il "Corriere della Sera"
Come tante altre finzioni, anche il «silenzio elettorale» ha fatto il suo tempo. L a giornata di ieri, tra il comizio di Berlusconi appena fuori dal seggio; il lungo video di Giorgia Meloni in cui risponde alle accuse del filmato di Fanpage sul suo europarlamentare Fidanza e il «barone nero» che frequenta; la polemica politica sul web per stabilire se l'incendio del Ponte di ferro a Roma è colpa della Raggi o è la solita manovra dei poteri forti come i cinghiali e l'immondizia; sono tutte prove che l'efficacia della norma del 1956, sessantacinque anni fa, è finita per desuetudine, consunzione, collasso strutturale.
Le cause sono due. La prima è quella cui ormai diamo la colpa di tutto ciò che non funziona: la Rete. In effetti la parola «silenzio» è una bestemmia per la società digitale, che vive di chiacchiere e bla bla bla.
Però la legge non sopprime la conversazione, si limita a vietare «i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda elettorale».
il post di conte in risposta a meloni
Quindi più che agli elettori è rivolta ai candidati e relativi galoppini. E qui c'è il secondo - o forse primo - problema: i destinatari del divieto ormai se ne fregano, e il sabato e la domenica elettorale dicono ciò che vogliono nella giusta convinzione che non gli succederà nulla, nemmeno la multa da 103 a 1.032 euro prevista dalla norma.
Accade per tante leggi: ne produciamo come nessun altro Paese al mondo, ma il Parlamento non spende mai un secondo ad abrogare quelle che non stanno più in piedi, oppure ad adeguare ai tempi quelle che vuole conservare. E così, nel paese delle «grida manzoniane», i «bravi» la fanno sempre franca.