CARA METTIAMOCI A LETTO: IO NEL MIO, TU NEL TUO - LA SEPARAZIONE DEI LETTI È ORMAI UNA PRATICA COMUNE TRA I CONIUGI DEI MATRIMONI A SESSO ZERO
Fabiana Giacomotti per "il Foglio"
Fra i casi che si possono citare quando si decide di separare il letto coniugale e si ha la pessima idea di informarne gli amici, Thomas Mann è in assoluto il peggiore. "Ma scusa, non è quello che voleva farsi il ragazzino biondo e muore al Lido di Venezia con la tinta per capelli che gli cola sulla faccia?", dicono i tanti che, magari, non ricordano il nome di Tadzio, ma che dopo quarant'anni non si sono ancora tolti dalla mente l'espressione di Dirk Bogarde coperto di biacca e di rivoli di inchiostro sulla spiaggia del Des Bains nel film di Luchino Visconti, e a ragione nutrono il sospetto che il romanzo fosse autobiografico.
Gli altri, cioè quelli che, oltre a sospettare, Thomas Mann l'hanno letto per davvero, lettere e appunti compresi, sanno infatti come, oltre a dormire, lo scrittore svolgesse da solo una serie infinita di altre attività : erano tutte cadenzate e regolate come un orologio, dalle sveglia alle otto precise del mattino (sveglia autonoma, cioè senza trillo meccanico: una volta aprì gli occhi alle sette e trenta e rimase immobile mezz'ora nel letto domandandosi che cosa fosse potuto succedergli) fino alla passeggiata quotidiana di mezzogiorno.
Lo era anche la produzione di figli, sei fatti nascere a intervalli regolari, il che spiegherebbe anche per quale motivo sua moglie, Katia Pringsheim, trascorse periodi piuttosto lunghi a Davos per curare ogni sorta di disturbi psicosomatici, naturalmente in solitudine.
"Faire chambre à part", come dicono i francesi, è una di quelle decisioni che non lascia indifferente nessuno, né chi la adotta e decide di parlarne, sapendo di lasciare il campo libero a ogni genere di supposizioni, non solo di ordine sessuale, né chi ne ascolta le ragioni: il recupero dei propri spazi vitali e il desiderio di riprendere l'abitudine alla lettura notturna, oltre che al numero di coperte che si ritengono necessarie per non svegliarsi di continuo non sembra infatti motivazione sufficiente, anzi.
Bisogna addurre ragioni sostanziali, da cartella clinica: apnee, sonnambulismo, ipotermia degli arti inferiori, ipercinesi in fase rem, cioè involontari calcioni assestati al compagno di letto, e non è detto che basti. "Va davvero tutto bene?", commenta l'amica in visita notando il viavai di imbianchini e tappezzieri fra le camere in via di ristrutturazione. In Italia, "il lettone" è infatti uno dei fondamenti della famiglia, dunque la ragione prima e ultima non solo di un rapporto di coppia felice, ma presumibilmente anche di un matrimonio santificato nella confessione cattolica.
Nell'immaginario nazionale comune, infatti, le lenzuola singole sono espressione di legami di fede protestante, battista o episcopale poco conta, ma comunque "americana": percezione fittizia, visto che i più forti estimatori delle camere separate risultano essere i canadesi, ma che vera ci sembra perché siamo cresciuti guardando vecchi film hollywoodiani sceneggiati nel rispetto del codice Hays, dunque censuratissimi, tanto che adesso a qualcuno ha fatto più impressione vedere Leonardo DiCaprio "lupo di Wall Street" mentre si sveglia accanto alla moglie sotto la stessa testiera di raso azzurro che osservarlo sniffare cocaina dall'ano dell'anonima squillo prima dei titoli di testa.
Nella filmografia del Novecento, le coppie americane si coricano infatti con un comodino nel mezzo; quelle sofisticate come Myrna Loy e William Powell con il sovrappiù delle lenzuola di seta e del cagnolino Asta incerto su quale delle due buttarsi, ma ci sono anche antecedenti un po' più illustri: nel "Tristano e Isotta", per esempio, il re Marco si convince a perdonare moglie fedifraga e amante quando li trova addormentati in mezzo al bosco non solo interamente vestiti, ma con la spada di Tristano poggiata fra i due corpi a delimitare lo spazio di azione dei due, segno non inequivocabile ma ragionevolmente certo della castità ritrovata.
Gli italiani si ritrovano invece in massa nel lettone coniugale, cioè di famiglia, figli e cane compresi, e non è un caso che, intervistata da Io Donna, anche Eva Herzigova, di origine ceca ma andata sposa fra i torinesi Marsiaj, abbia tenuto a sottolineare come per lei sia "bellissimo" essere svegliata alle sei del mattino dai figli che le mordono un piede e le atterrano a volo d'angelo sulla testa, perché è sottinteso che, se pure il lettone del caso risiede a Londra, lo spirito con cui viene occupato è quello mediterraneo.
Il lettone è il metamessaggio della famiglia riuscita, l'alternativa al tavolo della cucina allestito e fumante con mamma e papà che si sbaciucchiano e i due figli che ingurgitano merendine preconfezionate prima di essere accompagnati a scuola. Si potrebbe fare colazione indifferentemente qui e là , ed è solo per il timore di rovesciare il caffellatte e di dover cambiare parure e coprimaterasso che tanti si astengono.
Nell'immaginario, la misura standard del talamo è infatti quella totalizzante di "Ieri, oggi, domani", con Sophia Loren sigaraia abusiva e nidiata di figli a scopo cautelare, cioè per evitare la galera: una piazza d'armi, un catafalco di umori, amori e odori a rotazione perenne, a prescindere dai dubbi che i medici di ogni tempo, ma in particolare quelli attivi nel primo dei secoli sovraffollati, il Diciannovesimo, hanno sempre avuto sui suoi benefici.
E cioè che, comodità di scambio sessuale a parte, dormire in due in una stanza non è sempre una buona idea esattamente come non lo è in otto, che era la portata massima del più spettacolare letto di tutti i tempi, "The Great Bed of Ware" scritto tutto maiuscolo, tre metri per due, ai tempi di Shakespeare la maggiore attrazione di una locanda dell'Hertfordshire, ora esposto al Victoria & Albert Museum con tutti i graffiti e i cuori trafitti originali visibili su testiera e colonnine.
L'occasione fa l'uomo ladro, non ci sono dubbi, sia in caso di spettacolare ammucchiata sia di scopatina del risveglio: il genere "già -che-siamo-qua", che per i gusti e le inclinazioni delle donne di adesso, ossessionate dall'autostima, potrebbe anche non essere un elemento seduttivo. Camere e letti separati, tutto sommato, postulano la scelta quotidiana del compagno (argomento principe delle coppie di fatto, quelle che dicono di volersi "scegliere tutti i giorni"); il lettone ammette la consuetudine e i sentimenti un poco sciatti. Non per nulla, gli stessi campioni della chiesa cattolica non ne hanno mai fatto un argomento dirimente, anzi.
Sant'Agostino, per esempio, consiglia un letto coniugale ben separato dal resto della casa, perché nessuno si avveda di quanto può accadere sotto le coperte, e ancora pochi anni prima della Rivoluzione francese, nel suo "Catéchisme des gens mariés", tale Père Féline prescrive di separare le camere da letto perché gli accoppiamenti a scopo procreativo siano consapevoli e non frutto della mera vicinanza fisica, appunto.
I medici ottocenteschi cercano invece di stabilire il rapporto corretto fra cubatura della stanza e numero di occupanti per evitare che i miasmi prodotti da due corpi vicini favoriscano la diffusione di malattie. Il secolo che scopre l'igiene e ha l'ossessione dell'"aria viziata" (Marcel Proust era criticato forse più per la mania di vivere con le tende tirate che per l'omosessualità palese) rileva ossessivamente i metri cubi d'aria necessari a preservare la salute e a garantire il riposo notturno ininterrotto, stabilendo anche la collocazione ideale del vaso da notte, che da un luogo non meglio precisato sotto il materasso, a metà Ottocento passa infatti stabilmente nello stipo del comodino, non a caso tuttora il mobile più difficile da piazzare nei mercatini di brocantage.
I medici parigini fanno il tour dei quartieri più popolosi, rilevando con orrore "le lenzuola luride", le tappezzerie macchiate e gli escrementi stratificati sulle scale e nei cortili. Ma se pure stigmatizzano la promiscuità delle famiglie più povere, sembrano più allarmati dal passaggio di pulci e pidocchi dall'uno all'altro membro che dall'eventualità dello scambio di altri fluidi corporali.
In quegli anni, e per certi versi ancora adesso (la locuzione attualmente in voga è "ambiente sociale degradato", ma la sostanza è identica, così come il giudizio morale che ne deriva), il sesso sregolato è visto come un inevitabile corollario dell'ignoranza e della contiguità forzata; una sorta di svago alternativo alla lettura e al teatro che occupano invece le serate dei ricchi e dei colti, provvisti di candele e di landò.
Ma anche quando approcciano le case dei nobili, medici e osservatori dell'epoca non sembrano ritenere il sesso un'attività da espletare esclusivamente in camera da letto. Per darsi "alla voluttà ", osservano, ci sono tanti altri posti, non ultimo il boudoir provvisto di "letto da riposo" che, anzi, è uno dei pochissimi usi Ancien régime a superare indenne il luglio del 1789, mentre in camera da letto le francesi continuano a ricevere sotto la monarchia di luglio come ai tempi di madame de Rambouillet.
Honoré de Balzac, per esempio, si stupisce parecchio della fissa degli inglesi per la privacy nella sua "Fisiologia del matrimonio": "Guardano alla camera da letto come a un sancta sanctorum (...) mentre da noi è una stanza accessibile come tutte le altre; se la padrona di casa è costretta a letto da una leggera indisposizione, lì riceve le sue visite".
I Gonzaga nella camera degli sposi ricevevano intere corti, per dire, mettendo in scena lo sfarzo del proprio matrimonio con l'aiuto del pittore più chic del momento, e ancora nel 1873, nella sua "Histoire d'une maison" l'architetto Eugène Viollet-le-Duc traccia una suddivisione aristocratica, quasi medievale degli spazi: una "grande chambre" per madame, provvista di caminetto, dove il marito può eventualmente raggiungerla a fine giornata, e due camere da letto più piccole che vi si affacciano.
Una sorta di salotto comune e interconnesso ma in cui la padrona di casa può isolarsi quando preferisce; insomma, la famosa "stanza tutta per sé", segreto di pensieri e occupazioni personali, che va a scomparire dalla fine dell'Ottocento, insieme con la nozione aperta, un po' flou, del concetto di "spazio pubblico" a fronte dei rigori della morale borghese.
La casa si trasforma nuovamente, e anche a Milano basta entrare in un alloggio della zona alto borghese di via Boccaccio, costruita a cavallo del penultimo secolo, per capire come la suddivisione fra le zone di rappresentanza e quelle rese inaccessibili ai visitatori diventi netta. Nasce il "salotto buono", con sala da pranzo ed eventuale studio-biblioteca affacciati su strada, ampi e ariosi e con esposizione a sud, sud-ovest. Le camere da letto restano esposte a nord-est, con vista sul cortile o sul giardino interno, insomma non luminosissime e neanche troppo calde.
Corridoio nel mezzo e bagno scuro e buio in fondo sanciscono la separazione fra quella che diventerà la "zona notte" e la "zona giorno". Finis con la camera blu di madame de Rambouillet e la sua ruelle, lo spazio fra il letto e il muro in cui si infilavano ben lieti i visitatori, fossero Scudery o Corneille, a parlare di letteratura e a ostentare il lessico "prezioso".
La camera da letto coniugale diventa il luogo dell'intimità , della coppia e, nonostante tutti continuino a sconsigliarlo, della sua diretta estensione, i figli. Poco prima che la nuova scienza medica abbandoni giocoforza le invettive contro i fiati notturni per iniziare a prendere piuttosto in considerazione i benefici del rilascio di ossitocina indotto dalla vicinanza di corpi che si conoscono, Louis Aragon canta alla sua musa il valore dell'intimità , della complicità che sfida il "tempo che non passa" dei "lieux noués", questi luoghi stretti, legati, annodati "chiamati camere o nidi secondo la specie animale".
"... Le camere di cui parlo sono tutte le camere, Elsa, che noi abbiamo avuto insieme / come se non fosse mai esistita una camera che a partire da te / perché prima di te / io non ero che il commesso viaggiatore del mio sonno". Siamo nel 1969, in piena rivoluzione studentesca e sessuale, quando ufficialmente verrebbe dato il via libera all'esplorazione di ogni corpo che sembri appena appena interessante e le finestre degli appartamenti privati dovrebbero aprirsi all'aria delle comuni.
E invece no, la stanza dell'amore di coppia è una, e non si tocca, dovunque si trovi e per quante possano essere. Due corpi, mille stanze diverse ma in realtà sempre uguali, perché luogo simbolico e metaforico almeno quanto il letto di Ulisse e Penelope. Radicato nella terra come "l'olivo frondoso" in cui è stato scolpito. Inamovibile. La camera coniugale diventa una scommessa sull'eternità della coppia, la camera da letto un luogo e un tempo privati.
Certo, non a tutte è concesso di riconoscere il marito dato per scomparso ponendogli una domanda trabocchetto sul luogo di acquisto di lenzuola e coperte. Scoprire che non se lo ricorda anche se non ha dovuto trafiggere i proci a uno a uno per venirtelo a dire non è certo un buon segno. Una volta però assodato che ha ancora ben presenti data e momento della scelta, il letto originale si può anche cambiare. E ripetere la domanda a intervalli regolari, variandola appena un po', andando gentilmente a bussare nella stanza accanto. Se si viene accolti con un sorriso, è fatta.



