A COSA SERVE PADOAN SE È DELRIO A DETTARE LEGGE SULL’ECONOMIA? IL MINISTRO VOLUTO AL MEF DA RE GIORGIO NON S’È ANCORA INSEDIATO E GIÀ PRENDE SBERLE. CI PENSERANNO REHN E MERKEL A VENDICARLO…

Vittorio Macioce per ‘Il Giornale'

«Vengo anch'io, no tu no». Il dottor Pier Carlo Padoan non ha ancora chiuso gli scatoloni nel suo ufficio all'Ocse. È tornato sabato sera da Sidney, stanco, vestito con un giubbotto scuro su pantaloni verde bottiglia.

Deve ancora giurare come ministro dell'Economia e intanto guarda la sua poltrona. Solo che di questi tempi lasciare una sedia vuota è rischioso, soprattutto se in quel posto non sei proprio del tutto gradito, visto che Renzi sognava qualcun'altro e ha dovuto fare buon viso e cattivo gioco alle richieste del Quirinale. Capita così che nel frattempo l'uomo a cui è stato rubato il posto si prenda una piccola, sostanziale, rivincita. E parla da responsabile della politica economica.

Questa domenica di quasi riposo fa capire quale sarà il clima nel governo. Renzi si fida dei suoi, di quelli che lo seguono da una vita. Padoan non sta nella lista ristretta. Graziano Delrio sì. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio vale più di un ministro. Non per legge, ma perché funziona così. Delrio, uno che ha battezzato il numero di Matteo sul suo telefonino come Mosè, quindi si sente perlomeno in viaggio con il popolo eletto (si fa per dire) verso la terra promessa, ci mette mezz'ora a chiarire chi comanda.

Davanti a Lucia Annunziata annuncia che non ci sarà nessuna patrimoniale ma bisognerà tassare le rendite finanziarie, compresi i Bot: «Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se gli togli 25 o 30 euro avrà problemi di salute. Vediamo...».

Fa sapere che si pensa a un taglio serio delle tasse sul lavoro. «Pensiamo di ricavare risorse in parte dalla spending review e in parte da operazioni industriali e dal rientro dei capitali».

Se questa è la partenza Padoan dovrà rassegnarsi. Sarà il sottosegretario del sottosegretario. La politica (Renzi, Delrio) dispone, i tecnici passano le carte (Padoan). Non è detto che vada proprio così. Magari collaborano. Magari Padoan va a bussare al Colle. Magari comincia un braccio di ferro sui confini del potere. Magari fanno pure il miracolo. Solo che il problema s'intravede e appare chiaro che la poltrona dell'Economia è quella che scriverà la storia del primo governo Renzi. È lì che bisogna guardare per capire come potrebbe finire il romanzo.

All'interno di quel ministero c'è tutto. Ci trovi il coraggio di questo governo, le promesse fatte da Napolitano a Bruxelles, le pagelle dell'Europa sui conti, i maldipancia di Civati e Cuperlo, lo sguardo di Confindustria e sindacati, le speranze e i dolori degli italiani. Tanti, troppi, puntano a metterci il cappello. Il gran capo della Bce, Draghi, si affretta a inviare messaggini a Renzi. Niente che non ti aspetti: all'Italia servono stabilità e riforme.

Intanto fa sapere che lui c'è. Non è un caso che il primo a parlare sia stato il finlandese Olli Rehn, commissario europeo per gli affari economici. «Padoan sa già quello che deve fare». È lo stesso concetto di Draghi. Non serve fantasia. Non inventatevi nulla. È tutto scritto. Non servono discontinuità con il governo Letta. Gli chef stanno in Europa, gli italiani si preoccupino di fare al meglio i camerieri.

È qui però il senso della sfida di Renzi: marcare il territorio. Non rompere con l'Europa ma non sposare in pieno l'identità degli eurocrati. Non è facile. Monti non ci ha neppure provato. Letta non c'è riuscito. Renzi ha molte ambizioni. Si presenta alzando l'asticella a misure considerate quasi impossibili. Il suo è un governo per le riforme. Ma ha la forza per farle? Questo si capirà abbastanza in fretta. Nel frattempo come in una canzone di Jannacci si potrebbe andare tutti al ministero e aspettare l'arrivo di Padoan. Per vedere di nascosto l'effetto che fa (quando trova la poltrona praticamente occupata).

 

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