
SI FA PRESTO A DIRE “DIVORZIAMO DALLA CINA” – TRUMP È STATO COSTRETTO A FARE L’ENNESIMA FIGURA DI MERDA PER EVITARE CHE I DAZI FACESSERO IMPLODERE LE SOCIETÀ TECNOLOGICHE AMERICANE: APPLE PRODUCE IL 90% DEI SUOI SMARTPHONE IN CINA E, IN GENERALE, L’80% DI TUTTI GLI SMARTPHONE IMPORTATI NEGLI STATI UNITI VENGONO ASSEMBLATI NEGLI STABILIMENTI-POLLAIO DELLA REPUBBLICA POPOLARE – MA C’È ANCHE UNA SECONDA ESENZIONE STRATEGICA, CHE RIGUARDA LO SVILUPPO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE…
Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica”
Evitare una dolorosa ondata di rincari per gli americani che comprano smartphone, computer o altra elettronica. Scongiurare aggravi di costi per le società tecnologiche che stanno costruendo nuove fabbriche o centri dati per l’Intelligenza artificiale negli Stati Uniti. Limitare i colpi ai bilanci, e ai titoli di Borsa, di campioni e campioncini di Big Tech, da Apple a Nvidia, da Dell a HP. Ci sono tutti questi motivi - e la potenza delle lobby di settore - dietro all’ennesima retromarcia dell’amministrazione Trump sui dazi, da cui ieri sono stati esentati una serie di prodotti elettronici, sia di consumo che industriali.
VIGNETTA DONALD TRUMP XI JINPING
Ma il ripensamento è soprattutto la prova di quanto gli Stati Uniti siano dipendenti dalle fabbriche cinesi, e in generale asiatiche. Riportare indietro la produzione non è cosa che si possa fare alzando un muro doganale: richiede anni, una strategia, e ben che vada riuscirà solo in parte.
Il primo simbolo della marcia indietro sono gli iPhone di Apple. Anche perché la società di Cupertino cerca da anni di diversificare la produzione rispetto alla Cina, spostandone parte in India e Vietnam. Il problema è che, dati alla mano, questa strategia (chiamata “Cina più uno”) è fallita: il 90% dei Melafonini, e in generale l’80% di tutti gli smartphone importati negli Stati Uniti, vengono assemblati negli sconfinati stabilimenti pollaio della Repubblica popolare, ad alta intensità di lavoro e basso valore aggiunto.
L’impatto dei super dazi sui prezzi di un iPhone 16 sarebbe enorme, da 1.200 a 2.100 dollari. Quello sui conti di Apple, che dal “giorno della liberazione” ha perso il 10% in Borsa, altrettanto pesante.
[…] La seconda parte delle esenzioni è quella industriale, anche più strategica. Riguarda prodotti centrali per le ambizioni americane di sconfiggere la Cina nella grande corsa alla potenza di calcolo, quindi all’IA, per cui le filiere produttive sono ancora più complesse e globali, ma sempre centrate in Asia. Trump aveva già esentato i chip dalle tariffe, non però i potentissimi processori grafici di Nvidia, “neuroni” dell’Intelligenza artificiale che i giganti tecnologici stanno acquistando a decine di migliaia. Al momento vengono prodotti a Taiwan, poi infilati nei server sull’isola o in Messico. La Cina quindi non c’entra, ma anche la tariffa base del 10% imposta al resto del mondo renderebbe gli investimenti delle varie Microsoft, OpenAI, Google e Meta molto più onerosi. Sono made in China invece una serie di componenti meno “nobili” ma essenziali dei data center, come i moduli ottici per trasmettere i dati, anche loro esentati.
In prospettiva quei chip gli Stati Uniti vogliono produrseli in casa.
Grazie ai generosi incentivi di Biden aziende americane come Intel o la taiwanese Tsmc stanno investendo decine di miliardi in nuovi stabilimenti. Serviranno anni però per portare a regime le linee. E soprattutto, servono gli ultrasofisticati macchinari per stampare chip fatti in Giappone o in Europa, dall’olandese Asml. Pezzi da centinaia di milioni, da ieri esclusi dai dazi.
[…] Apple si è impegnata a investire negli Stati Uniti, ma assemblare tutti gli iPhone, gli iPad e i Mac sarebbe impossibile e ne farebbe lievitare il prezzo.
Se anche la marcia indietro è momentanea insomma, rivela una serie di fatti che Trump può ignorare, ma non cancellare. Per portare più produzione negli Stati Uniti servono anni e non sono i dazi orizzontali lo strumento che può accelerare il processo, anzi lo ostacolano.
La Cina è l’unica vera superpotenza industriale, con un terzo della produzione globale, auguri a chi vuole divorziare: le prime stime dicono che queste esenzioni “salvano” circa un quarto delle sue esportazioni negli Stati Uniti, almeno 100 miliardi di dollari, una gran vittoria per Xi Jinping. Al di là della Cina poi, dopo un’era di globalizzazione le filiere dell’hardware sono legate a doppio filo con l’Asia: impossibile spezzarle senza che i colossi tech, pilastro di Wall Street ma soprattutto della potenza americana, paghino il conto.
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APPLE CINA
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