trump rubio cruz murdoch

IL TAFAZZISMO DEL “GRAND OLD PARTY” - PIÙ TRUMP CAVALCA VERSO LA NOMINATION PIÙ IL PARTITO REPUBBLICANO, FREGANDOSENE DEGLI ELETTORI, VUOLE OSTACOLARLO - MA A SOSTEGNO DEL TYCOON ARRIVA ANCHE MURDOCH - RUBIO SARÀ COSTRETTO A MOLLARE DOPO IL VOTO IN FLORIDA, IL 15 MARZO - LA CNN SPINGE HILLARY

Maria Giovanna Maglie per Dagospia

marco rubio trumpmarco rubio trump

 

“Goodbye Rubio Tuesday” sarebbe il saluto definitivo da dare al senatore  tutto chiacchiere e distintivo che finisce sempre terzo, che  non si capisce perché, forse per la sua bella faccina o più probabilmente nella certezza di manovrarlo a piacimento, il vertice del Gop e i capo bastone di Washington avevano scelto come candidato ideale, e che si ostinano a tenere in piedi come un pupazzo con i fili. 

 

Questa elezione del presidente degli Stati Uniti sarà ricordata con la sua faccia di tolla, esibita a nome e per conto di un partito di burocrati che hanno perso qualsiasi contatto con le roots del Paese, che respingono i voti nuovi, la linfa fresca che il pagliaccio Trump gli porta, e lo attaccano, lo isolano, pagano per farlo fuori, invece di farsi due conti, vedere che in ogni  Stato lo vanno a votare elettori perduti per decenni, nuovi iscritti dalle file dei democratici, degli indipendenti, dei mai pervenuti.

 

REAGAN E TRUMP REAGAN E TRUMP

Le critiche alle stravaganze, alle intemperanze di Donald Trump dovrebbero venire solo dai democratici, com’è naturale, invece no, tutto un complottare, un tramare, un raccogliere fondi per finanziare  pubblicità negativa. Conclusione del gran da fare?

 

Che Ted Cruz, non Rubio, ha preso, com’era il minimo sindacale, il suo Stato, il Texas dove è stato eletto senatore, e non certo col 50 per cento, anzi con un risultato che in tempi di normalità sarebbe stata definita una sconfitta, più altri due Stati. Ma Cruz è inviso alla elite repubblicana tanto quanto Trump, anzi è il senatore più odiato del Senato, e se vogliamo esprimerci con termini classici e desueti, è molto più a destra di Trump, molto meno in grado di avere un consenso nazionale .

 

BUSTO DI DONALD TRUMPBUSTO DI DONALD TRUMP

Rubio Tuesday ancora martedì notte, appena presa la botta di sette Stati sette conquistati da Trump, in barba al vecchio detto che uno di New York al sud non lo voteranno mai,  ancora martedì notte, mentre nella sua Florida Trump festeggiava in conferenza stampa prendendolo sobriamente in giro, si presentava con la sua faccina spiegando che lui, l’eterno terzo posto, farà fuori quello che sta stabilmente al primo Scrive il New York Magazine, che certo non è accusabile di debolezze verso il concittadino, che sarebbe ora che i circoli potenti  e l’establishment si rendano conto che è Rubio, non Trump, quello che tenta una opa ostile per il controllo del partito. 

marco rubiomarco rubio

 

E David Graham del The Atlantic racconta che a vederlo e sentirlo parlare dopo la batosta di martedì gli è parso di assistere  a uno spettacolo surreale, ma soprattutto che dietro la faccetta incredibilmente trionfante non si sa di che, si capiva l’operazione illegale che Rubio crede ancora di poter mettere a segno, spalleggiato dai vertici, ovvero “non battere correttamente Trump, ma privarlo di una vittoria legittima, testimoniata dal numero dei delegati alla convention repubblicana, con l’imbroglio e l’inganno”.

 

ted cruz in  chiesated cruz in chiesa

Non andrà così, la Florida il 15 marzo, dove  è indietro di sedici punti nei sondaggi, insieme ad altri Stati nei quali the winner takes all, il primo arrivato prende tutti i delegati dello Stato, segneranno la fine del delirio del giovane senatore e dei suoi sostenitori. Resta lo sconcerto per dei leader che hanno tentato e tentano ancora di manipolare, addirittura ignorare, il parere degli elettori., e che hanno lasciato capire senza pudore che la scelta del partito viene prima, che possono negare la nomination a chi se la sia guadagnata .

 

rupert murdochrupert murdoch

Il risultato potrebbe essere catastrofico, tra una vittoria regalata a Hillary, un Trump che si fa il suo partito ad agosto, elettori che il primo martedì di novembre votano lui come presidente, ma non votano deputati e senatori del partito. #NeverTrump  è la scritta che twitta e ostenta sul bavero della giacca Marco Rubio,  il segno di una strafottenza che poteva piacere all’inizio, ora puzza di inganno.Glielo ha detto chiaro con un tweet un altro tycoon, fornito di tv e giornali fondamentali per il Gop, e non affetto da simpatia per Trump. Basta -ha scritto Rupert Murdoch - lui sta cercando di usare un linguaggio conciliatorio, come prevedibile, e se il nominato è lui, il partito deve seguirlo.

 

donald trump christie hillary clintondonald trump christie hillary clinton

Ma tutto si tiene, se pensate che  a inizio campagna Il Washington Post ha scritto un editoriale su Trump  che attaccava così: “È raro che ci occupiamo di candidati marginali alle presidenziali”, e spiegando di volere fare un’eccezione per Trump. “Nel 2008 per il partito Repubblicano fu un privilegio avere John McCain come candidato, mentre invece stavolta deve fare i conti con Trump, un uomo il cui principale talento politico è quello di riflettere i peggiori istinti della società americana”.

sostenitori di trump con il cartello hillary jokersostenitori di trump con il cartello hillary joker

 

E concludeva arditamente: “La candidatura di Trump è comunque un’opportunità per rendersi conto di quali possono essere i rischi del populismo, uno stimolo a essere migliori e più vicini alle esigenze del Paese”. Sono figuracce che non si dimenticano, insieme al WP c’è la stampa americana ed europea, e uno di questi giorni ci divertiremo a fare un bel collage di quella italiana tutta, anzi in specie di quella vicina ai repubblicani, ché gli altri fanno il loro mestiere di faziosi.

 

Circolano una miriade di compunti conservatori per bene, che aborrono l’afrore di antisistema di Trump, si illudono di contare  qualcosa,  e ora scimmiottano l’ultimo spunto di pubblicità negativo, ovvero “Trump contro Clinton è vittoria sicura della Clinton”. Invece, non si capisce perché uno degli altri due sfigati attirerebbe voti come il miele. I democratici però si preoccupano, e non poco.

donald trump come mussolinidonald trump come mussolini

 

Se il consenso del candidato repubblicano si è coagulato intorno alla rabbia della classe media verso il sistema accusato di mentire e di aver indebolito il Paese con una politica lassista di tasse, immigrazione e accordi commerciali, Hillary Clinton , ex first lady, senatore, segretario di Stato, è simbolo del sistema.

 

Funziona anche al contrario naturalmente, che democratici delusi corrano a votar e per scongiurare il pericolo del Mussolini d’America che nemmeno i suoi vogliono. Vedremo, per ora la media di elettori repubblicani è cresciuta vistosamente negli Stati che  si sono già espressi, ed è difficile credere che elettori storici repubblicani  pur dubbiosi su Trump, non si uniscano a loro alle elezioni generali, colti da tafazzismo. 

 

Certo è che la Cnn, amica di Hillary e compagni, ha continuato per l’intera giornata di martedì a far passare i risultati di un sondaggio un po’ stravagante che ripeteva il mantra: “con Trump vince la Clinton”, tralasciando di spiegarci che succederebbe con gli altri. Scorretto? Scorrettissimo, in giorno di voto, ma l’America è abituata alle campagne sporche. Certo è che a sera il capo della campagna Clinton, il navigato John Podesta, ha rilasciato una dichiarazione secca. “Abbiamo sempre preso sul serio Donald Trump”.

 

 

 

 

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