LO STALLO DEI CINQUESTELLE DIVISI TRA L’OPPOSIZIONE AD OLTRANZA E L’APERTURA A LETTA
1 - M5S, DUBBI SULL'OPPOSIZIONE A OGNI COSTO
Andrea Malaguti per "la Stampa"
Il deputato Cinque Stelle Walter Rizzetto esce dall'Aula furibondo. Dice: «Stavolta pretendo una spiegazione. E la voglio pubblica». Ce l'ha con il collega Cristian Iannuzzi, che con la stessa indifferenza con cui un imperatore cinese firmerebbe una condanna a morte per un ladro di cavalli, rimane seduto - impassibile, come se la cosa non lo riguardasse - mentre l'intero emiciclo si alza istintivamente per portare la propria solidarietà al brigadiere Giuseppe Giangrande, evocato dal primo ministro Enrico Letta.
Tutti in piedi ad applaudire. Tranne uno. Che forse dovrebbe essere portato di peso a guardare negli occhi Martina, la figlia di Giuseppe, che in quello stesso istante, con una forza sovrumana, sta spiegando alla stampa che uomo speciale sia suo padre e come la sua vita sia precipitata in un pozzo negli ultimi tre mesi. «Ho perso mia madre e ora lotto per mio padre».
Nella distanza, apparentemente incolmabile, che divide Rizzetto dall'universo polare di Iannuzzi, si incastrano il disagio e la confusione che accompagnano l'avventura parlamentare del Movimento in questi giorni. Sono macchine insensibili che si possono permettere l'aureo lusso di parlare dei corpi dello Stato senza conoscerli, distruttivi rivoluzionari, o un gruppo di risveglio civile disabituato alle liturgie di Palazzo ma deciso a cambiarne le regole per farne un posto migliore?
E come si fa opposizione? Digrignando i denti? Ostentando disprezzo o lavorando per il meglio? «Questa non la lascio passare», insiste Rizzetto. Una questione di principio che si porta dietro l'intero senso di un'esperienza politica. «Dobbiamo tutti abbassare i toni, per il bene del Paese», dice evidentemente turbato il deputato Adriano Zaccagnini.
La domanda su che cosa stia diventando il Movimento sembra riproporsi mille volte nel corso del dibattito sulla fiducia. Dopo il discorso di Letta - basta privilegi, via le Province, taglio agli stipendi dei ministri, più soldi alle piccole e medie imprese, più welfare, niente Imu a giugno e nessun aumento dell'Iva il confronto tra i deputati Cinque Stelle si anima. «Se Letta farà quello che ha promesso oggi, il Movimento 5 Stelle non avrà più ragione di esistere», commenta Alessio Tacconi.
«Nel discorso di Letta ci sono passaggi condivisibili, adesso aspetto di vedere le parole trasformate in fatti davanti all'Aula. Solo una domanda: dove li trova i soldi?», gli fa eco il pesarese Andrea Cecconi. Un'apertura apparente, che dopo pochi minuti viene rovesciata in Aula da un intervento feroce del cittadino-avvocato-deputato pescarese Andrea Colletti. «Presidente Letta, con il ministro dell'Interno scelto - o che le è stato imposto - il suo sembra il governo della trattativa Stato-Mafia. Questo è l'esecutivo del salvacondotto a Berlusconi».
Montecitorio esplode. Insulti. Grida. Richiami all'ordine. L'Aula si placa finché, poco più tardi, la deputata, laureata e plurititolata Carla Ruocco, rade al suolo Beatrice Lorenzin. «Accusano noi di incompetenza, ma per fare il ministro della Sanità evidentemente basta il diploma liceale». La Lorenzin si limita a ignorarla con fare di freddo disappunto. Alle otto di sera anche il capogruppo del Pd, Speranza, si rivolge direttamente ai parlamentari Cinque Stelle. «Mi viene in mente Don Milani: a che cosa servono le mani pulite se poi si tengono in tasca?», domanda. Ed è esattamente quello il cuore del dibattito nel tempio dei fedeli di Grillo.
2 - VIOLENZA: M5S CAPRO ESPIATORIO MA RISCHIA DI FREGARSI DA SOLO
Andrea Scanzi per il "Fatto quotidiano"
à sempre colpa di Grillo. Se il governo non nasce. Se c'è la crisi. Se un muratore spara a due carabinieri. Centrodestra e sparuti intellettuali del Pd (tipo Enrico Gasbarra) hanno ovviamente sposato l'interpretazione più bieca dell'attentato di Luigi Preiti: "Colpa del clima anticasta". Cioè del Movimento 5 Stelle.
Il mantra, liberatorio e autoassolutorio, ha accomunato Pdl e Lega. Da Maroni ad Alemanno (noti gandhiani), da Libero al Giornale. Con tanto di giochi di parole aurei, tipo "Il grilletto". La tesi di "Grillo cattivo maestro" di squilibrati pronti a sparare a caso, del resto, circolava già dopo il primo Vaffa Day dell'8 settembre 2007, con un memorabile editoriale di Mauro Mazza al Tg2.
Basterebbe un minimo di onestà intellettuale per ritenere tale analisi abominevole. Oltretutto gli appelli alla moderazione, oggi, arrivano dagli stessi che incitavano ieri le piazze a prendere i fucili; che manifestavano davanti al Palazzo di Giustizia; che paragonavano Prodi al Diavolo; che alzavano il dito medio verso la piazza (in passato fu la Santanchè, di recente Gasparri: un tripudio di cervelli pensanti). Il gesto di un folle è stato usato dal centrodestra per blindare il Parlamento, spacciare il governo Letta come "unica salvezza" e indicare i dissidenti (i grillini ) come mandanti morali di Preiti. Una sorta di sbilenca - ma nondimeno terrificante - strategia della tensione 2.0.
Nell'eterno paradosso in cui vive e si avviluppa la politica italiana, si pretende ora che la malattia sia curata da chi quel virus lo ha lungamente inoculato. Un po' come affrontare un tumore aggiungendo metastasi, incolpando i medicinali nuovi del peggioramento della situazione. Proprio per l'evidente cortocircuito della politica, e della comunicazione ad essa annessa, il Movimento 5 Stelle (il medicinale nuovo, non si sa ancora quanto e come funzionante) dovrebbe stare attento a non fornire assist.
A non compiere errori. E invece li compie, vittima di un perenne effetto pavloviano: se il 5 Stelle non deve dire una cosa, prima o poi la dice. Gettando benzina sul fuoco che altri, senza mai riposarsi, alimentano. In larga parte il M5S è stato irreprensibile, esprimendo solidarietà incondizionata alle forze dell'ordine e ribadendo di essere contro qualsiasi forma di violenza.
Lo hanno fatto Crimi e Lombardi, lo ha fatto soprattutto Beppe Grillo (non è bastato: qualcuno ha parlato di "excusatio non petita"). Ieri, in un post firmato "Sergio R." intitolato "Li manderemo a casa con la democrazia", si sottolineava nuovamente l'incoerenza cinica dei politici (non tutti: meritorie le prese di violazione di Veltroni e Boldrini) e le storture mediatiche, secondo cui Preiti sarebbe stato ispirato dai comizi troppo incendiari di Grillo. Alcuni deputati, come Tommaso Currò, ritengono oggi certe iperboli del comico genovese "forse eccessive".
Altri, come Alessandro Di Battista, hanno polemizzato con RaiNews che insisteva sull'equazione "dare le coordinate del Parlamento ad Al Qaeda = fomentare la violenza". C'è però chi è andato fuori giri. In buona fede, ma c'è andato.
Ad esempio l'economista Paolo Becchi, vicino al M5S. Il suo "cui prodest" è suonato inopportuno, nonché controproducente: "Il Paese dev'essere pacificato e questi attentati spingono a dare il sostegno a un governo che non ha un programma adeguato e ricompattano con il vecchio cliché: uniti contro la violenza".
Vittorio Bertola, capogruppo 5 Stelle a Torino, si è spinto tristemente oltre: "Il vero problema non è che qualcuno vada davanti a Palazzo Chigi e spari durante il giuramento del governo. Il vero problema è che in questo momento, ne sono assolutamente certo, ci sono alcuni milioni di italiani che pensano âpeccato non abbia fatto secco almeno un ministro'".
Se Bertola intendeva alludere al clima esasperato, si è espresso malissimo. Riverberando lo stereotipo del 5 Stelle violento, quando casomai il M5S ha sin qui contenuto la protesta nell'alveo della democrazia (a differenza delle albe dorate greche). Anche la Rete - compreso il sito del Fatto Quotidiano - è stata invasa da commenti irricevibili, saturi di deliri complottisti e violenza livida. Il paese sembra diviso tra avventori incazzosi di un grande bar: chi dice "è tutta colpa di Grillo", chi arriva a sostenere che "in fondo Preiti ha fatto bene ma ha sbagliato bersaglio". Il Movimento è il capro espiatorio perfetto: se poi qua e là si accoltella da solo, non c'è davvero più speranza.
PAOLO BECCHI GRILLO Beppe Grillo logo cinque stelle Beatrice Lorenzin VITTORIO BERTOLA jpegMaurizio Gasparri ENRICO LETTA ALLA CAMERA TRA ALFANO E BONINO