LA VENDETTA DI JUNCKER CONTRO GENTILONI E TAJANI – AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE NON E’ ANDATO GIU’ IL POLVERONE SULL’EMA: LO HA VISTO COME UN ATTACCO PERSONALE. DA QUI, LA BASTONATA SULL’”OPERATIVITA’ DEL GOVERNO DOPO LE ELEZIONI” – LA BOMBA ARRIVERA’ TRA POCO: UN NUOVO BANDO PER L'AGENZIA DEL FARMACO E CON MILANO COME UNA CANDIDATA FRA LE TANTE
DAGONOTA
Se Juncker ieri ha sbroccato contro l’Italia (“dopo le elezioni non avrà un governo operativo”) un motivo c’è. E si chiama Agenzia europea per il farmaco. Al presidente della Commissione non è andato giù il polverone alzato ufficialmente (e molto più fastidio gli ha dato quello agitato ufficiosamente) dagli uomini di Gentiloni contro l’assegnazione ad Amsterdam dell’Ema. Lo sta vivendo come un attacco personale contro il suo operato.
Juncker ritiene che l’offensiva diplomatica estesa anche ad Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento, finisca per indebolire la Commissione Ue che già non gode di buona salute. Insomma, ha vissuto e sta vivendo le critiche nelle procedure di aggiudicazione come un attacco alla trasparenza (che non c’è stata) delle operazioni. E sta preparando la vendetta.
In primo luogo, ha fatto respingere il ricorso di Milano contro Amsterdam dal Consiglio Ue. Poi, ha dato la mazzata all’”operatività” del governo (sputtanando Gentiloni, visto che non si è dimesso da presidente del Consiglio). E tra poco potrebbe sganciare la boma.
Vale a dire che, qualora la delegazione dell’Europarlamento dovesse verificare come i cantieri dell’Ema procedano a rilento in Olanda, potrebbe bandire un nuovo bando di aggiudicazione dell’Agenzia del farmaco. Un bando “ex novo”. Insomma, Milano non conquisterebbe la medaglia d’oro perché arrivata seconda. Si ricomincerebbe tutto daccapo. Ed a quel punto, rialzerebbe la testa pure l’Est europeo e per il Pirellone arriverebbero seri problemi di conquistare l’Ema
1. SCOPERTA LA FURBATA OLANDESE
Bocciati dal Consiglio giuridico della Ue e sbeffeggiati dagli olandesi. E tutto questo nel giorno in cui una delegazione di Parlamento europeo ha fatto visita al cantiere di Amsterdam che dovrebbe, e il condizionale è sempre più d' obbligo, ospitare la sede dell' Ema scippata a Milano con la beffa del sorteggio alle buste.
A dare il la ad una giornata ad alta tensione è un documento della Comunità europea in cui si afferma che il ricorso presentato da Milano per l' assegnazione della sede dell' Agenzia europea del farmaco è «manifestamente irricevibile», anzi «grottesco». A sostenerlo è un documento dell' ufficio giuridico del Consiglio della Ue che in 26 pagine illustra i motivi per cui ritiene che la richiesta del capoluogo lombardo di una sospensiva sulla decisione che riguarda l' assegnazione della sede dell' Ema non può essere accolta.
Apriti cielo. Il Comune di Milano, come è logico che sia, non ci sta e ribadisce la validità della propria azione: il ricorso è fondato e ricevibile. Dunque la partita è aperta. Ancor più duro il commento del sindaco Beppe Sala. «Sospetto che il tema non sia solo di tempi e di dimensioni dello spazio» in cui verrà ospitata la nuova sede dell' Ema, «ma anche di condizioni economiche», sostiene il primo cittadino, «sospetto che gli olandesi stiano variando anche le condizioni economiche, ma questo lo capiremo nei prossimi giorni».
E qui entrano in ballo le cifre circolate in questi giorni. Nei piani degli olandesi ci sarebbe un aumento dei costi di affitto del 34% rispetto alla proposta iniziale, che potrebbe seriamente portare l' Unione europea ad annullare l' assegnazione all' Olanda, tanto che il ricorso del Comune punta proprio su questo. Secondo alcune fonti, a questo punto, il contratto di affitto proposto dovrebbe lievitare a 13,5 milioni rispetto ai 10 inizialmente proposti. In totale, secondo le stime del Comune di Milano, si arriverebbe a 60 milioni. Una follia.
E tutto questo ping pong avviene nel giorno in cui una delegazione di parlamentari europei si è recata ad Amsterdam per verificare di persona lo stato dell' arte dei lavori accertando che «è un buon palazzo ma va adeguato». Dunque, siamo ancora lontani. E il premier, Paolo Gentiloni, prova addirittura ad alzare la voce. «Stiamo parlando del parere dei servizi giuridici del consiglio europeo.
Devono dare un parere ma è il tribunale che decide». Forte di questa presa di posizione, chissà se ieri sera Gentiloni, volato a Bruxelles per la cena prima del vertice europeo, ne ha parlato con Juncker. Chissà. Intanto gli olandesi ci sfottono pure: «I tempi saranno rispettati, yes we can».
2. LA VERITÀ NASCOSTA DEL LUSSEMBURGHESE
Francesco Manacorda per la Repubblica
Parlando dello «scenario peggiore» a cui bisogna prepararsi con un «governo non operativo» in Italia, Jean-Claude Juncker ha detto ieri una cosa inappropriata, in un momento sbagliato ed esondando dal suo ruolo. Ma ha detto anche una cosa scontata: se l' Italia avrà una situazione di ingovernabilità, se a prevalere saranno quelle forze che dall' Europa vogliono uscire, i mercati finanziari ne prenderanno atto e venderanno i nostri titoli pubblici e le azioni delle aziende che qui operano.
Il noto gaffeur lussemburghese che l' Europa ha messo alla testa della Commissione - peggio della sua sortita è stato solo il tentativo di metterci una pezza un paio d' ore dopo con una dichiarazione di segno opposto - non si smentisce, dunque. E forse la sua uscita farà addirittura conquistare, in spregio a Bruxelles e a quel che per molti rappresenta, qualche voto in più alle destre eurofobiche. Ma, a modo suo, Juncker ha il merito di ricordarci una verità in sostanza rimossa dal dibattito elettorale.
Come può stare assieme un centrodestra che si divide non solo sull' abolizione della riforma Fornero, ma dove un Berlusconi che si propone come moderato e ancorato all' Europa si accompagna a una Lega che propaganda invece l' adozione della " moneta fiscale" come primo passo per l' uscita dall' euro? Come si potrebbero mai mantenere le mirabolanti promesse sempre del solito centrodestra - sul nostro giornale Roberto Perotti ha calcolato che costerebbero fino a 310 miliardi - o quelle dei 5 Stelle, conciliandole con una minima disciplina di bilancio senza la quale saremmo fuori dall' Unione monetaria?
Sono domande per l' appunto rimosse, che risuonano pochissimo in un dibattito pubblico dove si dà per scontato che la propaganda elettorale possa permettersi di non avere agganci con la realtà e non debba sottoporsi a nessun esame di fattibilità.
Alexander Italianer con Juncker
Se dalle urne uscisse un' Italia a trazione leghista e grillina non c' è dubbio che i mercati finanziari reagirebbero. È vero, fino ad ora sono stati abbastanza tranquilli, sui rendimenti dei titoli di Stato non si è avvertita particolare tensione - merito anche, ricordava ieri un' inchiesta dell' agenzia Bloomberg, del fatto che in questi anni la scadenza media dei Btp italiani si è sensibilmente allungata - ma proprio la reazione alle parole di Juncker, con lo spread Btp- Bund salito in pochi minuti di dieci punti ( poi è lievemente ridisceso) e la Borsa che ha chiuso in calo dello 0,8%, la peggiore in Europa, ci fa capire che se dall' evocazione dei rischi si passasse ai rischi veri e propri gli effetti sarebbero di gran lunga peggiori.
Non si tratta di evocare la solita " dittatura" dei mercati finanziari. Dietro i fondi che comprano o vendono i nostri Btp o i titoli delle grandi aziende ci sono miriadi di piccoli risparmiatori che si affidano alla loro gestione. La loro liquidità, che gira sui mercati, punta dove pensa che l' economia si svilupperà: probabile che la tanto vituperata Europa e una strada fatta di riforme economiche offra agli occhi di quei fondi uno scenario più rassicurante di un Paese che scommette al buio sulla flat tax - grandi risparmi per i contribuenti ricchi - la pensione minima a mille euro e il reddito di cittadinanza distribuito a tutti. E tutto - come ci spiega nostro malgrado Juncker - senza preoccuparsi di chi deve pagare il conto.