L’INTERCETTAZIONE È LETALE PER TUTTI - VENDOLA, RINVIATO A GIUDIZIO PER IL CASO ILVA: “QUELLA TELEFONATA CON ARCHINÀ È STATA USATA PER LAPIDARMI. USO POLITICO DELLA GIUSTIZIA? MI SONO ADDESTRATO A SOFFRIRE IN SILENZIO”
Lello Parise per “la Repubblica”
Onorevole Nichi Vendola, dopo il rinvio a giudizio per concussione ha confessato di essere «deluso e amareggiato »: proprio non se lo aspettava?
«Mi aspettavo che fosse scritta una pagina di giustizia. Mi brucia la ferita che viene inferta alla mia storia. È come se ti strappassero la pelle di dosso».
Da leader di Sel e all’epoca presidente della Regione Puglia lei si vantava di essere stato «il primo e l’unico ad avere sfidato l’onnipotenza dell’Ilva». Ma le carte dell’inchiesta “Ambiente svenduto” raccontano una storia diversa: lei avrebbe esercitato pressioni perché il capo dell’Agenzia per l’ambiente Giorgio Assennato ammorbidisse la posizione dell’Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’acciaieria. È vero?
«Neppure quelle carte possono smentire il lavoro straordinario che abbiamo fatto per battere l’onnipotenza dei Riva. Noi abbiamo ingaggiato un corpo a corpo con i veleni, per mettere in equilibrio lavoro e salute».
La telefonata, nel 2010, con Girolamo Archinà, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali di Ilva, è stata quella che l’ha messa alla gogna: battute e risate da entrambi gli interlocutori. Questo documento sonoro è quello che più di tutti quanti gli altri la fa finire nei guai?
«Quella telefonata non appartiene al processo penale, ma al processo politico-mediatico. Quella conversazione, privata del suo contesto, si presta ad ogni illazione. Ma il suo contesto era delicatissimo: ottenere dall’Ilva un passo indietro sul licenziamento di 804 lavoratori e contemporaneamente convincere i Riva a comprare di tasca loro le centraline (come avevano fatto Enel e Cementir) per il monitoraggio diagnostico degli impianti che servivano ad acclarare la fonte dello sforamento del benzoapirene».
Si è pentito di avere fatto quella telefonata?
«Quella telefonata è stata usata per lapidarmi. Non mi sono mai pentito di avere difeso i lavoratori. Il paradosso, in quella benedetta estate del 2010, è che il governo centrale fa un decreto per spostare di tre anni l’entrata in vigore della direttiva europea sulla qualità dell’aria e noi, disobbedendo, facciamo una legge che la rende immediatamente operativa. Eppure siamo noi alla sbarra».
Il procuratore Franco Sebastio dice di essere «sereno»: la decisione del giudice dimostra che «errori, quanto meno madornali, non ne abbiamo commessi».
«Il procuratore è un grande comunicatore, non mettetemi in competizione con lui. Tuttavia la decisione del gup affida al processo la valutazione di merito».
Nel caso che riguarda Vendola, c’è il rischio di un uso politico della giustizia?
«Mi sono addestrato a soffrire in silenzio e a non evocare mai complotti».
Nel 2013, lei spiegava: «Vorremmo essere giudicati da chi ha competenza, non da chi ha livore».
«Non parlerò dei giudici di Taranto, sottolineo la fumosità di un’accusa che è stramba: perché avrei dovuto agevolare i Riva? Bastava che non operassi per agevolarli. Invece, ho operato. E per quale tornaconto? Sono uno dei pochi che non era sul libro paga del re dell’acciaio. Spero di vivere in un’Italia dove le persone perbene non debbano avere paura di amministrare la cosa pubblica».