PIEMONTE, COLONIA CINESE - SONO VENTIMILA I CINESI CHE VIVONO NEL NORD OVEST - A TORINO HANNO INVASO L’UNIVERSITÀ: SU 9 MILA STUDENTI STRANIERI, IL 26% ARRIVA DA PECHINO - TORINO È LA SESTA PROVINCIA PER NUMERO DI IMPRESE CINESI
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
È la terza comunità extraeuropea dopo quella marocchina e peruviana: in tutto sono oltre 16mila i cinesi che vivono in Piemonte, 8.513 solo all’ombra della Mole Antonelliana. Eppure non esiste una Chinatown torinese. Nessun quartiere tutto porcellane ed ideogrammi, nessun rione pieno di ristoranti con le tipiche lanterne attaccate all’insegna, nessuna borgata dedicata al Dragone d’Oriente. Intendiamoci, di negozi «made in China» ne è pieno anche il Piemonte, come il resto d’Italia.
Ma se pensate - tra un gianduiotto e l’altro - di farvi due passi per una via che ricorda più Pechino che Biella rimarrete delusi. Anche perché i cinesi-piemontesi sono gente schiva, lavoratrice e riservata. Al punto che qualche anno fa un’etnologa ha provato a studiarli: Erika Orlandi è andata a Barge e Bagnolo (Cuneo), dove la comunità cinese è la più popolosa d’Italia se comparata al numero degli abitanti, il 20% della popolazione lì ha gli occhi a mandorla (tanto per intenderci).
Il risultato? I figli del Dragone trapiantati sul Po hanno delle indubbie capacità imprenditoriali, ma anche delle grosse difficoltà di integrazione nella vita quotidiana. Parlano poco l’italiano, cioè. E lo capiscono ancor meno. Specie se non sono nati qui. Un problema che Palazzo Civico non deve aver preso sotto gamba, visto che negli ultimi anni ha provveduto a far tradurre il proprio sito anche in cinese.
Tant’è: se volete fare due chiacchiere in mandarino, a Torino, vi conviene andare direttamente all’Università. Già, perché sui quasi 9mila studenti stranieri che frequentano gli atenei piemontesi, ben il 26,3% arriva dalla patria del Dragone. Con un pizzico di fortuna potrete anche scambiarci due parole: i giovani sono spesso più disponibili. Poi si sa, i cinesi sono un popolo di imprenditori.
CHIAMPARINO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
Questo vale ovviamente anche in Piemonte, dove gli industriali con gli occhi a mandorla tengono qualcosa come il 17,5% del totale italiano nel settore delle costruzioni e il 13,3% in quello dei servizi. Torino è la sesta provincia del Belpaese per numero di imprese cinesi: erano 1.932 al 30 giugno del 2014, quando avevano segnato ben il 4,7% in più rispetto all’anno precedente. Facile aspettarsi numeri in aumento per il 2015. Ma il filo del business che lega la Cina con il Piemonte non è tutto fatturato in yuan. Anzi.
Sempre più industrie italiane, pardon piemontesi, guardano a Pechino. Qualche esempio? Quello cinese è il principale mercato di sbocco per i tessuti e filati di Torino e dintorni e solo un paio d’anni fa l’export in Oriente di abbigliamento e maglieria aveva segnato il +85,3% per la regione di Chiamparino. Mica bruscolini. Appunto.
E dire che una manciata di anni fa, quando a una storica azienda del Savonese si paventò davanti la necessità di una procedura fallimentare, manager e curatori non ebbero dubbi: decisero di puntare sugli imprenditori. Cinesi, però. Così pubblicarono l’annuncio di vendita in due lingue (italiano e mandarino, manco a dirlo) e lo pubblicarono su un sito specializzato.
Della serie AAA - cercasi imprenditore cinese. Intendiamoci, la comunità cinese in Liguria è molto meno popolosa di quella piemontese, e forse non hanno risposto in tanti a quell’invito. Da Genova a Imperia, infatti, si contano appena 3.760 figli del Dragone, e proprio a Savona ne vivono soltanto 485. Eppure anche qui le attività industriali gestite da cinesi non mancano: sono più di 1.300 le aziende aperte e condotte da cittadini orientali. A fare la parte da leone, ovviamente, quelle legate alla ristorazione.
Pochi ma buoni, verrebbe da dire. Infatti nonostante le presenze poco significative in quel di Genova la comunità cinese ha di che rallegrarsi: all’Università cittadina aprirà a breve il «Confucius Institute», un braccio culturale del Ministero dell’Istruzione cinese direttamente nella città di Doria. Dopo Napoli, Roma, Torino e Venezia, insomma, anche la Liguria avrà il suo polo di studio all’orientale, per promuovere la cultura e la lingua cinese.