Gaia Manzini per “il Foglio”
OLIVIA LAING - VIAGGIO A ECHO SPRINGS - STORIE DI SCRITTORI E ALCOLISMO
Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: 'Ho bevuto troppo ieri sera'". Comincia così Il nuotatore di John Cheever, forse uno dei racconti più belli mai scritti. Uscito nel 1964 nel New Yorker, Il nuotatore narra di Ned e della sua impresa in un pomeriggio d' estate. Alto, snello, atletico, Ned sta bevendo un bicchiere di gin a bordo piscina, nel giardino di alcuni vicini di casa.
Si alza, respira profondamente come se volesse trasformare in ossigeno tutte le componenti di quel momento: il calore del sole, il cielo terso, la coscienza di far parte di una comunità di amici. Ecco cosa farà, pensa Ned, tornerà a casa a nuoto attraversando il sobborgo di Bullet Park e tuffandosi in tutte le piscine che incontrerà sulla strada, magari facendosi ogni tanto un bicchiere con qualche amico.
zelda e francis scott fitzgerald
"Il sentirsi avvolto e sostenuto da quell' acqua verdognola gli sembrava non tanto un piacere quanto un ritorno a una condizione naturale". Ma la condizione naturale - nuotata dopo nuotata, superalcolico dopo superalcolico - coinciderà per Ned con la sconvolgente presa di coscienza del proprio fallimento, della propria inesorabile caduta. La memoria vacilla, il senso di realtà è offuscato. Ned non fa più parte da tempo di quella comunità, da tempo ne è stato escluso. Il suo è il punto di vista di una persona confusa, che non vuole accettare la verità. La versione di qualcuno che ha bevuto troppo.
Nel racconto di Raymond Carver Perché non ballate, un uomo è alla finestra. Osserva il giardino dove ha disposto tutti i mobili di casa sua in modo da ricostruire perfettamente ogni ambiente. L' uomo sta bevendo, ma è come se fosse lucidissimo. Spia la sua vita per quella che deve essere stata un tempo: da dentro spia un fuori, in una sorta di disposizione ribaltata della scena. Non sappiamo cosa sia successo a quest' uomo: sospettiamo solo che voglia vendere tutto - ogni mobile, ogni oggetto -, che voglia liberarsi della sua esistenza passata. La sua esistenza, lì in giardino.
Quando arrivano un ragazzo e una ragazza decisi a comprare parte dei mobili, sembra non volerli lasciare andare; non contratta, non affretta la trattativa, versa da bere. Poi si mette a ballare con la ragazza, forse gli ricorda qualcuno. Quest' uomo ha bevuto tutto il tempo e ora danza: è un ballo intimo, come se per un attimo volesse tenere ancora la sua vita per sé, coltivare un' ultima speranza d' amore.
Nel 1973, a Iowa City, Cheever e Carver salgono a bordo di una Ford Falcon due volte alla settimana e vanno allo spaccio per comprare lo scotch che poi bevono nella stanza di John. Cheever ha sessantun anni e insegna al famoso Writers' Workshop, Carver ne ha trentacinque ed è arrivato da poco in facoltà. Appena si sono incontrati, hanno riconosciuto l' uno nell' altro una matrice comune di solitudine e disperazione: insieme non fanno altro che bere. Si presentano in classe, ma non sono mai lucidi.
Per tutto il tempo che passano insieme nessuno dei due tocca neanche una volta la macchina da scrivere. Olivia Laing, scrittrice e critica letteraria inglese, è autrice di un saggio narrativo - Viaggio a Echo Spring, Il Saggiatore - sui grandi scrittori americani e la loro euforica e dolorosa relazione con l' alcol. Scrive inseguendo un' ossessione che attinge alla propria autobiografia. Scrive di una dipendenza che sembra un anestetico per una dipendenza più grave, quella dal la vita.
Scrive della fede nella letteratura come antidoto per entrambe, unico modo per esplorare le regioni più oscure dell' esperienza umana. Nell' introduzione a Recovery, il romanzo postumo del poeta John Berryman, Saul Bellow osservava: "L' ispirazio ne conteneva una minaccia di morte.Mentre scriveva le cose che aveva atteso e per cui aveva supplicato, l' alcol era uno stabilizzatore. Riduceva in qualche modo quell' intensità fatale".
Fitzgerald, Hemingway, Tennessee Williams, Cheever, Carver, Berryman: quello di Olivia Laing è un reportage di viaggio attraverso l' Ameri ca di questi autori, attraverso il loro senso di inadeguatezza, l' odio per se stessi, la sessualità conflittuale, l' amore per Echo Spring, come Brick Pollitt nella Gatta sul tetto che scotta chiama l' armadietto per i liquori.
Rotte della dipendenza, sentieri della disintossicazione.
Non erano solo Carver e Cheever a bere insieme. Lo stesso era successo a Hemingway e Fitzgerald, soprattutto durante la loro indimenticabile gita a Lione. Si erano piaciuti subito. Fitzgerald l' aveva presentato al famoso editor Max Perkins, a cui aveva suggerito di mettere sotto contratto quel giovane promettente. Entrambi amavano la bella vita e soffrivano d' insonnia per colpa dell' alcol, anche se Scott insisteva nel dire che tutto era iniziato dal tormento di una zanzara in una stanza d' albergo a New York, nel 1932.
Gli piaceva minimizzare. Lo stesso accadeva con l' alcol: per lui smettere significava non toccare super alcolici; li sostituiva con la birra, che considerava alla stessa stregua dell' acqua. E intanto scivolava, incapace di frenare la sua inesorabile caduta - Zelda ricoverata in un ospedale psichiatrico, il suo successo affievolito dopo la pubblicazione di Tenera è la notte. Eppure a Fitzgerald rimaneva un' unica certezza: bere rendeva migliore il suo lavoro ed era una fuga dal mondo, anche se poi era difficile equilibrare ragione ed emozione.
"Ho bevuto troppo e questo di sicuro mi sta rallentando. D' altra parte se non avessi bevuto non sarei riuscito a sopravvivere stavolta". In una lettera in cui cercava di spiegare la disperazione del suo amico morto ormai da dieci anni, Hemingway parlava dell' alcol che aiuta a vivere, che si usa come Ammazza -giganti e che per Scott era diventato veleno. Lui in fondo si era sempre meravigliato - un po' inor ridito - per la scarsa capacità di Fitzgerald di tollerare gli alcolici. Ammazzare i giganti, resistere, credere nella propria forza di uomini.
Padri suicidi o aspiranti tali, il continuo desiderio di morte, l' infanzia infelice che accomuna questi autori.Clarence Edmonds Hemingway, il padre di Ernest, era stato perseguitato dalle preoccupazioni economiche. Il 6 dicembre 1928 bruciò alcune carte nel seminterrato, poi urlò a sua moglie che era stanco e voleva fare un pisolino prima di pranzo. Andò in camera da letto e si sparò alla testa con la sua Smith and Wesson.
Scrive in questo saggio Olivia Laing: "Dentro di me stava prendendo corpo la sensazione che ci fosse un legame nascosto tra le due strategie dello scrivere e del bere e che entrambe fossero legate al sentimento che qualcosa di prezioso fosse andato in pezzi e al desiderio di ricomporlo". Da qualche parte qualcosa si è rotto e preme per emergere. Nelle Nevi del Kilimangiaro, il protagonista Harry sperimenta continue visioni sulla propria morte, nell' ultima si trova a sorvolare la foresta, proprio come aveva fatto Hemingway, vedendo zebre e gnu che corrono a grandi falcate nel giallo grigio delle pianure.
Harry si rende conto di avere distrutto il proprio talento di scrittore evitando di usarlo, tradendo se stesso, bevendo tanto da smussare l' acutezza delle proprie percezioni. In quelle righe si avverte la presenza di un altro Hemingway, quello che conosceva fin troppo bene la voluttuosità della disperazione, "la spinta gravitazionale che la morte esercita nei confronti dei suoi sudditi".
Nelle sue lettere era stato proprio Hemingway a minacciare il suicidio, forse era quello il gigante cui si riferiva. Ma alla fine quel gigante vinse su di lui. Ernest si sparò in Idaho, dieci giorni prima del suo sessantaduesimo compleanno. Tennessee Williams è morto il 25 febbraio 1983 nella in una suite all' ho tel Elysée a pochi minuti da Brodway.
Aveva settantun anni: era infelice, sottopeso, dipendente dalle droghe e dall' alcol, paranoico fino al delirio. Era venuto la prima volta a New York nel 1928 invitato del suo amato nonno, il reverendo Walter Dakin, per un tour insieme ad alcuni parrocchiani avventurosi. Non aveva mai bevuto in vita sua, ma nel loro gran tour non mancò mai lo champagne francese, non mancarono mai i suoi attacchi d' ansia, fin quando le due cose - l' alcol e quello che lui chiamava processo di pensiero - non iniziarono a viaggiare insieme.
Bere come antidoto al terrore, ma anche alla timidezza, nonostante negli ultimi anni avesse aggravato l' inson nia e le palpitazioni. Diceva di soffrire di una doppia nevrosi, paura di parlare e nevrosi cardiaca. Forse era per questo che amava viaggiare: l' accele razione di energia che arriva quando si sta per cambiare posto gli faceva dimenticare il resto.
John Cheever aveva bevuto ininterrottamente per quarant' anni, soffriva di afasia e di perdita di memoria, era talmente sprofondato nelle sue illusioni difensive che si era inventato una moglie maniaco -depressiva. E mai si dimenticava di suo padre sbronzo che sulle montagne russe di Nagasakit minacciava di buttarsi di sotto, tra le risate degli sconosciuti. Per lui, che aveva preso la prima sbronza insieme all' editore Malcolm Cowley, l' alcol aiutava ad attenuare la percezione di essere un impostore tra le persone della classe media. Chiunque abbia letto i suoi diari conosce quel divario doloroso tra apparenza e interiorità.
Ogni mattina Cheever prendeva l' ascensore a Sutton Place, giacca, cravatta, stile impeccabile. Ma mentre gli altri uomini vestiti come lui confluivano nella hall per affrettarsi in ufficio, Cheever scendeva nel seminterrato, si spogliava e si sedeva in mutande davanti alla macchina da scrivere.
John Berryman, premio Pulitzer nel 1964, beveva perché era un nevrotico, soffriva d' insonnia e passava la notte a camminare per le vie di Detroit. Nel 1940 divenne docente di Letteratura inglese a Harvard. Si sottoponeva a un programma frenetico di studio e insegnamento, non mangiava quasi niente e soffriva di allucinazioni; diceva di sentirsi come un personaggio secondario di un romanzo scadente di Fitzgerald. Anche lui era figlio di un suicida, anche lui era ossessionato dal proprio passato. Era impossibile non mescolare successo e autodistruzione.
Per lui l' ispirazione conteneva una minaccia mortale, ma non erano stati i suoi Canti onirici a ucciderlo. Non erano le poesie ad aver causato il delirium tremens, provocato la ginecomastia; non lo avevano fatto cadere dalle scale, vomitare o defecare in pubblico.
ernest hemingway francis scott fitzgerald
Forse l' alcol aveva placato la sensazione di panico, ma un drink dopo l' al tro aveva plasmato una vita di angoscia e disgregazione fisica e morale.
"Perché un uomo beve? ", si chiede Tennessee Williams in una lettera a Elia Kazan, dandosi subito due risposte: se la fa sotto dalla paura per qualcosa; non riesce ad affrontare la verità su qualcosa. In Three Players of A Summer Game (New Yorker, 1° novembre 1952), Brick dice che un uomo quando beve è due persone insieme: una che afferra la bottiglia e l' altra che lotta per impedirglielo.
Torna l' idea dell' impostura, dell' essere dimidiati, costretti a un doppio gioco con sé stessi; come sapeva bene Cheever, come succede con ogni dipendenza - anche se lui alla fine riuscì a disintossicarsi. Si comincia con un' alchimia, col lavoro duro, e si finisce quando si permette a un lato orribile e perverso di insediarsi nel nido e squarciare ogni speranza di lavoro. E' come avere un incendio nel petto: "La sorprendente coesistenza del bene e del male, la scioccante dualità di un singolo cuore".
E poi c' è l' acqua. Ritorna spesso nelle opere degli scrittori alcolisti. L' acqua che è l' elemento ideale per rinascere. C' è nel Nuotatore come ritorno a se stesso, possibilità per quanto tragica di vedere il presente con lucidità. C' è per Hemingway quella voglia di buttarsi a capofitto tra le onde dal ponte della Pilar, buttarsi a capofitto nella vita. C' è l' acqua terribile dei Canti onirici di Berryman, che è quel mondo sommerso dove si è nudi, completamente soli, irraggiungibili.
L' ac qua di Key West dove Tennessee Williams annegava le delusioni. Ci sono i torrenti amati da Carver, con la loro musica, la loro purezza, l' eco di una nuova possibilità per lui che non credeva in Dio ma nella resurrezione, nel fatto che il recupero fosse una questione di fede: "Su questo non c' è alcun dubbio. Quando mi alzo al mattino sono felice di farlo". L' acqua che forse è la letteratura: il potere dei racconti di dare senso allo strazio e alla solitudine, e di trovare un altro mondo. Come diceva Fitzgerald, scrivere bene non è altro che nuotare sott' acqua e trattenere il respiro.
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