VIDEO - IL BAGNO FINALE DELLA STAGIONE A CAP D'AGDE, CENTINAIA DI NUDISTI IN ACQUA
Ottavio Cappellani per Dagospia
Sono in un minimarket del villaggio nudista ad altissimo tasso scambista di Cap D'Agde, sud della Francia, e le palle mi stanno andando a fuoco. (E' una cosa che non ti dicono, quando ti elencano le meraviglie del naturismo, che le palle, sfregando in maniera costante con l'inguine, iniziano una qualche forma di combustione).
Dopo avere camminato tutta la mattina per disegnarmi una planimetria mentale di questo mix perfettamente riuscito tra un girone dantesco, un villaggio vacanze, e una cittadina del sud tutta calcestruzzo, negozietti e alluminio anodizzato, ho deciso di acquistare qualcosa da tenere in tenda in caso di disordini: pare che a volte scoppino delle piccole guerre civili tra nudisti-naturisti e nudisti-scambisti.
Al bancone in cui è esposta la frutta ciondola però, pericolosamente, un qualche tipo di motociclista: lo intuisco perché oltre ai capelli lunghi e bianchi legati in un codino, la lunga barba, i tatuaggi e la pancia prominente, indossa stivali da motociclista. Solo quelli. In mancanza di abbigliamento devi (e in alcuni casi puoi) intuire qualcosa della persona che ti sta davanti soltanto grazie ad alcuni dettagli. (Ad esempio ho scoperto che le signore di mezza età in Birkenstock e capelli arruffati legati in code avventurose dal vago sapore celtico non degnano di uno sguardo i signori dalla solida abbronzatura e Rolex, che dal canto loro non hanno occhi che per raffinatissime siliconate fresche di parrucchiere.
Di mio non ho nulla contro i motociclisti nudisti, ma il suo tubo di scarico sta sfiorando pericolosamente il cestino delle mele (che preferisco mangiare con la buccia) mentre il motociclista, dopo essersi dato una grattata ai due carburatori, si sta rigirando tra le mani con un interesse misto a diffidenza misto a curiosità una lattuga.
Faccio dietro front e mi rifornisco di yougurt e succhi di frutta, e mentre pago, guardando il tizio davanti a me che ha il pisello praticamente appoggiato sul ripiano della cassa (se lo deve spostare per farsi dare il resto) intuisco all'improvviso con gioia e gratitudine che quell'anello di gomma con il quale molti uomini dall'aria avvezza si strizzano le palle facendole schizzare in fuori come occhi fuori dalle orbite non hanno una misteriosa funzione stimolante e/o ritardante e/o sadomasochizzante, ma sono un semplice e ingegnoso aggeggio con il quale separare lo scroto dall'inguine al fine di evitare l'autocombustione.
Fuori dal minimarket cerco di rimettere a posto gli appunti vettoriali nella mia mente per ricostruire la planimetria del luogo e individuare il tabaccaio dove ho visto esposti questi anelli di gomma. Il villaggio nudista di Cap d'Adge ha un quartiere urbanizzato (un ecomostro di calcestruzzo dove si possono affittare appartamenti), una zona rurale (il campeggio), una zona commerciale e una zona bar, baretti, ristoranti. Si va dai ristoranti a lume di candela alle rivendite in linoleum di pizze al taglio illuminate da neon, quelle in cui, per dire, sono esposte le foto retroilluminate dei vari tipi di pizza.
Quindi, sparsi intorno per l'incredibile metratura quadrata del villaggio, ci sono dei conglomerati edificati in cui sorgono quelli che sembrano alberghetti, altre costruzioni dedicate ai club privé, chalet isolati per i più ricchi che tengono alla propria privacy (li chiamano chalet, ma alcuni sembra più palazzine abusive delle periferie anni settanta), e capannine in legno dove vendono molluschi, crostacei e frutti di mare.
Attraverso la zona commerciale per arrivare al tabaccaio. E' incredibile la miriade di negozi di abbigliamento, dato che ci troviamo in un villaggio nudista, ma ancora non ho capito (sono arrivato soltanto stamattina) che la sera è fatta anche per sfoggiare questi abiti dal taglio nudista, che consiste nel lasciare scoperti gli organi (tette, culo e vagina). Faccio vaghe riflessioni profonde (dovute, lo ammetto, probabilmente, al bruciore di palle che oramai sta divampando) sul capitalismo che invade persino il nudo, sul fallimento totale e addirittura sul ribaltamento della rivoluzione sessuale, e arrivo a supporre che le risse tra nudisti-naturisti e nudisti-scambisti, abbia a che fare anche con precise posizioni politiche (tipo Occupy La Minchia), cose che il povero Marcuse non poteva neanche lontanamente immaginare.
Arrivo finalmente all'emporio tabaccaio dove stamattina ho acquistato un materassino gonfiabile per la mia tenda. Gli anelli di gomma sono esposti in un cestino di vimini. Noto soltanto adesso, con timore, che sono di diversi colori, e non vorrei che a ogni colore corrispondesse un messaggio in codice atto a svelare preferenze sessuali, e non vorrei ritrovarmi in un amplesso con il carlino di una coppia dell'alta borghesia di Grenoble (non ho idea del perché abbia fatto questa stravagante associazione mentale).
La tabaccaia accorre in mio aiuto. E' vagamente vestita, avvolta svogliatamente in un pareo dai nodi lenti dai cui interstizi escono ciuffi di peli. Mi chiede di che misura mi serve, ma nel tempo in cui la mia mente cerca di elaborare la domanda, lei, con fare professionale si è già sporta in avanti dando una più che sapiente occhiata e mi ha messo in mano l'anello della misura giusta. Stranamente continua a guardarmi i genitali come se lì sotto avessi qualcosa di particolarmente interessante.
Anche io voglio vedere cosa ci possa essere di tanto interessante nei miei genitali, in mezzo a migliaia e migliaia di genitali messi in bella mostra, così, per educazione e anche per curiosità, mi sporgo su me stesso per dare un'occhiatina. E mi rendo conto con orrore e raccapriccio che l'irritazione è oramai deflagrata espandendosi dallo scroto e dall'interno dell'inguine fino alle cosce formando un rosone, una palla di fuoco, un tondo di incendio epidermico grande come un pallone di calcio al centro del quale il mio pisello sembra il naso di un oste rubicondo e paonazzo.
La tabaccaia, preoccupata (ecco cos'era quell'espressione, non curiosità ma preoccupazione) mi chiede, con quell'inflessione interrogativa tipicamente francese, se, per caso, non abbia bisogno anche di una pomatina.
E a me verrebbe voglia di annuirle col pisello.
Riposti gli acquisti in tenda arrivo in spiaggia. Due chilometri di costa affollata e, al primo sguardo, anche abbastanza innocente. Ci sono famiglie con bambini e radioline e hula hoop e cestini per il pranzo e ombrelloni e racchette di plastica e frisbee.
Mi guardo intorno spaesato.
Mi passa davanti un ragazzo a passo svelto, dal taglio dei capelli, dalla catenina coi santini della cresima, dalle ciabatte FILA, e soprattutto dall'asciugamano con il Colosseo stampato, suppongo sia italiano.
Lo è.
E tanta è la sua gioia di avere trovato qualcuno che parla la sua lingua (“Non parlo né inglese né francese, ma riesco a farmi capire - ride - e qui la lingua si usa per altre cose - ride più forte -. Sì, ci sono altri italiani, ma sono soprattutto coppie e non ti danno conto. Vogliono gli stranieri. Siamo provinciali. Tu cosa fai? Il il coltivatore diretto. Latina. Se passi da quelle parti vieni a trovarmi. Chiedi di me. Mi conoscono tutti. Hai dove segnarti il numero? Ti faccio uno squillo col mio cellulare - ha un marsupio di cuoio marrone”) che dà la stura a una serie di informazioni non richieste, nella marea delle quali però spicca l'unica che andavo cercando: “Il bordello è dopo il chiosco, vedi il chiosco? Ecco, dopo quello. Qui ci sono soltanto le famiglie”.
Forse, le piccole guerre civili tra nudisti-naturisti e nudisti-scambisti, esplodono all'improvviso non tanto per questioni riguardanti Marx e Marcuse (il che, lo confesso, era una idea che mi attraeva) ma per banali questioni di confini e sconfinamenti.
Arrivo al chiosco, passo oltre cercando un posto dove piazzare il mio asciugamano. Noto subito che qui non ci sono bambini. In compenso c'è un tizio, solo, sdraiato sul suo lenzuolo da bagno, con un catenone d'oro al collo e al polso quello che sembra essere un Patek Philippe. Dico “sembra” perché il supposto Patek Philippe si sta agitando a una velocità tale da rendere impossibile un facile riconoscimento: il tizio si sta masturbando in maniera neanche tanto velatamente isterica guardando il mare.
Tiro su con un gesto repentino il mio asciugamano (come se farlo stazionare più di qualche secondo sulla sabbia mi obbligasse poi a rimanere accanto all'onanista griffato per tutta la giornata) e mi volto per vedere quale scena o corpo potesse dare adito a una tale frenetica attività considerando che fa anche abbastanza caldo. La scena alla quale assisto, e che sta avvenendo in acqua a pochi metri dalla battigia, è un assalto di Piranha a una vacca.
(Non so se sia una leggenda, ma tempo fa, quando al cinema, grazie a Lo Squalo, vi fu una fioritura di Orche Assassine e Piovre e Piranha, si andava raccontando che in Africa, o comunque insomma nei posti esotici dove c'erano i fiumi pieni di Piranha, quando si doveva fare attraversare un fiume a una mandria di vacche, si sceglieva la vacca più vecchie e si sacrificava. Si faceva entrare per prima nel fiume e i Piranha la attaccavano entrandole dentro e facendola ribollire dal di dentro).
L'acqua ribolliva davvero, mentre un branco di uomini-piranha era all'assalto di una ragazza che, a una prima occhiata, non sembrava neanche tanto vecchia.
Lascio cadere l'asciugamano e mi inoltro nell'acqua per capire meglio cosa stia avvenendo all'interno di quella bolgia di spruzzi e sprizzi e pochi sprazzi. Si tratta di una gang bang anfibia, e devo ammettere che la ragazza, siliconata a tal punto da sembrare una pornostar, ci sa fare davvero, riesce a prendere e manipolare e giocolierare con più cazzi di quanti si possa immaginare sia possibile a partire dall'anatomia umana.
Quello che mi colpisce è una sorta di democrazia del cazzo: non c'è né una scelta logica né una scelta estetica, tutti i cazzi sono indistintamente invitati a prendere parte alla gang bang, e dato che il luogo (una spiaggia di due chilometri) è popolato da uomini di qualunque età e estrazione sociale e conformazione fisica l'unica cosa che li unisce, e alla quale vanno le attenzioni della ragazza (le cui tette, mentre si inginocchia per succhiarne tre alla volta, galleggiano visibilmente) sono quei cazzi che entrano e escono da lei in un florilegio di panze e culi flosci e addominali scolpiti e peli bianchi e fogge e forme delle più svariate.
Due tizi, che ho visto venire in faccia alla ragazza appena qualche secondo prima, si allontanano insoddisfati. Le battuta che uno dice è più o meno la seguente: “In mare c'è meno soddisfazione perché lo sperma non resta sulla ragazza”.
Spalanco gli occhi con orrore, abbasso lo sguardo, e sì, ci sono filamenti di sperma che galleggiano ovunque. Corro via alla ricerca di una doccia.
Recupero l'asciugamano e mi faccio largo zompettando in una selva di masturbazioni, e fellatio, e cunnilingus e threesome (rapporti a tre) e foursome e persino qualche fivesome, e esibizionisti che si masturbano davanti a donne e donne che si masturbano davanti a uomini. C'è persino qualcuno che prende semplicemente il sole. Raggiungo le docce. Ho bisogno di un birra.
Torno al chiosco incontro nuovamente il coltivatore diretto di Latina, che mi sorride e mi dà di gomito e mi avverte che oggi soltanto se ne è fatte tre (non specifica cosa), e mi comunica che il reparto gay è più in fondo mentre nelle dune si rintanano i più timidi. Si allontana zompettando sulla sabbia calda mentre io penso alla parola “reparto” e alla parola “timidi” così fuori luogo in un contesto come questo.
Tornato al chiosco, mentre mi bevo una birra, noto una conversazione surrale tra la ragazza che prima si dava da fare in acqua e un tipo alto, magro, con un pizzetto molto curato. Lui le sta dicendo, più o meno (ero troppo imbarazzato per lui, e anche per lei, per origliare decentemente): “Perché lo fai? Perché ti butti via così?”. Adesso, il tipo non mi sembra un prete, né un volontario di una qualche associazione cristiana anti-gangbang (ammesso, e non lo escludo, che una associazione del genere possa esistere). Lei lo guarda sorridendo come si guarda un matto divertente. Forse pensa stia scherzando. Ma lui non sta scherzando. Più lei sorride sorseggiando un caffè da un bicchierino di plastica, più lui si inalbera: “Sei bella! Come fai a non capirlo. Sei bella!”.
La ragazza comincia, a ragione, a terrorizzarsi, e un po' inizio a preoccuparmi anche io, si sa come vanno a finire questi impasti illogici di moralità e voyeurismo e istinto redentorio e manicheismo sessuale, già lo immagino fare una strage di nudisti-scambisti e poi sconfinare e fare una strage anche di nudisti-naturisti (incolpevoli, ma lui è già in preda alla sua furia omicida per fare una tale distinzione), quando si avvicina un tipo tozzo e asciutto, una sorta di torello abbronzato dalle basette incise da un qualche geometra preciso fino alla paranoia, che sorride alla ragazza e le comunica che: “Fra una mezzoretta hai il bukkake” (pratica, credo, giapponese, che si esplicita nel prendere in bocca il maggior numero di eiaculazioni).
“E lui cosa vuole?” chiede il torello, con “lui” intendendo il tipo in crisi mistica missionaria redentrice. Ed ecco che “lui” all'improvviso si sgonfia, abbassa gli occhi farfuglia qualcosa, non sa dove guardare e poi si allontana. Lei dice: “Niente” e fa spallucce. E io sospetto fortemente che lui sia il pappone e lei davvero una pornostar ingaggiata dal villaggio per, così dire, riscaldare l'ambiente. Ha tutti i sintomi della pornostar: i tatuaggi, la gomma da masticare, il cappellino da baseball e i rayban a goccia immensi e il silicone e quel rossetto indelebile dipinto sulle labbrone e senza una sbavatura anche dopo una serie notevole di pompini per di più praticati in acqua.
Sono ancora senza un posto per la mia asciugamano e le palle, anche se meno irritate e rinfrescate dalla pomatina, sono un po' strizzate in quell'anello di gomma che le fa sudare. Temo che a causa del sudore il mio anello di gomma strizzapalle possa sguisciare e volare via schizzando come un proiettile.
Vagolo un po' di qui e di là cercando un posto tranquillo dove stendermi e non posso fare a meno di notare un assembramento. L'assembramento in questione non è composto (come l'assembramento gangbangoso di prima) da soli uomini, ma anche da donne. Guardano tutti in basso e sembrano molto divertiti. Mi avvicino per scrutare, mi faccio largo in una selva di peni e di seni che mi strusciano ovunque, e scopro una donna in là con gli anni, sovrappeso in maniera flaccidosa, sdraiata con la testa appoggiata alla cosce del marito seduto sulla sabbia accanto alla sua testa.
Sembrerebbe un colpo di sole, se non fosse per gli uomini che le vengono sopra, mentre il marito conta: “Trentadue, trentatre, trentaquattro...”, “No trentasei...” lo corregge lei, che evidentemente ha una percezione più esatta del numero di eiaculazioni che la stanno investendo. Lo sperma gli cola ai lati della pancia, e dei seni, e delle cosce, andando a formare un impasto gelatinoso e grumoso miscelandosi con la sabbia. Immagino che stia tentando di battere una qualche specie di record, data l'attenzione che i due mettono nell'esatto conteggio. Accanto a me una coppia di napoletani ride e commenta (so che sono una coppia perché hanno lo stesso marsupio di materiale sintetico arancione e lo stesso cappellino di paglia con scritto Venezia sulla banda di tessuto).
La moglie della coppia ha due peni in mano (nessuno dei due appartenenti al marito), probabilmente si sta improvvisando addetta al riscaldamento, o coach. La cosa che mi sbalordisce è che il marito napoletano mi guarda il pene. Ho un sussulto pensando che sia successo qualcosa di irreparabile al mio anello di gomma. Poi il marito dice alla moglie: “Guarda 'sto tedesco col cazzo moscio. Che froci 'sti tedeschi”. E mi fa il gesto col pollice di chi ha capito che devo essere un tedesco pieno di birra e per questo impotente. Mi allontano da questa coppia evidentemente molto attenta alle altrui erezioni e decido che ne ho abbastanza.
Cammino cercando il vialetto giusto che mi porti verso il campeggio e passo davanti al bukkake. La tipa di prima, la pornostar del chiosco sta praticando fellatio con fare professionale, e altrettanto professionale e ordinata è la fila indiana di chi vuole farsela succhiare. Il torello probabilmente pappone ci tiene all'ordine, e inveisce con chi si sporge dalla fila anche solo per dare un'occhiatina. Sono una ventina che se lo menano per portarsi avanti col lavoro. Tra di loro se lo sta menando anche il tizio che neanche mezzora fa stava tentando di redimere la ragazza.
La strada di rientro verso la mia tenda è quasi pacificante. Il campeggio è abitanto da posthippie, oltre che dai ragazzi schiamazzanti (tutti maschi per lo più) che vengono guardati con aria di disprezzo e rimprovero dai frikkettoni con l'aria di disapprovazione che dice: “Io lo so tu perché sei venuto e cosa sei venuto a fare”.
Credo che gli hippie in là con l'età vogliano il campeggio tutto per sé, e temo che una piccola guerra civile possa scoppiare anche all'interno del campeggio tra nudisti-naturisti e ragazzi-in-cerca-di-sesso-facile-nudisti. La coppia di frikkettoni standard ha delle roulotte iperattrezzate, le cui iperattrezzature si estendono ben oltre la roulotte, tanto da trasformare la “piazzola di sosta” (credo che “piazzola di sosta” sia proprio il termine tecnico esatto) in un giardino fiorito.
Giuro, ho visto una piazzola di sosta con i sette nani da giardino nudisti. Se ne stavano lì, con il loro cappello da nano, e con un pisello tutto sommato abbastanza normale e lontano da ogni leggenda riguardo la dimensione del pene dei nani. Queste coppie di frikkettoni sono solitamente composte da sessantenni: lui con la barba tagliata alla greca, la pipa in bocca, le gambe accavallate sullo scroto rinsecchito, che legge il quotidiano (tedesco) su una sedia pieghevole mentre la moglie fa penzolare le tette affaccendata nel bucato, o nella preparazione della cena, o ascoltando alla radio musica classica. Questo tipo di coppie mi inquieta in maniera angosciosa e devo ancora capirne il motivo.
Accanto alla mia tenda stazione una di queste roulotte iperattrezzate, ma la coppia che la abita non mi sembra tedesca, hanno quella frikkettonaggine un po' casinista che ognuno di noi si augura in una coppia del genere, e che fa da benefico contrasto alla frikkettonaggine di stampo germanico (credo di avere letto da qualcke parte che il nudismo, la frei korpe kultur, abbreviato in FKK, sia nato in germania durante il nazismo). I miei vicini hanno un grande cane peloso, e i due gli si affaccendano intorno preoccupati. Il marito mi guarda e mi dice che il cane sta male. E' anziano e soffre il caldo.
Me ne dispiaccio.
Mi avverte, senza che io avessi domandato nulla, che se la situazione dovesse peggiorare chiameranno un veterinario. Non so perché ci tengano tanto ad avvisarmi delle loro decisione riguardo al cane, probabilmente non vogliono che io pensi di loro che sono esseri insensibili pronti a lasciare morire un cane pur di non interrompere il loro ciondolare con i genitali a vista. E' curioso quanto il giudicare permei questa che dovrebbe essere un'oasi di libertà. La frei korpe kultur, sento, ha delle rigidissime regole, e io penso che in una sola giornata di permanenza ne avrò infrante almeno una dozzina.
Mi rintano nella tenda e cerco di fare un riposino pomeridiano.
Non pensavo esistessero veramente, questi tizi in tuta e maschera di pelle nera che camminano a quattro piedi e si fanno portare in giro al guinzaglio. Pensavo fossero un'invenzione di Quentin Tarantino in Pulp Fiction (la famosa scena omofobica in cui Bruce Willis decide di fare il culo a quei finocchi).
E invece esistono eccome e ne ho già visti due, portati in giro da due virago che da lontano sembravano Drag Queen, e che invece da vicino ho scoperto essere donne a tutte gli effetti, anche se vestite, truccate e inzeppate come Drag Queen fetish. Fanno passeggiare i loro cuccioli davanti a un club fetish-bdsm, che si trova proprio dinanzi a una pizzeria al taglio. Mentre mangio la mia pizza di plastica seguo con lo sguardo i due uomini a quattro zampe, aspettandomi di vederli all'improvviso alzare una gamba e fare pipì.
Finita la pizza chiedo un signore dai baffi immensi e pantaloni e gilet di pelle, e basco (di pelle), che stazione davanti all'ingresso del locale se posso entrare a dare un'occhiata. Il tizio in pelle mi avverte che ancora è presto, il locale è chiuso, e che comunque bisogna avere del cuoio addosso per potere essere ammessi.
Gli spiego che sono uno scrittore italiano e che vorrei scrivere un articolo su questa esperienza a Cap D'Agde. Il tizio mi sorride, e proprio come ti aspetteresti da un tipo del genere, allarga la tenda di pesante velluto rosso con un braccio e mi dice di accomodarmi.
Dentro il locale è vuoto. L'arredamento è in tipico stile gotico, medievale, un po' segrete del castello un po' sala di Frankenstein un po' locale per ricevimenti. Ci sono inferriate, e candelabri, e salette attrezzate per lo più con manette e catene incastonate nelle pareti. C'è anche una croce di Sant'Andrea, che suppongo non debba mai mancare in un locale come questo (così come la “pasta alla norma” non deve mai mancare nel menu di un ristorante “tipico” siciliano). E' il turismo, ragazzi.
Esco e ringrazio, non so perché sono sollevato dal fatto che il club bdsm sia esattamente come me l'aspettavo (il turista non vuole sorprese, vuole che il turismo - l'odierno tentativo di 'ordinare' il caos dell'avventura - sia proprio quello che si propone di essere: l'esatto contrario dell'avventura, della sorpresa, della crisi, del trauma). Saluto educatamente le due signore con i cani antropomorfi e mi dirigo verso la zona bar aspettando che si faccia l'ora in cui provare a vedere cosa succede nei privé. Voglio prima passare però dalla zona dei bar.
(Mi rendo conto soltanto adesso, e con una certa sorpresa, che potrebbero esserci alcuni di voi che non hanno idea di cosa sia una croce di sant'andrea, o che ne hanno sentito parlare soltanto come segnale stradale di pericolo in prossimità di passaggi a livello e che quindi non abbiate idea di cosa possa farci una croce di sant'andrea in un club bdsm. La croce di sant'andrea, una croce a X e non a... e non a croce, è una croce dove persone di entrambi i sessi che desiderano essere umiliati e picchiati si fanno legare a disposizione di mariti, o fidanzati, o amici, o addirittura di semplici passanti - temo che possa essere una proiezione di donne e uomini abbandonati ai compagni che così ricreano la condizione ideale del matrimonio, ma non ne sono sicuro, quindi non prendete questa ipotesi come oro colato. E torniamo ai bar).
Ogni bar ha la sua situazione, la sua musica, il suo dj, le sue ragazze nude sul bancone che offrono spettacoli dalla semplice lap dance all'introduzione di bottiglie di heineken in vagina. La clientela dei bar è abbastanza giovane. Per lo più maschi arrapati con problemi di budget che non possono permettersi l'ingresso al privé e che tenteranno di rimorchiare qualcosa alla vecchia maniera anche se mi sembra difficile, dato che sono praticamente quasi tutti maschi. A parte quelle sul bancone che, sospetto ancora una volta, siano pagate per farsi dare una leccatina veloce come sta facendo in quest'istante un inglese ubriaco spronato dalle grida festanti dei suoi amici.
La zona dei ristoranti è meno chiassosa, frequentate da coppie tutto sommato eleganti e puntellate qua e là da signore che sfoggiano questi abiti da nudisti con i fori per le tette, ma l'impressione generale, da come si guardano le coppie tra i tavoli giudicando reciprocamente e silenziosamente le mise, è che l'abito da nudista, comprata in quella che sembra una catena dedicata a questo tipo di capi, dal nome “Libertines”, sia appannaggio dei parvenu dello scambismo. Per una strana circostanza delle abitudini sociali un abito che mette in mostra tette, culo e vagina viene silenziosamente e snobisticamente etichettato come “overdressed” (il che non ha alcun senso).
Giro e girello informandomi sui club privé, e scopro che ve ne sono tanti, di varie dimensioni, di varie tariffe e (cosa limitativa per me) di vari “dress code”. Sono venuto in campeggio e ho con me soltanto i jeans che indosso (più un paio di bermuda) e una serie di magliette nere tutte uguali. La cosa mi trae d'impaccio limitando la mia scelta e mi infilo in quello che sembra essere il più “cheap” tra i vari privé. Mi dico - sbagliando, ancora non so quanto - che più o meno dovrebbe sempre trattarsi dello stesso tipo di roba.
Pago il mio biglietto a una specie di matrona dai capelli eccessivamente cotonati ed entro nel mio privé al risparmio. Gli ambienti che dovrebbero essere, non so, tipo erotici e soffusi, sono varie stanze dalle pareti di cartongesso dipinte alla buona di nero (posso vedere i grossolani colpi di pennello che si stagliano sulla superficie lucida) e l'ambiente tutto emana un'atmosfera cartonata che dà l'impressione di trovarsi dentro un tunnel dell'orrore di un luna park. Scorgo una postazione per glory hole, sono piccole stanzette con un sedile dentro la quale prende posto una signora chudendosi dentro. La porta ha un buco attraverso il quale porgere in tutta anonimità il pene alla signore e lasciare serenamente che se la sbrighi lei.
Due postazioni su tre del glory hole sono occupate, e davanti le due porte in attività si è formata una discreta fila di ragazzi in tute acetate. Decisamente non è un privé di stile, ma il prezzo all'ingresso è di 30 euro (anche per i single, che di solito per entrare in un privé spendono cifre esorbitanti). Eppure c'è una sorta di genuinità quasi rurale in questo club, sono certo che l'organizzazione è così povera che non possono permettersi professioniste o pornostar per dare una smossa all'ambiente, a meno che (dubbio che mi coglie all'improvviso) queste che sembrano attempate bidelle in carne che sorridono ai giovanotti in fila ai glory hole non siano proprio il genere di pornostar che l'organizzazione può effettivamente permettersi.
In una stanza nella quale c'è un grande letto da orgia (diciamo piuttosto un grande tavolato di compensato con sopra un materassino di gommapiuma foderato) non c'è nessuna orgia in corso, anche se una mezza dozzina di coppie stazionano perplesse, in piedi, appoggiate al muro, dando l'impressione di non sapere bene cosa dire o cosa fare per dare il via all'ambaradan. Hanno l'aria di chi si sta chiedendo che cosa ci fanno lì, e perché non sono andati in vacanza con i familiari come tutti gli altri anni.
Mi rendo conto che queste coppiette, le mogli con le “longuette” e le scarpe della festa (sotto probabilmente avranno un capo di lingerie da scambisti comprate da Libertines: “Una botta di follia, signora mia”) e i loro mariti nelle camicie inamidate (me li immagino all'interno del loro appartamentino nell'ecomostro condominiale, “costa un po' di più rispetto al campeggio, ma c'è la cucina e risparmi sul mangiare”, con lui in canottiera e pantofole che mangia il risottino in busta chiederle: “Mi hai stirato la camicia per l'orgia?”, e lei che sbuffa e che dice: “Sì un attimo adesso lo faccio”) ecco, loro sono qui, in questa stanza in cartongesso, per fare il GRANDE SALTO che li proietterà nell'empireo del JET SET del quale hanno tanto sentito parlare, dove la gente “fa cose strane”.
E mi accorgo, non senza un qualche stupore, che l'orgia è come la 500 negli anni del Boom Economico, soltanto che adesso si tratta di un Boom Sessuale, e ogni casalinga della classe operaia brama possedere il suo vibratore come negli anni Sessanta bramava un frullatore. La coesistenza di svariati tipi di privé, ognuno con il loro rapporto qualità prezzo, funziona proprio come la democrazia: da un lato alza barriere insormontabili tra le classi sociali, dall'altro permette a tutti di sognare all'interno di una IMITAZIONE in cartongesso.
Esco fuori e mi faccio indicare il migliore e più esclusivo club privé di tutto il villaggio. Me lo indicano ma mi avvertono che non mi faranno MAI entrare in jeans e maglietta. Mi indicano una sauna FKK, è carina, piccolina, e non hai problemi di abbigliamento perché prima di entrare devi spogliarti. Conosco gli FKK di Berlino e di Francoforte, FKK seri per gente ultraseria che gli FKK li ha inventati con precisione mitteleuropea, figurati se ho voglia di un FKK nel sud della Francia, vicino Marsiglia. Non scherziamo.
Così arrivo in questo club privé iperscambista extralusso, e già da come le persone sono abbigliate facendo la fila per l'ingresso (sì, c'è la fila per entrare) intuisco immediatamente di essere nel posto giusto. Sono vestiti tutti più o meno come in una pubblicità di un profumo, quel tipo di abbigliamento studiato apposta per creare un desiderio misto a rabbia misto a folle volontà di appropriazione misto a voglia di mordere che dovrebbe essere giustappunto il sentimento che una pubblicità di profumo tende a creare. Sono tutti un po' sinuosi e stilettati, poi all'improvviso mi rendo conto che queste persone non sono lì in fila per entrare, ma stanno sull'ingresso chiaccherando amabilmente, e probabilmente si tratta solamente di ragazzi immagini acchiappagonzi, infatti mi supera in velocità una coppia vestita lui in una giacca grigia lucente da rivenditore di trattori e lei in una sorta di accoppiamento gonna blusa che lascia intravedere rotoli di ciccia traballanti. Entrambi stanno correndo come scalmanati.
Sembra proprio che la signora abbia una incontenibile fretta di farsi sbattere da sconosciuti, e suppongo che la stessa fretta (cioè di fare sbattere la moglie da sconosciuti) l'abbia anche il marito, che, non avendo quei tacchi dodici sotto scarpe che sembrano cadillac degli anni Cinquanta che invece ha la moglie, riesce a correre più veloce e praticamente la sta trascinando. (Mi viene l'idea che il marito, nella vita, oltre a vendere trattori, voglia fare di tutto tranne sbattersi quella moglie, e che l'abbia intortata con tutta una serie di discussioni su quanto sia buono e bello e utile e chic e alla moda farsi sbattere da sconosciuti, in maniera da, una volta l'anno, portarla al villaggio nudista-scambista, farla sfogare, e togliersela dalle palle per il resto dell'anno. Ma potrebbe essere un'interpretazione maliziosa e cinica).
Come sospettavo un tipo rampante vestito come un giovane consigliere comunale mi fa problemi per il mio vestito e mi ripete una mezza dozzina di volte la frase “dress code”. Gli spiego che sono uno scrittore e che voglio scrivere un reportage. La sua espressione cambia di colpo, il consigliere comunale diventa gentile. (Non so perché - ma la cosa mi fa estremamente piacere - le persone sono convinte che uno scrittore può andarsene in giro vestito come gli pare, e che più strano se ne va in giro vestito più bravo è come scrittore. Molto spesso mi verrebbe voglia di avvertirli che quelli sono le rockstar, non gli scrittori, ma preferisco sempre tacere perché alla fin fine la cosa mi conviene).
La donna alla cassa deve essere anche lei una cassiera immagine (sembra una gallerista d'arte caduta in disgrazia a causa della sua ninfomania), perché, come mi rendo conto non appena entrato, non ha nulla a che spartire con i clienti tipo di questo locale, cioè bottegai, impiegati di banca, dentisti cocainomani, rivenditori di pompe idrauliche, proprietari di magazzini di deposito di concimi chimici, e gente che lavora nel campo della rubinetteria, piastrellatura, ferramenta, trasporto container. Come faccio a saperlo? Ho chiesto.
C'è una pista da ballo c'è un bar e tutti sembrano molto composti. L'unico aggeggio che può farti intuire di trovarti in un club per scambisti è una gabbia a lato della pista dove ogni tanto entra una donna, si chiude dentro, e pratica pompini a chi vuole avvicinarsi attraverso le sbarre. Ogni tanto prende uno di questi occasionali avventori al pompino, se lo tira dentro, e gli permette di scoparla, in piedi. E mentre quella si fa scopare chi è rimasto fuori non smette di toccarla e strizzarla e mungerla.
Passo in una seconda sala, che sembra un capannone ben arredato, un open space diviso in tante sedute tra le quali spicca un divano da orgia. L'aspetto è molto più raffinato dell'altro club, ma avvicinandomi al divanone, sul quale si agitano - non scherzo - una cinquantina di uomini attorno a due ragazze, mi rendo conto che il cuscinone del divanone è in similpelle, e che - non scherzo neanche questa volta - la gente ci balza sopra togliendosi le scarpe e iniziando a sgomitare per arrivare a una delle due ragazze, e nel frattempo scivola - scivola, proprio scivola - sugli schizzi di sperma.
Rientro in tenda, mi spoglio e vado di corsa a farmi una doccia. Al ritorno inciampo in una pietra e mi procuro una ferita al secondo dito del piede, che inizia a sanguinare copiosamente.
I vicini in roulotte sono ancora svegli. Sono preoccupati per il cane e hanno telefonato a un veterinario che verrà a momenti. Lui è nudo, lei invece, stranamente, ha la gonna ma è in topless. Si accorgono del mio piede ferito e mi chiedono se ho i cerotti. Non ce li ho. Sono molto gentili, si danno da fare, mi procurano una sedia pieghevole e la signora viene fuori dalla roulotte con tutto il necessario per la medicazione. Si inginocchia davanti a me, mi prende il piede, se lo appoggia sul seno e inizia a medicarmelo. Il marito guarda molto interessato.
Io guardo il cane, che alza la testolina e ricambia lo sguardo. Gli annuisco pensando che forse è l'unico che mi capisce.