LA CANNES DEI GIUSTI – IL NUOVO FILM DI TARANTINO È UNA MERAVIGLIA E NON POTREBBE ESSERE ALTRIMENTI. MA IN GENERALE AI CRITICI, SOPRATTUTTO ITALIANI, NON È PIACIUTO. STICAZZI – NESSUNO OGGI GIRA COME LUI, COME NEL 1969 ERANO IN POCHI A GIRARE COME POLANSKI. E “C’ERA UNA VOLTA…A HOLLYWOOD” È UN OMAGGIO COMMOVENTE E SINCERO PROPRIO A POLANSKI, AL SUO GENIO, A SHARON TATE – COME IN “THE HATEFUL EIGHT”, IL WESTERN È SOLO UN MEZZO PER COLPIRE PIÙ IN ALTO E DIRE COSE PIÙ SCOMODE – VIDEO

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C’era una volta a… Hollywood

Marco Giusti per Dagospia

 

once upon a time in hollywood poster ufficiale once upon a time in hollywood poster ufficiale

Volete sapere come mi sembra il nuovo film di Quentin Tarantino? Volete sapere se mi è piaciuto? Certo che mi piace. E’ una meraviglia. E non potrebbe essere altrimenti. Ma in generale ai critici, soprattutto italiani, non è piaciuto. Sticazzi. Nessuno oggi gira come gira Tarantino. Mi dispiace. Come nel 1969, l’anno che è morta Sharon Tate, erano davvero in pochi a girare come Roman Polanski. Lo sapevamo e lo sappiamo anche oggi.

 

quentin tarantino con brad pitt e leonardo dicaprio sul red carpet di cannes quentin tarantino con brad pitt e leonardo dicaprio sul red carpet di cannes

E questo film, anche se non si può dire il finale, e vi giuro che è meraviglioso, è un omaggio commovente e sincero non tanto al piccolo western televisivo americano o agli spaghetti western di Sergio Corbucci o ai chorizo western di Joaquin Luis Romero Marchent o agli eurospy di Antonio Margheriti, ma proprio a Roman Polanski, al suo genio, a Sharon Tate. Anche se lo vediamo solo in poche scene, una incredibile dove viene ricostruita una festa del Playboy Club, il film sembra costruito interamente e senza nessun tentativo di fare rivelazioni esplosive o atteggiarsi a crime movie, quasi come una preghiera di perdono da parte della Hollywood per quel che accadde nella villa di Polanski cinquant’anni fa.

 

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Il tutto a cinquant’anni anche dal capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta il west, che Tarantino omaggia, in fondo, solo nel titolo. Ma come Leone, allora, sembrò voler chiudere con il cinema western, anche se non riuscirà a farlo, Tarantino qui sembra quasi chiudere con la sua passione del film nel film, con la ricostruzione degli anni d’oro degli spaghetti western.

 

leonardo dicaprio e quentin tarantino a cannes leonardo dicaprio e quentin tarantino a cannes

Perché, esattamente come in The Hateful Eight, che è forse il suo film più importante se non il suo capolavoro, il western è solo un mezzo per colpire molto più in alto e dire cose più scomode. Lì l’America dilaniata dagli odi di razza e dalla violenza che porterà a Trump, qui la macchina di odio che porterà alla macelleria della Manson Family.

 

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Leonardo Di Caprio, che non faceva un film da quattro anni, The Revenant, è Rick Dalton, attore western in declino, protagonista solo nella sua serie tv in bianco e nero City Law, che si deve adattare a ruoli di cattivo in film dove altri sono i protagonisti. Il suo potente agente Marvin Schwarsz, Al Pacino, lo vuole mandare in Italia a girare una serie di spaghetti western. Il primo è con Sergio Corbucci, “il secondo regista più bravo degli western italiani”.

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Ma Rick non vuole andare, si sente fallito. Se Rick se la passa male, Cliff, Brad Pitt, suo stuntman, autista e tuttofare personale e amico fraterno se la passa pure peggio. Cliff vive praticamente solo di riflesso del successo della star, più che una vera casa ha un posto dove dormire che divide col suo cane, Brady. Ma è un vero amico per Rick, che segue come un ombra. Sarà proprio Cliff a entrare in contatto con la banda Manson, accompagnando la conturbante minorenne Pussycat, Margaret Quailey, favolosa, nello Spahn Ranch, la base della famiglia di hippies demoniaci.

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Proprio lì dove, tanti anni prima, Cliff e Rick avevano girato proprio la loro serie western. Il vecchio proprietario degli studi, Bruce Dern, è talmente rincretinito che non riconosce il vecchio cowboy. Mentre seguiamo Rick sulla scena di western più o meno improbabili, e il suo double Cliff alle prese con la follia della Manson Family, seguiamo anche Sharon Tate, interpretata da un’incantevole Margot Robbie, sia mentre va al cinema a vedere un suo film con Dean Martin della serie ultracool Matt Helm, The Wrecking Crew, sia dopo quando sarà incinta e dividerà la villa, adiacente a quella di Rick, con un gruppo di amici.

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Se nella parte centrale Tarantino magari esagera un po’ nelle ricostruzioni perfette, c’è anche lo zampino del mago degli effetti visivi John Dykstra, e nel continuo gioco di identità tra Rick e Cliff come nello sdoppiamento da attore di Rick sulla scena western, nella seconda parte, dopo la parentesi italiana, Rick torna con sette chili in più e una moglie bona, Lorenza Izzo, proprio come in The Hateful Eight il film costruisce un finale esplosivo che giustificherà tutta la parte precedente. Hollywood è usata come continuo set dove non capisci mai chi recita e chi no, chi esce dal personaggio e chi no, c’è perfino un grande scontro fra Cliff e un finto Bruce Lee, e su tutto domina sia una sorta di memoria western del posto e delle storie western che si sono girate sia una malinconia legata proprio al cinema del passato, all’inutilità della follia hollywoodiana.

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C’era una volta a… Hollywood, malgrado le tante partecipazioni eccellenti, da Michael Madsen a Kurt Russell, da Dakota Fanning a Zoe Bell a un incredibile Damian Lewis come Dsteve McQueen, malgrado le canzoni favolose, “Straight Shooter” dei Mamas and Papas, “Good Thing” di Paul Revere and The Raiders, ma ce ne sono decine, malgrado la follia della ricostruzione completa di tutti i film passati nel febbraio e nell’agosto del 1969, come il fondamentale 3 in the Attic con Yvette Mimieux, la precisione di mettere la statuetta del David di Donatello vinta da Polanski a Taormina pochi giorni prima dei tragici fatti, sembra il film più triste di Tarantino, proprio perché è il suo primo film su Hollywood e sulla morte che il cinema si porta dietro. Inesorabilmente.

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