IL DAY AFTER DI "MARIOPIO" CALABRESI - “MI AVEVANO DETTO CHE AVEVANO SCELTO UN ALTRO DIRETTORE AL MIO POSTO E CHE NON C'ERA NULLA DI CUI DISCUTERE, NEMMENO TEMPI E MODI. NESSUN DRAMMA, SONO LE REGOLE DEL GIOCO” – L’EX DIRETTORE DI REPUBBLICA RACCONTA LA MATTINA DOPO IL SUO LICENZIAMENTO –NEL NUOVO LIBRO ANCHE IL RACCONTO DELL'INCONTRO CON PIETROSTEFANI, L’UOMO CHE AVEVA AMMAZZATO SUO PADRE… - “BISOGNA FARE PACE CON IL PASSATO, LA RABBIA NON AIUTA NESSUNO”
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
«Continuo a fare lo stesso sogno, ogni notte. Arrivo alla riunione del mattino al giornale, sono tutti già attorno al tavolo, mi siedo e inizio a proporre idee per la giornata, segnalo un titolo che non funziona sul sito e chiedo spiegazioni sul perché non sia stato fatto un pezzo. Nessuno risponde, tutti stanno in silenzio, finché qualcuno mi fa un cenno e scuote la testa. Solo allora mi rendo conto che con la riunione io non c' entro più nulla e mi alzo. A quel punto mi sveglio e mi arrabbio con il mio inconscio che continua a tornare là».
Da quando Mario Calabresi ha dovuto lasciare la direzione di «Repubblica», tutti gli chiedono due cose: «Che cosa è successo?»; «ma adesso cosa farai?». Per questo lui si è rifugiato nel silenzio, imponendosi due regole: niente lamentele; niente finto ottimismo. «Il miglior favore che ci si può fare in un momento di crisi è di non fingere che le cose vadano benissimo e che un milione di progetti ti aspettino. Ho sempre trovato patetica questa cosa. Così dico semplicemente che sto scrivendo un libro».
Ora il libro sta per uscire. Dopodomani, da Mondadori. Titolo: La mattina dopo .
Nel caso dell' autore, è la mattina dopo il licenziamento. «Mi avevano detto, con la stessa naturalezza con cui si parla del meteo, che avevano scelto un altro direttore al mio posto e che non c' era nulla di cui discutere, nemmeno tempi e modi. Nessun dramma, sono le regole del gioco, ma la mia agenda adesso era completamente vuota. Non avevo bisogno di provare per sapere che anche il mio telefono sarebbe diventato improvvisamente muto, che la fila di quelli che mi venivano a trovare e mi invitavano a pranzo e cena si sarebbe immediatamente accorciata, che avrei dovuto fare i conti con mancanze e dipendenze dolorose. Ma sapevo anche che avrei apprezzato infinitamente quelli che invece ci sarebbero stati, perché le persone si scoprono nelle difficoltà, lì si misura la loro umanità».
La mattina dopo, Mario Calabresi parte per Madrid. Ha un appuntamento a pranzo a casa di Roberto Toscano, che non è solo un sottile analista di politica internazionale ma anche e soprattutto l' eroico consigliere dell' ambasciata italiana a Santiago che salvò centinaia di giovani cileni dalla tortura e dalla morte. Meno di due anni prima, Toscano aveva accompagnato Calabresi a intervistare l' allora premier spagnolo Mariano Rajoy, nei giorni drammatici della secessione catalana. Con loro c' era anche Omero Ciai, inviato di «Repubblica» per la Spagna e l' America Latina.
Entrambi, Toscano e Ciai, sono stati colpiti da emorragia cerebrale. Entrambi si sono salvati (Ciai dopo un' odissea nella malasanità romana che nel libro è ricostruita in modo puntuale, destinato a indignare il lettore). Mario va a Madrid per pagare un debito e cominciare un percorso dentro la sofferenza umana, l' angoscia della «mattina dopo». La mattina dopo un pensionamento, un addio, una partenza. E anche la mattina dopo un incidente, una morte improvvisa, una tragedia.
mario calabresi carlo de benedetti
Tragedie come quella di «Daniela la garagista», che ricostruisce ogni giorno la propria vita dopo l' incidente che le è costato l' uso delle gambe (senza che la donna al volante della Panda che le ha tagliato la strada si sia mai fatta viva). Come quella di Damiano, il medico dolorosamente sopravvissuto a un disastro aereo nel Sud Sudan (bellissime le pagine in cui si raccontano i personaggi che dopo una lunga attesa salgono con lui sul velivolo scassato, tra cui soltanto due oltre a lui si salveranno).
Come quella di Yavuz Baydar, scrittore in fuga dalla Turchia di Erdogan. Come quella di Mira Bucci, sopravvissuta ai lager nazisti, cui dopo la liberazione gli americani permisero di entrare nella casa di una famiglia tedesca a prendersi quel che voleva, come risarcimento: scelse una macchina da cucire, con cui avrebbe intrapreso il suo nuovo lavoro, e un quadro con due bambine, presagio favorevole per la sorte delle due figlie che avrebbe ritrovato due anni dopo a Londra, anche loro scampate alla persecuzione nazista.
Il filo rosso è, come sempre nei libri di Calabresi, la storia della sua famiglia. Il «Bricco delle Ciliegie», la collina con le vigne del trisnonno Alberto, pignorate dalla banca - lui muore all' improvviso, il fattore non onora la fideiussione garantita da Alberto -, che l' autore riesce in parte a ricomprare, onorando una promessa fatta alla nonna morente. La malattia di Tonino Milite, pittore e scrittore, che di Mario è stato il padre adottivo.
Ma il personaggio centrale de La mattina dopo, anche se compare in poche pagine, è lo stesso di Spingendo la notte più in là , il libro che resta uno dei più importanti pubblicati nel nostro Paese negli ultimi vent' anni. È la madre dell' autore, Gemma Capra Calabresi, questa grande italiana che non chiede vendetta, non si oppone neppure alla grazia per l' assassino dell' amatissimo marito, non educa i figli nel rancore, ma trasmette una grande lezione: «Non guardare al passato con rabbia. Non si può cambiare ciò che è successo, bisogna farci pace. E prima lo si fa meglio è».
Senza dimenticare nulla e nessuno, a cominciare dal delitto da cui tutto ha avuto origine: Milano, 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi muore innocente, ucciso sotto casa da un commando che ha dovuto attendere nervosamente che finisse di giocare a nascondino con Mario bambino. E senza rinunciare a capire, fino all' ultimo appuntamento con il destino. Così Calabresi parte per una Parigi spazzata da un vento di tempesta, ancora turbata dal rogo di Notre-Dame, per incontrare il latitante condannato per l' omicidio del padre, Giorgio Pietrostefani. «Adesso, il mio giorno dopo era finito davvero».
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