Marco Giusti per Dagospia
Cannes il giorno dopo. Ormai è un inferno. C’è chi sostiene la vittoria di un film horror diretto da una giovane regista, “Titane” di Julia Ducournau, c’è chi la trova invece una scelta sbagliata, perché premia una regista borghese, bianca, francese, alla moda, sostanzialmente fighetta. Non l’ho visto e non posso dire.
Non va bene neanche il taglio sul passato, l’idea di cambiamento. Se vince un film conservatore e sguaiato non basta, mi contesta Luca Guadagnino, che tifava per il film di Nadav Lapid e per il giapponese Ryusuke Amaguchi, che piaceva davvero a tutti. La colpa, a casa! a casa!, non può che essere del direttore Thierry Frémaux, che ha fatto un festival modesto e insensato pur avendo due anni di tempo causa Covid.
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Bloccando film, “Annette”, “Tre piani”, “The French Dispatch”, che magari ora sono incredibilmente invecchiati. Mentre Barbera, a Venezia, un anno fa, ha fatto un festival impeccabile sotto ogni punto di vista e ora può pescare dalle novità di Netflix, si sta già portando a casa, credo, il nuovo film di Paolo Sorrentino, quello di Jane Campion, oltre a “Dune” di Denis Villeneuve, a “Freak Out” di Gabriele Mainetti.
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