Marco Giusti per Dagospia
Pure Osiride, cioè Osiride Pevarello, professione “rompicollo”, il più vecchio stuntman del cinema italiano, 101 anni, ma soprattutto l’unico mangiafuoco con la barba, se ne va. Osiride era un macigno. L’ho visto a 90 anni passati andare in motoretta per le strade di Ostia, dove viveva con la famiglia, con una mano sola alla guida e con l’altra reggere un cocomero certo non piccolo.
“Botte, botte e sempre botte”, era la frase che sintetizzava tutto quello che aveva fatto in tanti anni di cinema e, soprattutto, di circo. Padovano, o almeno della zona, nessuna istruzione, nessuna cultura, tre bestemmie per ogni parola, amico storico di Tinto Brass dai tempi de La vacanza e di Caligola, era scappato da molto piccolo per fare il “rompicollo” nei circhi di strada.
Quelli che Fellini ha descritto così bene ne La strada, dove aveva lavorato e che Osiride vedeva come il film della sua vita. Fellini gli aveva rubato la sua vita. Ma poi gli aveva fatto fare un bel ruolo ne I clown. Nei circhi di strada Osiride aveva imparato a fare il mangiafuoco, riempendosi la bocca d’alcool e poi sputando fuori fuoco e fiamme, stando attendo a non bruciarsi il barbone nero lunghissimo che gli abbiamo sempre visto. “Il circo era lo spettacolo più bello del mondo”, mi diceva, “ucciso dalla televisione”. E giù bestemmie.
Al tempo del circo aveva trovato anche sua moglie, “una vera strega”, mi diceva, nel senso proprio di stregoneria. Una marea di figlie femmine e un solo maschio, morto presto, a Ostia. Ma in un’edizione del David di Donatello, dove lo chiamai a fare il mangiafuoco, venne con un nipotino che lo accompagnava. I vigili del fuoco non ci permisero di far fare il numero di mangiafuoco a Osiride dentro il teatro. Lo fece fuori, assieme al nipotino. Non era facile parlare con Osiride.
Aveva un mondo e un linguaggio tutto suo. Mi seguitava a chiamare dottore e a tirar giù bestemmie. Aveva fatto la controfigura a Amedeo Nazzari negli anni ’50, mi diceva, e chissà quante altre volte aveva fatto le cascate al cinema, prima di trovare nel peplum e nel western una sua dimensione. Ma rompicollo era e rompicollo era rimasto per tutta la vita. Lo vediamo prendere botte e darle in tutti i film di Bud e Terence, in centinaia di western.
Fa dei salti clamorosi e finisce sempre per terra, col volto impassibile. Ricordava con affetto l’incontro con John Wayne sul set di Il circo e la sua più grande avventura di Henry Hathaway. Si era portato via i cappelli che usava sui set. In realtà si era portato via molti cappelli dai suoi set, quasi tutti cappelli da film western. In uno dei suoi ruoli migliori, un western di Franco Giraldi, Un minuto per pregare un istante per morire, uccide il protagonista Alex Cord alle spalle alla fine del film.
Ma l’incontro con Tinto, negli anni ’70, gli aveva dato nuova vita. Tinto lo volle a suo fianco ovunque, in Caligola, dove fa un soldatone barbuto e muto, perché il film era girato in inglese e Osiride non sapeva neanche l’italiano. Ma lo vediamo in tutti i suoi film fino a Senso ’42.
Tinto gli voleva bene. Anche io ho provato a farlo recitare sempre nei miei programmi, perfino dopo l’ictus di qualche anno fa, a Stracult, in studio. Ma il problema non era l’ictus, era farlo parlare italiano e togliere le bestemmie. Porco qui e porco là. Aveva un corpo da clown, da saltibanco, anche da vecchio. E non aveva mai abbandonato l’idea che il circo (di strada) fosse lo spettacolo più bello del mondo.
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