STACCANDO L’OMBRA DA TERRA - SE NE VA A 72 ANNI DANIELE DEL GIUDICE, LO SCRITTORE CHE DAVA DEL TU A CALVINO. FU LUI IL PRIMO A TELEFONARE DA VENEZIA IN CASA EDITRICE EINAUDI IL POMERIGGIO IN CUI ITALO EBBE L’ICTUS: “CALVINO STA MORENDO” - CRITICO E GIORNALISTA, SABATO GLI AVREBBERO DOVUTO CONSEGNARE IL PREMIO CAMPIELLO ALLA CARRIERA - LA FREDDEZZA TROPPO «INTELLIGENTE» E IL TESTO TEATRALE SU USTICA SCRITTO CON MARCO PAOLINI CHE E' DIVENTATO…
Paolo di Stefano per corriere.it
Fu Daniele Del Giudice il primo a telefonare da Venezia in casa editrice Einaudi il pomeriggio in cui Calvino ebbe l’ictus: «Italo sta morendo». Lo racconta Ernesto Ferrero nel suo «album familiare» I migliori anni della nostra vita. Non è escluso che anche per Daniele i migliori anni siano stati quelli dei mercoledì in via Biancamano. Era lui, non ancora quarantenne nel 1986, il più giovane consulente.
Fu una vera staffetta con Calvino, che gli aveva passato il testimone sin dal 1983 scrivendo la quarta del suo primo romanzo, Lo stadio di Wimbledon, con la triplice domanda in chiusura: «Cosa ci annuncia questo insolito libro? La ripresa del romanzo d’iniziazione d’un giovane scrittore? O un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto, secondo un nuovo sistema di coordinate?».
Del Giudice nasce nel 1949 a Roma, da padre svizzero dei Grigioni morto quando Daniele è un bambino. Passa anni in collegio, non ha un’infanzia felice. In un’intervista del 2007 a Riccardo Giacconi ricorda che suo padre prima di morire gli regalò una macchina da scrivere, una enorme Underwood americana e una Bianchi 28, una bicicletta. Non andava a scuola, il piccolo, preferiva pedalare la mattina e battere a macchina con due dita il pomeriggio.
Del Giudice non ha mai terminato gli studi universitari, forse perché ben presto ha cominciato a collaborare per i giornali, prima di spostarsi a Milano e poi definitivamente a Venezia. Ha lavorato a «Paese Sera», con l’allora amico Franco Cordelli. Nella prima intervista, del 1978, dava già del tu a Calvino. Lo stadio di Wimbledon fu una rivelazione: racconta il viaggio-inchiesta di un giovane sulle tracce della figura di Bobi Bazlen, della sua «non scrittura» e del silenzio che caratterizzò la vita dell’intellettuale triestino. Il vero fuoco è però l’interrogazione su quella «complicatezza leggera» che, secondo un ideale calviniano, è la creazione letteraria.
Qualcuno vide in una certa freddezza troppo «intelligente» il limite di Del Giudice: ma in realtà la prosa piana, trasparente, i dialoghi rarefatti in un intreccio pressoché impercettibile (in cui compaiono due donne conosciute da Montale, Gerti e Liuba) intensificano la forza del mistero, dell’assenza, da cui si libera l’energia creativa del protagonista senza farlo precipitare nella stessa afasia bazleniana. Il secondo romanzo, Atlante occidentale, arriva presto, nell’85.
Giulio Einaudi ricordava che il trenino scelto per la copertina fu imposto dall’autore, cosa che raramente accadeva. Mentre Lo stadio di Wimbledon è un romanzo che interroga la memoria degli amici di una persona assente, Atlante occidentale è la storia di una amicizia reale, quella nata dall’incontro, in un piccolo campo di aviazione nei dintorni di Ginevra, tra l’anziano scrittore Epstein e Brahe, un giovane fisico italiano: i due sono accomunati dalla passione del volo, la stessa del pilota dilettante Del Giudice.
La scena di «Atlante occidentale» è un laboratorio ginevrino in cui si sta sperimentando un anello di accelerazione che permetterà di rendere visibili infinitesimali particelle di materia. La lettura più ovvia è il confronto tra le due culture, ma il libro è molto più ambizioso: si propone di «inseguire la metamorfosi dell’uomo europeo, la nuova percezione che egli ha di sé e del mondo che lo circonda», restituendo alla letteratura la sua «vera vocazione di scoperta».
Precisione della scrittura, esattezza nel rendere i fenomeni fisici come nel restituire i sentimenti, le emozioni: sono questi i tratti che distinguono la prosa di Del Giudice anche quando affronta il motivo autobiografico del volo nei racconti di Staccando l’ombra da terra (1994), forse il suo libro migliore: qui l’esperienza aviatoria personale si estende ad altre storie, come la caduta di un aereo nuovissimo sulla Conca di Crezzo per via del gelo. Ma soprattutto la tragedia dell’Itavia a Ustica, resa attraverso i drammatici dialoghi del «voice recorder».
È un libro sulla grammatica del volo e sulla grammatica della vita, sul rapporto tra allievo e maestro, sull’etica dell’aviatore e sull’etica esistenziale, sull’equilibrio delicato tra istinto e competenza. E c’è una metafora superiore, quella letteraria, se è vero che la rotta aerea va tenuta salda come la rotta dello stile per uno scrittore.
I racconti di Mania (1997) sono un’altra prova dell’adozione della misura breve come abito stilistico (e filosofico) ideale di del Giudice: anche qui con testi bellissimi, giocati su un’ampia tastiera di stile e di visioni, che mostrano ormai una qualità musicale della scrittura. Nel 2000, Del Giudice scrive per e con Marco Paolini un testo teatrale su Ustica lavorando sugli atti e sui documenti.
Del Giudice intanto si era offerto generosamente e con entusiasmo all’organizzazione degli eventi veneziani di «Fondamenta» e all’insegnamento allo Iuav. Orizzonte mobile è del 2009: Del Giudice narra la sua spedizione antartica, ma unisce in un unico filo narrativo anche altri viaggi lontani nel tempo, attraverso i taccuini di esploratori ottocenteschi.
A Claudio Magris, che lo intervistò per il «Corriere», disse: «Nella percezione le cose non sono affiancate ma simultanee e così dovrebbe essere nella narrazione». La percezione della realtà cominciavano lentamente per lui a sfumare: lo scrittore che ha fatto del ragionamento e della lucidità calviniana l’ossessione del suo narrare e del suo leggere (Del Giudice è stato anche ottimo saggista) doveva arrendersi all’Alzheimer. A Calvino era esploso il cervello in un attimo, quello di Del Giudice è andato lentamente in macerie (lo ha narrato Michele Farina nel suo Quando andiamo a casa?). Strano destino di due scrittori che avevano fatto del pensiero esatto il loro stile creativo.