Paola Zanuttini per Il Venerdì-la Repubblica
Per illustrare la schiatta da cui discende Giovanni Lombardo Radice serve un albero genealogico che risale alla battaglia di Hastings (1066) e, in un prologo, la cosa appesantirebbe. Quindi fidatevi se vi dico che viene da una di quelle famiglie che incutono soggezione nei figli. O che inducono alla ribellione e a percorrere strade un tempo definite alternative. Aggettivo calzante per GLR, 62 anni, cresciuto quando la cultura alternativa faceva il botto, e poi diventato star internazionale del cinema horror. Qualche dettaglio e poi si comincia.
Per gli incerti del mestiere, le parcelle dello psicanalista, e una costosa e abbandonata passione per la coca, al prodigo Giovanni, ballerino mancato, disinvolto bisessuale e tanto poliglotta da parlare inglese ai suoi due bassotti tedeschi, non è rimasto niente del patrimonio di famiglia. Quindi ha comprato un villino che costava poco perché affaccia sul Verano, il cimitero monumentale di Roma.
«Un indirizzo per sempre» ha commentato un' amica spiritosa. E un dettaglio impagabile per gli amanti dell' horror che lo seguono dagli Usa al Giappone alla Germania, oggi pronti a pagare 60 dollari per un sacchetto da vomito distribuito alla prima americana di un suo film assai sanguinolento.
Con un' esistenza così movimentata, l' autobiografia era quasi inevitabile: Lombardo Radice ha dato alle stampe Una vita da zombie che, in 358 pagine, spazia dai pranzi di famiglia ai debutti nel teatro d' avanguardia, da un idillio quasi omoerotico con Gian Maria Volonté (tanta coca e un bacio lieve sulle labbra) ai set più o meno sgangherati dello splatter made in Italy. Qualche titolo per farsi un' idea: Paura nella città dei morti viventi, oppure Cannibal Ferox.
E adesso le radici, con un inevitabile gioco di parole. Il nonno Giuseppe Lombardo Radice era un pedagogista di fama europea, primo traduttore in italiano di Kant e autore con Giovanni Gentile della riforma della scuola. Il padre Lucio era docente di Matematica, pedagogista anche lui, dirigente critico del Pci, fondatore del Coordinamento dei movimenti per la pace. Sua sorella Laura aveva sposato Pietro Ingrao, anima nobile del partito.
La famiglia di sua madre Adele, figlia di Arturo Carlo Jemolo eminente giurista, storico, avvocato della Fiat e della Banca d' Italia, era liberal-cattolica e, per via materna, pure nobile, legata a una dinastia di incisori tedeschi, i Morghen, imparentati con i Gerardini, quelli della Monna Lisa di Leonardo, a loro volta discendenti dei Fitz-Gerard che avevano combattuto ad Hastings. Aggiungiamoci che un fratello maggiore di Giovanni era Marco, autore con Lidia Ravera di Porci con le ali e poi stimatissimo e rivoluzionario psichiatra di bambini e adolescenti. C' è di che venir su complessato.
«Ma a casa mia una congiura cattocomunista negava, o trascurava, l' esistenza della psiche, considerata una perversione borghese. Ho trovato una lettera di mia madre alla nonna in cui raccontava di aver letto un libro di Freud: lo trovava divertente, con note rapportabili alla nostra famiglia, ma il tono era come se parlasse di Topolino. Tutto questo ha fatto danni allucinanti e, da adolescenti, è scoppiato tutto».
A sua madre, che faceva il medico, era molto bella, un po' freddina e anoressica, e morì a 45 anni, non importava che Giovanni facesse grandi cose: le bastava fosse bello. Ai due fratelli più grandi toccava il compito di tenere alto l' onore di casata. Il padre era tenero e tollerante. Ma quando il nonno Jemolo venne a sapere che il nipote si dava all' arte in cose peraltro degnissime, con Strehler, Trionfo, Cobelli, Cecchi, e persino Berio (liquidato nel libro come un pomposo cretino), lo convocò.
«Io avevo saltato un anno di liceo perché ero stufo della scuola e avevo preso la maturità con esami su tutte le materie a 17 anni, e lui, assiso su una savonarola come Torquemada, mi disse che l' aveva presa a 16, e si era laureato a 20, quindi non avevo fatto niente di eccezionale. Poi mi consigliò la carriera diplomatica, visto che a suo parere ero bello, ma non intelligente, e infine attaccò un pippone sugli antenati, da Hastings in giù: se volevo disonorarli tutti facendo il pagliaccio, liberissmo. Ma, da lui, nessuno aiuto. Mi diede appuntamento per il pranzo della domenica». Sempre per la serie storie di famiglia (poi la finiamo) va detto che Giovanni ha sposato Alessandra, erede di un' altra gloriosa stirpe: Paolo Panelli e Bice Valori. Hanno avuto un figlio, ma non è durata.
Nell' horror e dintorni, GLR è noto anche come John Morgen, perché, nell' epoca d' oro, i film realizzati in Italia erano girati in inglese e gli attori si davano nomi esotici. A lui quegli squartamenti non piacevano, non era un cultore del filone; i suoi oggetti di culto, semmai, sono Shakespeare, di cui si cimenta nelle traduzioni cercando di rispettarne le rime, e, in seconda battuta, la commedia inglese. Un' altra passione sono i Windsor: sul tavolo in salotto tiene un piatto in porcellana con l' effige della regina madre. Talvolta le lancia uno sguardo affettuoso.
Universalmente noto come «quello trapanato» per una storica sequenza di Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci, in cui la punta di un trapano gli trapassa il cranio, il suo battesimo del sangue finto è avvenuto per caso. Un' agente cinematografica, suocera del regista Ruggero Deodato, luminare del cannibal, lo scovò in un teatro dove lui, sconsolato, prendeva le misure di un palcoscenico troppo piccolo per la commedia di Marivaux che voleva allestire. Gli dice che ha un viso molto bello, gli chiede se parla inglese e arriva il primo ingaggio, La casa sperduta nel parco, del genero Deodato.
Quindi, oltre alla faccia d' angelo cattivello, oggi molto più diabolica, il fluent english è stato la carta vincente. «Una carta che pochissimi registi e attori italiani si possono giocare e questo, insieme al devastante ingresso delle televisioni nelle produzioni, ha determinato la crisi del nostro cinema.
Fino agli anni 80 era vitale, autonomo e pieno di generi: sandaloni, western, commedia sexy, parodia, polizziotteschi, horror, non diviso crocianamente come oggi fra alto e basso. Ora i produttori non fanno più i produttori, aspettano che Rai Cinema o Mediaset gli diano i soldi e poi trasmettano i loro film, tutti uguali».
I racconti dei set splatter sono picareschi, ma il brivido era rallentato dalle eterne sedute per il trucco e gli effetti speciali. I rapporti con maestranze e tecnici, camerateschi. Ma un regista che GLR non ha amato per niente è Umberto Lenzi, con il quale ha condiviso l' estenuante lavorazione di Cannibal Ferox in Amazzonia. Egomaniacale, trombone e sadico: questo il verdetto.
E voleva costringerlo a uccidere, sul serio, un maialino. Tipi singolari i registi dell' horror: «Passati per ogni genere, solo Michele Soavi aveva una vera passione. Nessuno si sentiva frustrato, eccetto Fulci che era intelligentissimo, aveva conosciuto Visconti, e cosiderava importanti i suoi film. Soffriva perché la critica italiana lo disdegnava mentre i Cahiers du Cinéma lo osannavano».
E al pubblico perché piaceva e piace tanto l' horror? «Esclusa una minima percentuale di maniaci, al grosso del pubblico si può applicare quello che scrive Bettelheim in Il mondo incantato: ci sono gli archetipi, i conflitti, il superamento degli ostacoli. Magari in forma un po' grossolana. E visiva, non orale come nelle favole.
Ma alle convention ho incontrato tanti fan che sono persone normali. A Manchester, un' adorabile vecchietta mi ha detto che sarei un ottimo Dracula. Ha ragione».
Finita la breve stagione del gore italico, Lombardo Radice è tornato al teatro, per molti anni ha diretto La Cometa, ha fatto musical, commedie, sceneggiature per la Rai, piccoli e medi ruoli qua e là, anche nelle più robuste produzioni horror americane. E ha unito al mestiere dell' attore quello di massaggiatore.
Diplomato in Olanda. E sogna sempre Shakespeare. O di fare al cinema una commedia, perché il suo vero talento è comico. O un film con Cronenberg. Ma non con Tarantino: «Ha detto meraviglie di me, gli ho scritto per ringraziarlo e non mi ha risposto, né mi ha cercato quando è venuto in Italia. Preferisce uscire con certi monumenti di silicone come Edwige Fenech. Mi hanno spiegato che è un gran paraculo: nei Paesi in cui va, elogia le star locali dei B film, ma in realtà non se le fila per niente».