Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, ai miei occhi restano assurdi i cerimoniali del sindacato dei giornalisti, cerimoniali che ho disprezzato per tutto il lungo tempo in cui ho tratto il mio pane dai giornali. Succede che la proprietà cambi con un gesto secco il direttore di un giornale molto importante, quel Carlo Verdelli al quale vanno i miei auguri di in bocca al lupo, e che succede?
Che i giornalisti scioperano a costo di non fare uscire il giornale, il cui nuovo direttore è del resto una figura adamantina, Maurizio Molinari (me lo ricordo giovanissimo all’ “Indipendente” di Vittorio Feltri e poi di Pialuisa Bianco).
Ma che senso ha non fare uscire il giornale? Quale occasione migliore per mettere sotto la lente di ingrandimento i pregi e gli eventuali difetti della “Repubblica” di Verdelli eccetera eccetera, i pregi se ci sono del nuovo direttore, il che e il come della “linea” possibile di Repubblica eccetera eccetera.
E dunque la dichiarazione di addio di Verdelli l’ho letta su Dagospia. Ripeto, a lui mille auguri. C’è però una frase finale di quella sua dichiarazione che mi ha lasciato in bambola. Lì dove lui fa riferimento alle vicinissime e immancabili commemorazioni del 25 aprile, commemorazioni da cui la retorica colerà a fiotti al punto da oscurare le roventi verità storiche di quella data simbolo. Ed è la frase seguente: “Partigiani si nasce e lo si resta per sempre”.
E’ una frase di cui ai miei occhi è oscurissimo il significato letterale. “Partigiani” in questo caso vuol dire partigiani come lo furono quelli italiani del 1943-1945. Premesso che in quelle bande partigiane c’era tutto e il contrario di tutto, c’erano monarchici repubblicani cattolici comunisti faziosi e comunisti che non lo erano socialisti marxisti e socialisti anticomunisti eccetera eccetera, e soprattutto c’erano degli eroi e dei delinquenti, c’erano degli italiani che volevano regalare Trieste ai comunisti jugoslavi e c’erano italiani come il fratello di Pier Paolo Pasolini e l‘ultimo dei tre nipoti di Italo Svevo che pagarono con la vita il fatto di voler difendere Trieste italiana. Di questo dobbiamo parlare 75 anni dopo anziché cantare “Bella ciao”.
E poi la cosa principale, non è vero niente che “partigiani” nel senso del 1943-1945 “ci si nasce”. Furono le condizioni drammaticissime dell’Italia che era andata in guerra contro la Francia, contro l’America, contro l’Urss e che era stata annichilita dalle bombe lanciate dagli aerei angloamericani che fecero una strage al quartiere San Lorenzo di Roma, a creare le condizioni per cui uomini come Giaime Pintor o Willy Jervis (il padre del notissimo psichiatra Giovanni Jervis) buttarono la loro vita sulla bilancia della guerra civile.
Giame Pintor lo scrive al suo fratello minore Luigi che se fosse stato per lui si sarebbe dedicato alla letteratura (e alle ragazze), un campo in cui era un maestro già a 24 anni, e non dire che se c’era uno che non “era di sinistra” era lui, interessatissimo com’era agli autori della Rivoluzione Conservatrice in Germania.
E’ lui a consigliare alla Einaudi di pubblicare il bellissimo libro di Ernst von Salomon (“I proscritti”), uno che il 24 giugno 1922 che aveva accompagnato alla macchina quelli che stavano andando a uccidere il ministro ebreo Walther Rathenau. Condannato a lunga lunga detenzione, von Salomon in carcere aveva “revisionato” il suo estremismo partigiano _ partigiano in un senso opposto a quello che gli attribuisce Verdelli _ e aveva tentato di comprendere i perché di quella sua formazione estrema e i perché della vittoria del nazismo. Il libro che ho ciato e l’altro libro capitale di von Salomon, “Il Questionario”, sono due tra i grandi libri europei del Novecento.
partigiani con una giuseppina ghersi stuprata e uccisa perche accusata di essere repubblichina
Partigiani non si nasce affatto, semmai si nasce faziosi, “di parte”, e quella è una sciagura che ha colpito tantissimi della mia generazione, gente con la quale per me è difficile persino condividere l’aria che respiriamo quando ci parliamo. Partigiani nel senso di “faziosi”, scriveva Elias Canetti, sono gli articoli dei giornali perché questa è la loro caratteristica, vantare i pregi di una parte contro un’altra in modo da attrarre i lettori favorevoli alla “parte” celebrata.
Credo che nel giornale del bravissimo Verdelli ci fossero maree di questi articoli, che instancabilmente celebravano una parte. Mai mai mai, e tanto per fare un esempio, che in uno di quegli articoli si ricordasse che cosa avevano fatto i “partigiani” della 28° Brigata Garibaldi “Mario Gordini” quando il 29 aprile 1945 arrivarono a Pescantina e a Bussolengo, nel veronese, dove s’erano rifugiati parecchi ravennati appartenenti alle disciolte formazioni della Repubblica Sociale.
Oltre 300 di loro vennero prelevati e caricati sui camion: molti di loro sottoposti a sevizie e poi fucilati a gruppetti. Nella sola Codevigo la versione ufficiale indica la cifra di 137 fra uomini e donne massacrati. Dopo 75 anni è possibile indicare i fatti di Codevigo o invece bisogna battere e ribattere con il martello della risibile retorica sul fatto che “partigiani si nasce”?
Non solo, e poi non è vero che persino nel 1943-1945 non c’era niente di meglio che battersi per la vita e per la morte tra italiani. Ci furono italiani dabbene che si astennero dal praticare la religione del sangue e che vanno ricordati con i loro nomi e cognomi. Raccomando a chi mi sta leggendo un libro pubblicato da Einaudi alcuni anni fa, “Due anni senza gloria. 1943-1945”, di Lovodico Terzi, un libro che meritò il plauso di due lettori eccezionali quali Carlo Fruttero e il Goffredo Fofi della maturità. Per fortuna Terzi “non c’era nato partigiano”, anzi stando alle sue origini familiari avrebbe dovuto andare a combattere dalla parte di Salò. Non ne ebbe la benché minima libidine di farlo, restò in disparte, si astenne. Meno male che in molti lo abbiano fatto tanto che il bagno di sangue è stato inferiore.
A meno di non credere, ma questo lo può fare solo un babbeo, che la Liberazione del 25 aprile 1945 fosse dovuta ai partigiani e non agli angloalleati che con i loro bombardamenti avevano squassato le principali città italiane. Ho letto qualche tempo fa un libro famosissimo, il “Napoli ‘44” dell’inglese Norman Lewis, che a fine 1943 era sbarcato in Italia e che risalì la penisola a fianco delle truppe alleate. Lewis menziona soldati polacchi, canadesi, inglesi, americani, marocchini (purtroppo per molte donne italiane), non un solo soldato italiano per non dire un partigiano. Semplicemente perché non c’erano. Non ce n’erano di partigiani che erano nati tali e che lo sarebbero rimasti tutta la vita.