"SUI GIORNALI SI PARLA SOLO DEI RAPPER, O DEI MANESKÌN, O MANESKÒT, O COME DIAVOLO SI CHIAMANO. MA CHI SE NE FREGA!" - IL MAESTRO RICCARDO MUTI SI LAGNA DEL GRANDE SPAZIO CONCESSO DAI MEDIA ALLA ROCK BAND: "È ORA DI PORTARE I RAGAZZI ALLE RADICI DELLA MUSICA ITALIANA. ABBIAMO POCO TEMPO. LA CATASTROFE SI AVVICINA” - "L'OPERA VA STUDIATA. I 'TRE TENORI' (PAVAROTTI, CARRERAS, DOMINGO) NON SONO STATI UN VANTAGGIO E NON HANNO PORTATO PUBBLICO..."

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Egle Santolini per “la Stampa” - Estratti

 

riccardo muti riccardo muti

Non vuol fare «l'uccello del malaugurio», ma Riccardo Muti di buone ragioni per essere ottimista sullo stato della cultura in Italia, e in particolare sulla difesa della grande musica nazionale, proprio non ne vede. «La deriva, in questo periodo, mi pare ancora più pericolosamente rivolta verso il basso», vaticina.

 

E «fino a quando sui giornali si parlerà solo dei rapper, o dei Maneskìn, o Maneskòt, o come diavolo si chiamano… Ma lo sapete che la casa di Lorenzo Da Ponte è in vendita (a Vittorio Veneto, e dal 2020, ndr)? Che quella di Verdi a Sant'Agata ancora non si è capito che fine farà? Per non parlare di quella di Paisiello a Taranto».

 

MANESKIN MANESKIN

Ancora: «Tutto ormai è ridotto all'occasione mondana: si parla dell'archetto, del papillon, del do che era calante, del tempo dell'Eroica troppo lento. Ma chi se ne frega? Sarebbe ora di andare alle radici, di educare i ragazzi fin da piccolissimi alla musica italiana. Loro sono pronti, disponibili. Ma abbiamo poco tempo. La catastrofe si avvicina».

 

E poi, senza andare sul personale «perché parliamo di grandi professionisti e di persone per bene», diciamolo che «i tre tenori non sono stati un vantaggio, e che non hanno portato pubblico: non si tratta di concentrarsi su quell'acuto o su quella romanza, l'opera va studiata nella sua interezza, con un sacrificio cerebrale».

 

Insomma stiamo buttando via un patrimonio, una gloria nazionale, e neanche ce ne rendiamo conto.

 

riccardo muti riccardo muti

Alla Fondazione Prada per presentare la seconda edizione milanese della sua "Riccardo Muti Italian Opera Academy", una serie di lezioni, prove aperte e concerto finale sulla Norma di Bellini che terrà banco in viale Isarco dal 18 al 29 novembre, protagonisti con l'Orchestra Luigi Cherubini i giovani direttori d'orchestra e maestri collaboratori che ha selezionato durissimamente, il Maestrone si lancia in un'appassionata invettiva delle sue.

 

Ce n'è per tutti. I cantanti? «Non sono più disposti a un lavoro capillare come quello che facevo io a Firenze o alla Scala: lì si trattava di un mese di prove con me al pianoforte. Adesso arrivano due o tre giorni prima della generale. Poi capita che i teatri li incensino, che dicano "quale onore averli con noi": e invece magari sono reduci da una tournée di marchette in Cina».

maneskin maneskin

 

I colleghi direttori? A parte quelli che «non sanno nemmeno suonare uno strumento», ormai «scappano dalle proprie responsabilità, non guardano neppure quel che succede in palcoscenico, oppure giustificano gli arbìtri dei registi, le Violette Valéry che muoiono di overdose sui treni.

 

E invece, come diceva Strehler, il direttore dovrebbe essere in grado di dirigere lo spettacolo e il regista di andare sul podio. Se una regìa non ti piace o licenzi il regista o te ne vai». I critici? Peggio ancora, «perché perpetuano questa divisione, scrivendo che la musica era celestiale e lo spettacolo pessimo. E poi ci sono quelli che sui giornali danno i voti, come alle elementari».

RICCARDO MUTI E ORCHESTRA CHERUBINI RICCARDO MUTI E ORCHESTRA CHERUBINI RICCARDO MUTI UN BALLO IN MASCHERA CHICAGO SYMPHONY ORCHESTRA RICCARDO MUTI UN BALLO IN MASCHERA CHICAGO SYMPHONY ORCHESTRA

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