Francesco Battistini per il “Corriere della sera”
«Forse abbiamo sbagliato...». Piove forte sul Mose. E un po' su Giuseppe Fiengo, uno dei due commissari, «l' americano» (nato nel Massachusetts) che Renzi non volle più all' avvocatura dello Stato e che l' anticorruttori Raffaele Cantone invece ripescò, proponendolo all' infinita incompiuta di Venezia: i grillini che accusano lui e il collega Francesco Ossola d' essere stati troppo prudenti la notte del disastro, i bottegai veneziani che scrivono furiosi sulla saracinesca «siamo chiusi grazie al Mose!», qualcuno che s' indigna dei superstipendi di tutti questi commissari...
«Forse abbiamo sbagliato dieci giorni fa a bocciare i test di sollevamento, non lo so...
Io ero perplesso, ma Ossola ha detto che non se la sentiva di dare l' ok: "Può accadere di tutto...". Sottoscrivo quel che ha dichiarato per spiegare la nostra scelta. Del resto, eravamo soli a decidere».
Sia sincero: tornasse a martedì, risponderebbe ancora picche al sindaco di Chioggia, quando l' Acqua Grandissima saliva e lui vi chiedeva d' azionare il Mose anche senza collaudi?
«Non è facile dirlo. Forse insisterei di più col prefetto: non è che in quelle situazioni muovi una cosetta piccola...».
Ma se domani c' è un' altra emergenza, che fate? «Deve venire qualcuno e dare l' ordine. Se c' è un ordine, si azionano la paratoie anche parzialmente».
Cerchi il Mose e trovi solo parole. Pezzi smontati. Prototipi virtuali. Vai sul mare a Malamocco e il tassista ci ride: «Dovrebbe stare più o meno qua sotto...». C' era una Control Room allestita all' Arsenale, monitor come alla Nasa, ma hanno deciso di rifarla e oggi è una stanzetta anonima e spoglia: «Non sappiamo bene cosa dobbiamo fare», l' unica verità che si fa sfuggire un impiegato all' uscita (si dice sempre che Venezia è il manico e l' Arsenale il boccale, quindi bevetevi che questa è una sala operativa...). Ci sarebbero 78 dighe mobili, ti raccontano i pr, ma «è come se avessimo costruito la Tour Eiffel in fondo al mare e nessuno la potesse ammirare»: un pezzo, finalmente, questo giovedì mattina si vede a Chioggia e alle dieci non tira un filo di vento, non cade una goccia, il mare è quieto e insomma non ce n' è più bisogno, ma una paratoia - eccola! - la testano. «Dovevamo controllare le condutture attraverso cui passa l' aria compressa: sì, oggi è andata bene, c' erano meno pericoli, ma è innegabile che oltre certi livelli di marea la struttura ancora balli...».
Si ricomincia da Chioggia e Alessandro Ferro, il sindaco M5s, ripete che si poteva fare prima: «Noi chioggiotti abbiamo già il nostro baby-Mose, una piccola diga che blocca il canale principale, e funziona da cinque anni. Il Mose grande, bisognava testarlo sul campo martedì sera: io alle cinque del pomeriggio ho chiamato Ossola e contattato Fiengo, c' era ancora il tempo, ma mi han detto che non si poteva fare. Invece serviva un po' di coraggio! Anche alzare le dighe parzialmente. Questo disastro si poteva evitare».
L' unica cosa che manca al Mose per fermare le acque è l' accento sulla «e», scherzano nei sotoporteghi. Fosse l' unica: se Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità (Guccini), l' araba fenice del Mose è sulle tragiche fatalità - il cambiamento climatico, la bora eccezionale - che scarica le sue colpe. Il presidente veneto Zaia, che pure tagliò il nastro, si chiede perché i 5 miliardi spesi stiano ancora sott' acqua: «Io sto là a lavorare tutti i giorni, mi faccio il culo - dice Fiengo, il commissario -. Per ogni test, servono mille autorizzazioni.
E sia chiaro, col Mose siamo ancora in una fase sperimentale. Quando sono arrivato, ho trovato cose pazzesche, altro che il 93 per cento del Mose già realizzato! Quelli che chiamavano impianti, erano semplici forniture. È come se io avessi quattro ruote, un volante e mezza scocca, tutto ancora da assemblare, e dicessi che quella è un' auto pronta da guidare...».
Sul Mose si trovano d' accordo perfino pareri di solito incompatibili, Emanuele Filiberto di Savoia che fa sapere di pensarla più o meno come il filosofo Massimo Cacciari: quante incompetenze e bugie, per arrivare a queste acque tanto alte quanto putride in cui rema a fatica anche Fiengo. «Il mio è un lavoro d' obbiettive difficoltà, gestisco 500 appalti - si sfoga il commissario -. Sono guardato come un nero dell' Alabama. Ma lo sa che quando stavo per chiudere un contratto d' assicurazione da 120 milioni, ho dovuto aspettare otto mesi perché l' allora prefetto di Venezia, a me, non dava la certificazione antimafia? O che, se faccio una denuncia al fisco su un contratto, poi mi trovo il fisco che fa un accertamento su di me?».
Il suo stipendio è finito sotto osservazione... «A Mario Giordano rispondo che, quando sono arrivato, la retribuzione annua del commissario era di 800mila euro lordi. Noi siamo stati allineati al tetto massimo di tutti i manager pubblici, 240mila lordi». Dal governo ora si parla di cabine di regia, hanno nominato una nuova supercommissaria... «Chiunque mandino, va benissimo.
Basta che sia qualcuno che mi dica di aprire le paratoie, e io le apro».